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Anziani, riforma troppo timida: la lettera a Giorgia Meloni
Le organizzazioni del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza scrivono a Giorgia Meloni: «Il Decreto legislativo appena approvato non sviluppa adeguatamente il progetto per il futuro dell’assistenza agli anziani previsto dalla Legge delega»
Il punto non sono le risorse, anche se è evidente a tutti che ne servono di più. Il punto è il progetto di riforma. Perché la riforma dell’assistenza agli anziani disegnata dal decreto legislativo approvato settimana scorsa dal Governo Meloni non è quella innovazione radicale che gli anziani non autosufficienti attendono. «Solo se questo disegno è solido ha senso affrontare i finanziamenti. E il decreto approvato in via preliminare, a nostro parere, non sviluppa adeguatamente il progetto che invece la legge prevede»: così scrivono alla presidente del Consiglio le organizzazioni del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, 60 organizzazioni che rappresentano la gran parte di quelle della società civile coinvolte nell’assistenza e nella tutela degli anziani non autosufficienti nel nostro Paese. «Auspichiamo per questo motivo che il governo da Lei guidato possa compiere una revisione del decreto, perché sia in linea con le previsioni più innovative della legge-delega».
«Sarebbe stato auspicabile un pieno coinvolgimento delle organizzazioni rappresentanti il mondo della non autosufficienza degli anziani nella fase precedente il decreto, come d’altra parte era stato annunciato», sottolinea il Patto. Che in vista della imminente e breve finestra di lavori parlamentari sul decreto – questione di poche settimane, massimo un mese di tempo – «continua ad esprimere la propria disponibilità alla collaborazione sulla riforma».
Tre i punti su cui il Patto – che nel 2021 aveva ottenuto l’introduzione della riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti nel Pnrr – vede una “retromarcia” rispetto al testo innovativo della legge delega: la nuova domiciliarietà; la nuova residenzialità; la riforma dell’indennità di accompagnamento.
Riformare i servizi domiciliari
In Italia manca un servizio domiciliare pubblico disegnato per assistere gli anziani non autosufficienti. I servizi esistenti erogati da Als e Comuni (l’assistenza domiciliare integrata e il servizio di assistenza domiciliare) sono pensati per altre categorie di persone e non tengono conto di aspetti propri della long term care come, ad esempio, la durata dell’assistenza. Lo schema di decreto rimanda a successivi provvedimenti di semplice indirizzo, mentre si dovrebbero già qui individuare alcuni criteri che siano vincolanti e che orientino il ridisegno dell’assistenza domiciliare in maniera specifica verso la non autosufficienza: è una questione di efficacia e di appropriatezza.
Riqualificare le strutture residenziali
Seppure la priorità sia sostenere la permanenza dell’anziano a domicilio, in alcuni casi questa non è un’opzione possibile. È indispensabile, come il decreto stesso contempla, che le strutture siano luoghi accoglienti dove gli ospiti godano della miglior qualità di vita possibile: ci saremmo aspettati delle previsioni più stringenti, tanto nella definizione di tutti i criteri utili per l’accreditamento, quanto dei necessari requisiti di sicurezza e qualità. Il decreto attuativo, invece, contiene solo prime indicazioni in merito e rimanda a ulteriori provvedimenti.
La nuova prestazione universale
L’indennità di accompagnamento – un contributo monetario di 531 euro al mese assorbe, per un totale di 9,3 miliardi annui, slegato sia dalla situazione economica della persona non autosufficiente, sia dall’intensità del suo bisogno assistenziale, sia dall’utilizzo che viene fatto delle risorse – nel decreto viene affiancata in via sperimentale, per due anni e per una platea molto ristretta di anziani, da una nuova misura: la nuova prestazione universale, che vale 850 euro al mese. Per accedervi sono richieste tre condizioni: un elevato bisogno assistenziale, un’età di almeno 80 anni, e ridotte disponibilità economiche. Le risorse stanziate dal governo sono pari a 500 milioni di euro nel biennio 2025/2026: 300 milioni per il 2025 e 200 milioni per il 2026. Queste risorse consentono di raggiungere al massimo 30mila anziani non autosufficienti, pari all’1,9% degli 1,5 milioni di anziani che beneficiano dell’indennità di accompagnamento. Si tratta pertanto di una misura che ambisce ad essere una riforma innovativa, ma che dura solo due anni, che taglia fuori il 98% dei destinatari e che reintroduce – dopo anni di battaglie in direzione opposta – la prova dei mezzi: si torna in qualche modo a dire che le persone in condizione di non autosufficienza possono avere un sostegno economico solo se sono anche poveri. La sperimentazione è un primo passo? Potrebbe essere, ma in verità non appare sostenibile l’ipotesi di estenderla a tutti i beneficiari dell’accompagnamento: costerebbe troppo. La legge 33 disegnava invece una riforma dell’indennità di accompagnamento, tale per cui il “pacchetto economico” veniva aumentato per chi avesse scelto di utilizzarlo tutto per l’acquisto di servizi (dalla badante alle cure).
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