Mondo

Chi era Annalena Tonelli

Ecco chi era, dalle sue stesse parole, la volontaria uccisa in Somalia

di Emanuela Citterio

Chi è Annalena Tonelli, la volontaria uccisa domenica scorsa in Somalia? Ecco come lei stessa si descrisse, durante una delle sue rarissime uscite pubbliche, lo scorso anno in Vaticano, durante la Giornata internazionale per il volontariato. “Sono nata a Forlì nel 1943. Lavoro in sanità da più di trent’anni, ma non sono medico. Sono laureata in giurisprudenza in Italia e sono abilitata all’insegnamento della lingua inglese nelle scuole superiori in Kenya. Ho certificati e diplomi di controllo della tubercolosi in Kenya, di medicina tropicale e comunitaria in Inghilterra, di leprologia in Spagna. Ho lasciato l’Italia nel gennaio del 1969. Da allora vivo al servizio dei somali. Volevo seguire Gesù e scelsi di essere per i poveri. Per Lui feci una scelta di povertà radicale, anche se povera come un vero povero io non potrò mai esserlo. Vivo il mio servizio senza un nome, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza appartenere a nessuna organizzazione, senza uno stipendio, senza versamento di contributi per quando sarò vecchia. Ma ho amici che aiutano me e la mia gente, soprattutto quelli del Comitato contro la fame nel mondo di Forlì. Partii decisa a “gridare il Vangelo con la mia vita” sulla scia di Charles de Foucauld, che aveva infiammato la mia esistenza. Trentatre anni dopo, grido il Vangelo con la mia sola vita e brucio dal desiderio di continuare a farlo sino alla fine. Questa la mia motivazione di fondo, insieme a una passione da sempre invincibile per l’uomo ferito e diminuito senza averlo meritato, al di là della razza, della cultura e della fede. Sono praticamente sempre vissuta con i somali, in un mondo rigidamente musulmano. In Kenya prima e ora qui a Borama non c’è nessun cristiano con cui possa condividere. All’inizio tutto mi era contro. Ero giovane dunque non degna né di ascolto né di rispetto. Ero bianca dunque disprezzata da quella razza che si considera superiore a tutte. Ero cristiana dunque oltraggiata, rifiutata, temuta. E poi non ero sposata, un assurdo in quel mondo in cui il celibato non esiste e non è un valore, anzi è un disvalore. Solo chi mi conosce bene dice e ripete senza stancarsi che io sono somala come loro e sono madre autentica di tutti quelli che ho salvato. Quella dell’Ut unum sint è stata ed è l’agonia amorosa della mia vita, lo struggimento del mio essere. È una vita che combatto e mi struggo, io povera cosa, per essere buona, veritiera, non violenta nei pensieri, nella parola, nell’azione. Ed è una vita che combatto perché gli uomini siano una cosa sola. Ogni giorno al Tb Centre noi ci adoperiamo per la pace, per la comprensione reciproca, per imparare insieme a perdonare. Oh, il perdono, com’è difficile il perdono. I miei musulmani fanno tanta fatica ad apprezzarlo, a volerlo per la loro vita? Eppure la vita ha un senso solo se si ama. Nulla ha senso al di fuori dell’amore. La mia vita ha conosciuto tanti e poi tanti pericoli, ho rischiato la morte tante e poi tante volte. Sono stata per anni nel mezzo della guerra. Ho sperimentato nella carne dei miei, di quelli che amavo, e dunque nella mia carne, la cattiveria dell’uomo, la sua perversità, la sua crudeltà, la sua iniquità. E ne sono uscita con la convinzione incrollabile che ciò che conta è solo amare. Ed è allora che la nostra vita diventa degna di essere vissuta. Io impazzisco, perdo la testa per i brandelli di umanità ferita; più sono feriti, più sono maltrattati, disprezzati, senza voce, di nessun conto agli occhi del mondo, più io li amo. E questo amore è tenerezza, comprensione, tolleranza, assenza di paura, audacia. Questo non è un merito. È un’esigenza della mia natura. Ma è certo che io in loro vedo Lui, l’agnello di Dio che patisce nella sua carne i peccati del mondo. Ma il dono più straordinario, il dono per cui ringrazierò Dio e loro per sempre, è il dono dei miei nomadi del deserto. Musulmani, loro mi hanno insegnato la fede, l’abbandono incondizionato, la resa a Dio, una resa che non ha nulla di fatalistico, una resa rocciosa e arroccata in Dio, una resa che è fiducia e amore. I miei nomadi del deserto mi hanno insegnato a tutto fare, tutto incominciare, tutto operare nel nome di Dio”.


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