Sustainability Portrait

Torre con vista sullo sviluppo sostenibile

Nella nuova puntata della rubrica di VITA, Emanuele Cardinale di Inwit ci spiega la visione di una delle big della Borsa Italiana. Proprietaria delle oltre 24mila “torri” che ospitano le antenne degli operatori per la trasmissione del segnale telefonico nel Paese. Assieme a un numero crescente di servizi di utilità ambientale e sociale

di Nicola Varcasia

Nelle campagne ce n’è una ogni tre chilometri. In città una ogni 500-600 metri. Non sono negozi o bar. Ma le torri della telefonia mobile, che ospitano le antenne degli operatori per trasmettere il segnale. A gestire le oltre 24mila nel nostro Paese c’è Inwit, la principale tower company italiana, nata nel 2015 per gestire le infrastrutture di Tim, oggi a tutti gli effetti una public company. Il tutto dopo vari riassetti figli dell’evoluzione del settore telecomunicazioni italiano, tra i quali la rilevazione proprio delle torri di Telecom Italia e, nel 2020, la fusione con le infrastrutture italiane di Vodafone towers. Un altro dato affatto trascurabile, Inwit è la sedicesima società per capitalizzazione alla Borsa di Milano. A parlarci di come tutto questo abbia dei legami forti con la sostenibilità di un territorio è Emanuele Cardinale, head of sustainability della società. Non prima, come vuole la rubrica dei Sustainability portrait, di un excursus nel suo percorso professionale.

Come è arrivato ad occuparsi di sostenibilità?

Ho costruito tutto il mio percorso professionale attorno a questi temi. Fin dalla laurea in economia e commercio alla Sapienza di Roma e in due successivi momenti di formazione.

Quali?

Un master in Environment innovation and management presso la Luiss e un altro in Circular economy for business, alla scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Li ho frequentati quando avevo già iniziato a lavorare in varie aziende, sia infrastrutturali sia di servizi, per arricchire il mio bagaglio a 360°.

Torniamo alla scintilla iniziale.

Durante gli studi universitari, parliamo di poco più di 20 anni fa, ho approfondito i cosiddetti approcci sistemici delle aziende, ossia l’esigenza di considerare le imprese come sistemi correlati, nei quali emergono anche gli aspetti ambientali e sociali.

Oggi parliamo di stakeholder engagement ma il concetto chiave da cui è partito tutto è stato il vedere come l’azienda, nel creare profitto, debba includere anche gli aspetti non finanziari. Negli ultimi anni, il concetto si è evoluto.

Come?

Oggi l’evidente evoluzione del paradigma della sostenibilità ci porta a dire che l’azienda non solo nel ma anche per creare profitto e valore nel lungo termine è chiamata a tenere conto degli aspetti non finanziari.

Questa riformulazione è un cambio di passo reale?

È stato un percorso culturale che richiede del tempo, ma il cambio di passo c’è. Da un lato, i consumatori hanno maturato un tipo di sensibilità che mancava, dall’altro c’è una forte spinta dal lato del mercato finanziario. Per avere accesso ai capitali, che ci si creda o meno, non si può più fare a meno di questo approccio. Se lo si adotta “tanto per”, presto o tardi i nodi vengono al pettine senza trarne i dovuti vantaggi competitivi.

Magari le aziende hanno sempre avuto questa visione senza saperlo?

È vero, pensiamo a tante aziende familiari caratterizzate da un certo tipo di attenzione ai dipendenti o anche agli esempi di economia circolare ante litteram rispetto agli sprechi e al recupero degli scarti nel mondo agricolo, che hanno più di cento anni. Sono impostazioni presenti da molto tempo che oggi sono state sistematizzate e inserite nella nuova forma e visione della sostenibilità.

Cosa vuol dire per Infrastrutture wireless italiane – Inwit integrare la sostenibilità nel business?


Il nostro modello di business è intrinsecamente sostenibile. Le nostre sono infrastrutture condivise che permettono di abilitare uno sviluppo più efficiente lungo tutta la catena del valore. Efficienza industriale, economica ma anche sociale ed ambientale.

In che senso?

