Politica

Anziani. Il record di Torino, città senza reti

Il ministero ha reso noto i dati sulle morti degli over 65 quest’estate. E i numeri confermano che il capoluogo piemontese è in testa alla triste classifica. Perché?

di Marco Revelli

Ancora una tragedia. Ancora Torino. Ancora parole fuori luogo. La tragedia è la ?strage degli innocenti? di cui hanno parlato tutti i giornali, un solo giorno, per la verità, prima che la notizia fosse sommersa dal frastuono triviale che viene ?dall?alto? : lo scandaloso numero di anziani morti in quest?estate impazzita. Gli oltre 4mila innocenti silenziosi (in più rispetto alla media degli altri anni) spentisi nella solitudine dei propri appartamenti soffocanti, nelle corsie improvvisate di pronto soccorsi affollati, dopo un ricovero tardivo, nei corridoi di case di riposo più simili a lazzaretti?
Una tragedia che ha avuto a Torino il proprio epicentro, con un record negativo del 108% in più rispetto all?anno precedente nei decessi fra gli over 75 (come recita la prosa ormai disumanizzata dei quotidiani). E che vede nel Nord-Ovest concentrata la maggior parte di quell?incremento della mortalità che è suonato, appunto, come un terribile campanello d?allarme, con i 975 decessi in più, contro i 563 del Centro, i 206 del Nord-Est e i 248 del Sud.
Le parole fuori luogo sono i toni di polemica, d?accusa, da una parte, e dall?altra di sorpresa, e d?indignata difesa del proprio operato, da parte di politici, amministratori, responsabili di strutture sanitarie, e quanti, in fitta schiera, si sono sentiti in dovere di ?buttarla in politica?. Come se fosse davvero così stupefacente che nella modernissima Torino – quella che dalla società industriale dell?auto si appresta a fare il salto a quella scintillante e postindustriale delle nuove professioni, dell?high tech e del turismo – i vecchi muoiano di più, e più facilmente, che a Palermo, o nella Marsica, o nell??arretrato? Salento. E davvero, quello della strage estiva degli anziani fosse un problema ?tecnico?, di efficienza dei servizi, di disponibilità di mezzi, di macchine, di competenze specialistiche, ecc.
In realtà che a Torino la morte abbia mietuto più vittime che altrove, tra i logorati dal tempo, gli immobili per necessità, i reclusi anagrafici, non stupisce affatto. Basta dare un?occhiata a quartieri come le Vallette, o la Falchera, o Mirafiori sud, ai volti segnati dal lavoro ma soprattutto dalla solitudine, alle panchine nei parchi abitate da fantasmi dichiarati socialmente inutili anzitempo, alle piazze semideserte, alla quantità di persone che camminano ?sole? (e sempre più lentamente) per capire la ragione di quel triste primato.
Che Torino sia socialmente più scassata che altre città, non è una novità. Che qui la decomposizione del tessuto sociale, delle solidarietà familiari, delle relazioni interpersonali sia andato più avanti che altrove, lo continuano a negare solo gli apologeti per partito preso. I professionisti dell?immagine patinata.
E sono questi – ?relazionali?, ?sociali? – gli aspetti che più pesano, all?origine della strage estiva. Non sarebbero bastati tutti i mezzi tecnici del mondo, le migliori strutture sanitarie, i migliori medici, specialisti, geriatri, dietologi, psicologi, ecc., per salvare chi sta chiuso in una stanza soffocante, senza visite di amici, senza la vicinanza di un figlio, senza una voce che gli ricordi che esiste. Senza una rete di legami che qui è collassata. Qui più che altrove. Qui, dove i figli sono andati lontano, dietro il richiamo modernissimo della mobilità e della flessibilità. Dove gli amici sono scomparsi insieme al posto in fabbrica (l?unico luogo in cui la totalità del lavoro permetteva incontri e comunicazione). Qui, dove chi può corre (prima alla catena di montaggio, ora nel tessuto urbano diventato ?luogo di lavoro?). E dove l?opera di ricostruzione di un tessuto civile degno di questo nome, attento al valore di legame e non solo alla curvatura tecnica (o commerciale, o finanziaria, o turistica) dei problemi, deve ancora incominciare.

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