Immigrazione
La Libia non è un Paese sicuro, ma il Governo Meloni fa finta di niente
Riportare i migranti in Libia è reato. È questa la sentenza della Cassazione che ha reso definitiva la condanna del comandante del rimorchiatore Asso 28 che nel 2018 soccorse nel Mediterraneo 101 migranti e li riportò nel Paese. Il Governo si giustifica dicendo che la Libia di oggi è un Paese diverso e sicuro, invece la situazione non è mai cambiata e sono documentate gravissime violazioni dei diritti umani
Il Governo italiano e l’apparato mediatico che lo supporta sono subito partiti all’attacco, dopo che la Cassazione ha confermato le condanne a carico del comandante di un rimorchiatore battente bandiera italiana che, a seguito di un soccorso di migranti in acque internazionali, li aveva riconsegnati ad una motovedetta libica, davanti il porto di Tripoli.
Oltre ai consueti attacchi personali ai giudici ed al ruolo di controllo della magistratura sulla legittimità delle decisioni di Governo e delle prassi amministrative applicate, si paventa il rischio che la “sentenza choc” della Cassazione possa “legare le mani al Governo” e si cerca di argomentare che oggi la situazione in Libia sarebbe cambiata, rispetto all’epoca dei fatti (2018) oggetto della condanna sul caso Asso 28, e che dunque questo Paese potrebbe qualificarsi come un “Paese sicuro”, tanto da legittimare la più recente politica italiana di accordi con il Governo provvisorio di Tripoli e con la sedicente Guardia costiera libica.
Vengono messi in circolazione documenti risalenti al 2019, proprio l’anno in cui in Libia infuriava la guerra civile, come una nota della Direzione generale affari interni della Commissione europea, che avrebbe sottolineato i progressi fatti dai libici, anche con il supporto europeo, in particolare nella gestione della zona Sar (ricerca e soccorso in mare) autoproclamata nel giugno del 2018, e nelle correlate attività di soccorso. Ma dal 2019 ad oggi sono documentate gravissime violazioni dei diritti umani, sia da parte di agenti della sedicente Guardia costiera “libica” che da parte delle milizie alle quali si riconsegnano i migranti intercettati in acque internazionali. Secondo un rapporto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 7 dicembre 2023, permane la situazione di divisione del Paese e “la situazione umanitaria e dei diritti umani, anche per quanto riguarda la protezione dei migranti e dei rifugiati continua a destare grave preoccupazione”. Nel rapporto si invitavano le autorità libiche a cercare “alternative alla detenzione dei migranti e dei richiedenti asilo e a garantire un trattamento umano a tutti detenuti, con l’obiettivo a lungo termine della depenalizzazione, del trattamento umano e accesso ai procedimenti giudiziari”.
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Si rileva poi come la Cassazione avrebbe riconosciuto l’obbligo dei comandanti di obbedire al coordinamento delle autorità della regione Sar nella quale si trovano, come se la Cassazione non avesse riconosciuto una “inoperatività” della zona Sar libica che si può provare ancora oggi, tutto questo senza portare uno straccio di prova dei progressi fatti in territorio libico nella “gestione condivisa dei flussi con l’Unione europea”. Prospettiva che il Governo Meloni si sta giocando sul piano propagandistico, in vista delle prossime scadenze elettorali, rilanciando il Piano Mattei per l’Africa, che non contiene neppure un rigo sulla condizione dei migranti intrappolati nei Paesi di transito e sul ripristino del rispetto dei diritti umani, soprattutto in Libia. Uno Stato conteso tra due Governi, con milizie che si fronteggiano, mentre il processo di riconciliazione nazionale è ancora bloccato, malgrado l’impegno dell’Onu, e le diverse fazioni si contendono il territorio e le istituzioni, con violazioni ancora oggi gravissime dei diritti fondamentali delle persone, cittadini libici e migranti in transito, alla mercè di milizie che praticano sistematicamente la detenzione arbitraria, senza alcun contatto esterno (“in incomnunicado”) , gli arresti indiscriminati e la tortura come strumento estorsivo, la deportazione fino alla sparizione forzata, degli avversari politici, dei migranti più vulnerabili, delle minoranze etniche e religiose. Ma Governo italiano tutto questo non lo constata. Come non attenzione la mancata adesione del governo di Tripoli, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, alla Convenzione di Ginevra.
La Libia quindi, a differenza del 2018, sarebbe diventata un Paese sicuro, grazie all’impegno delle autorità italiane, e la sedicente “Guardia costiera libica”, forse quella di Tripoli, che garantirebbe il pieno rispetto delle Convenzioni internazionali, tanto che i comandanti delle navi soccorritrici dovrebbero obbedire ai suoi ordini, ed anzi attenderne l’arrivo, prima di soccorrere naufraghi che potrebbero annegare da un momento all’altro. E giù con i fermi amministrativi delle navi delle Ong, perché “intralciano i soccorsi dei libici” e sarebbero costantemente impegnate “nell’apertura delle frontiere ai clandestini”, come vengono ritenuti i naufraghi soccorsi in acque internazionali, quando gli eventi di soccorso vengono negati ed i soccorsi ritardati, perché si tratta soltanto di “eventi di immigrazione illegale”. Come si è fatto fino all’ultimo, in occasione del naufragio davanti la spiaggia di Steccato di Cutro, giusto un anno fa, e come si è sostenuto nel processo Salvini a Palermo… Eppure, secondo documenti dell’Oim (Agenzia delle Nazioni Unite) dello scorso anno, “la Libia non dovrebbe essere considerata un Paese sicuro nel quale respingere migranti”.
Con il richiamo al “comune sentire popolare”, si ritiene forse che il consenso verso il Governo potrebbe aumentare con gli attacchi alla magistratura, colpevole di “aiutare” le Ong e spalancare le porte ai “clandestini”. Ma non sarà facile eludere ancora a lungo il principio di realtà. Le reazioni sconclusionate alla sentenza della Cassazione sul caso Asso 28 confermano responsabilità attuali, e sempre più gravi, nella esternalizzazione dei respingimenti delegati alla sedicente guardia costiera libica. Una complicità che è direttamente imputabile all’agenzia Frontex, ospitata dall’Italia, che nel Mediterraneo orienta le attività di intercettazione dei libici. Ed anche a quei ministri italiani che continuano a concorrere con i loro omologhi libici in pratiche illegali di respingimenti su delega e di detenzione arbitraria, abusiva anche nei cosiddetti “centri governativi”. Mentre si prosegue nel rafforzamento, e nel coordinamento indiretto, della sedicente Guardia costiera “libica”, quando ancora non si può parlare di un Governo libico unitario e di istituzioni unificate, a partire dalla Guardia costiera, che sull’intero territorio libico garantiscano effettivamente il rispetto dei diritti umani.
Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato esperto di diritti umani e diritto d’asilo
Credi foto AP /Paolo Santalucia
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