Da un paio d’anni parliamo di tower as a service, definizione mutuata da uno dei principali modelli di business dell’economia circolare: il prodotto come servizio. L’infrastruttura condivisa, la torre, è al servizio di più operatori. Da una parte questo può garantire un miglior ritorno degli investimenti agli operatori stessi, dall’altra consente di limitare gli impatti ambientali in termini di consumo del suolo, risorse ed emissioni. Se pensiamo che fino a dieci anni fa ogni operatore aveva le sue infrastrutture, le efficienze in termini ambientali sono evidenti.

Dov’è la componente di valore sociale?

Inwit ha un ruolo di abilitatore del processo di transizione digitale del Paese. Possiamo dare un forte contributo alla riduzione del digital divide, portando la copertura di rete mobile nelle aree ancora scoperte del Paese. La digitalizzazione per noi è un driver di inclusione sociale. Il nostro obiettivo di lungo termine sull’area social è perciò di contribuire allo sviluppo economico sociale e culturale delle comunità anche nelle aree più remote del Paese, monitorate secondo l’Indicatore di vulnerabilità sociale e materiale – Ivsm dell’Istat.

Avete un piano di investimenti in merito?

Abbiamo siglato un accordo con l’Unione nazionale comuni comunità enti montani – Uncem per accelerare l’infrastrutturazione digitale nelle aree dove la copertura di rete mobile è ancora carente. Abbiamo inoltre vinto il bando Piano Italia 5G nell’ambito del PNRR, nei quali siamo capofila insieme a Tim e Vodafone. L’obiettivo è di coprire 1.385 aree in digital divide mappate da Infratel, da qui al 2026.

Quali sono altri progetti del vostro business con un valore sociale?

Oltre alle grandi infrastrutture per la rete mobile, abbiamo anche prodotti dedicati: ad oggi molte strutture ospedaliere sono dotate di nostre infrastrutture per la copertura indoor.

Che benefici portano?

Da una parte, aiutano la comunicazione con i pazienti verso l’esterno: è un’esigenza di copertura sempre presente che è esplosa nel periodo del covid. Dall’altra abilitano servizi digitali come la telemedicina e la chirurgia da remoto, per favorire una sanità più innovativa e vicina ai pazienti, su cui stiamo spingendo molto e che sarà ancora più concreto con il 5G, anche se lo sviluppo di questa tecnologia, di per sé pronta, sta andando un po’ a rilento rispetto alle attese.

Le torri possono servire per obiettivi diversi dalla telefonia?

Tra i servizi che Inwit è in grado di offrire sfruttando la capillarità delle torri, c’è il supporto alla tutela ambientale. Abbiamo siglato un accordo con il Wwf per il monitoraggio degli incendi nelle tre oasi boschive di Macchiagrande (Roma), Bosco di Vanzago (Milano) e Calanchi di Atri (Teramo). Sulle nostre torri abbiamo installato delle telecamere che puntano verso le oasi, collegate a un gateway in grado di rilevare tempestivamente principi d’incendio.

Quali altri servizi ambientali si possono svolgere?

Il monitoraggio si può applicare anche sui principali parametri ambientali come: l’anidride carbonica, il biossido di azoto e le polveri sottili, in aree naturali specifiche. È quanto sta accadendo, in un progetto con Legambiente, nei parchi nazionali Abruzzo, Lazio e Molise e Maiella e nelle riserve naturali Zompo lo Schioppo e Monte Genzana e Alto Gizio, con l’installazione, sulle torri, di sensori per il monitoraggio della qualità dell’aria e di gateway per la raccolta dei dati.

Qual è una sfida del vostro settore dal punto di vista della sostenibilità?

Uno dei temi è quello di far comprendere alla popolazione, al territorio, agli enti locali il valore delle infrastrutture in generale, e di quelle digitali in particolare. Devono essere accolte come fonte di sviluppo, tecnologico, economico e sociale, passando dalla logica del nimby, not in my backyard, non nel mio giardino, a quella del pimby, please in my backyard. È una sfida culturale sulla quale stiamo cercando di fare la nostra parte.

Cosa fa VITA?

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