Medio Oriente

Attacco a Rafah? Una catastrofe per l’aiuto umanitario 

È sempre più vicina l’ipotesi di un attacco su larga scala a Rafah, la città più a sud della Striscia, al confine con l’Egitto, dove ora si trovano 1.5 milioni di sfollati interni. Ma attaccare Rafah metterebbe ancora più in crisi chi prova a sostenere la popolazione civile e tutto il sistema umanitario. «Da qui entrano, anche se pochi e a singhiozzo, tutti gli aiuti umanitari», dice Tommaso Della Longa, portavoce della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. «Già non ci sono le condizioni per distribuirli in sicurezza. Un attacco a Rafah sarebbe una catastrofe»

di Anna Spena

Quattro mesi di guerra tra Israele e Hamas, quattro mesi in cui a perdere sono stati sempre e solo i civili. I numeri sono diventati indicibili. Sono più di 28mila i morti nella Striscia di Gaza, tra loro oltre 12mila sono bambini. Quasi settantamila i feriti. Più di 1.100 sono le vittime israeliane, quasi novemila i feriti, e 130 gli ostaggi che si trovano ancora nelle mani di Hamas. Dal sette ottobre le bombe sulla Striscia di Gaza non hanno mai smesso di cadere, fatta eccezione per una breve tregua umanitaria alla fine dello scorso novembre (Gaza, più dura la tregua umanitaria più vite si possono salvare). Insieme alle bombe le forze di difesa israeliane hanno iniziato anche le operazioni di terra, prima a Nord e poi si sono spostate sempre più a Sud fino a Khan Youn. Oggi la minaccia arriva fino a Rafah, la città al confine con l’Egitto dove sono sfollati circa 1,5 milioni di palestinesi (sei volte la popolazione rispetto a prima del 7 ottobre). 

Inutili le richieste di un cessate il fuoco

Inutile il cessate il fuoco invocato dalla società civile internazionale. E inutile gli inviti da parte di alcuni Governi tra cui Ue,  Regno Unito e Usa, a Netanyahu per evitare l’operazione su larga scala a Rafah. Operazione che sembra essere sempre più vicina. Tutti gli sfollati che si trovano a Gaza sono civili che hanno abbandonato le loro abitazione a Nord della Striscia per rispondere all’ordine di evacuare dalle loro case. E adesso che l’esercito israeliano chiede di spostarsi ancora dove andranno? Nella Striscia di Gaza abitazioni civili e infrastrutture, tra cui gli ospedali, sono quasi completamente distrutte. Gli egiziani stanno rafforzando il confine per evitare l’esodo dei profughi palestinesi. Il giornalista Nello Scavo ha denunciato sulle pagine di Avvenire la storia di “una foto che mostra i lavori in corso per attrezzare i campi profughi, spiegando che vengono inviate in loco 23mila tonnellate di tende e 140 mila tonnellate di cibo. L’immagine dei lavori in corso, diffusa dal profilo “X” ufficiale del governo è però un falso. Si tratta infatti della messa in opera, nel 2022, del campo per i profughi ucraini a Palanca, in Moldavia”. «Un accampamento fantasma», si scrive il giornalista Alessandro Banfi sulla sua rassegna stampa quotidiana. «Si vogliono attirare i palestinesi in un trappola?». Attaccare Rafah potrebbe essere sinonimo di una tragedia umanitaria. La città infatti non solo ha accolto gli sfollati interni ma è anche diventata l’hub degli aiuti umanitari, l’unico valico rimasto aperto dal quale entrano, anche se a singhiozzo, beni di prima necessità.


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Non attaccate Rafah

«Non possiamo non rimanere scioccati», dice Tommaso della Longa, portavoce della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. «Da Rafah entrano tutti gli aiuti umanitari. Dal punto di vista geografico è un luogo importante. Infrastrutture civili e ospedali non dovrebbero essere toccati, dovrebbero essere rispettati». Ma la storia dal sette ottobre fino ad oggi ci ha mostrato che questo non è accaduto. «Come Croce Rossa continuiamo a chiedere rispetto e protezione dei civili, degli ospedali, degli operatori sanitari in ogni situazione, accesso umanitario sicuro dovunque a Gaza e più aiuti umanitari. I nostri colleghi delle Mezzaluna rossa palestinese continuano a fare il possibile, abbiamo perso 14 colleghi della Mezzaluna Rossa palestinese e tre della Stella di Davide. Nella Striscia di Gaza le attività continuano a ritmo limitato. I nostri colleghi sono sia operatori umanitari che vittime del conflitto».

Gli aiuti umanitari 

Gli aiuti umanitari entrano a singhiozzo o non entrano dal Valico di Rafah ma «anche quando entrano, e comunque non sono sufficienti, non ci sono, già adesso, le condizioni per distribuirli in sicurezza». Un attacco su larga scala a Rafah creerebbe un blocco totale nelle distruzioni dei beni. Inoltre sarebbe impossibile continuare a lavorare senza mettere ancora di più a rischio la vita degli operatori umanitari sul territorio. «Serviamo case, rifugi per sfollati e alcune strutture mediche d’emergenza che la Mezzaluna Rossa palestinese ha messo in piedi nella Striscia. Ma questo al Sud. Al Nord della Striscia di Gaza è impossibile operare, è quasi del tutto irraggiungibile e non c’è una stima dei civili che sono rimasti intrappolati».

Credit foto Lapresse

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