Non profit

Parla il presidente Luigi Bobba. Questo Stato ci va stretto

La speranza contro l’ossessione della sicurezza. Il bisogno di una riforma dello Stato che preveda il coinvolgimento dei corpi sociali intermedi.

di Riccardo Bonacina

Chi continuasse ad avere dei dubbi sul fatto che la mitezza è la vera virtù dei forti dovrebbe conoscere Luigi Bobba, vercellese, 48 anni, sposato con due figlie, presidente delle Acli dal 1998. Una vita intera nelle Acli, il mite Bobba ne diventa presidente alla fine del 1998, quando dopo cinquant?anni di storia l?associazione dei lavoratori cristiani italiani sente tutto il peso degli anni di fronte ad una società che cambia così velocemente da mettere in discussione persino gli stessi connotati associativi (pensate a quanto è cambiata l?identità dei lavoratori e dei cristiani dal dopoguerra ad oggi). Bobba prende per mano le Acli in crisi, le riorganizza, rinnova la dirigenza, ne immette robuste dosi di pensiero e di riflessione su un?identità da reinventare, le rimette al centro delle reti sociali in Italia e in Europa. Tra le sue prime iniziative la ripresa di un?abitudine antica, le giornate di studio estive per i dirigenti, i quadri associativi. Si inizia nel settembre 1999 a Vallombrosa, dopo 4 anni, per motivi logistici (non ci si sta più), il convegno approda a Orvieto. Per tre giorni i mille delegati ragioneranno sul tema ?Vivere la speranza nella società globale del rischio?. Vita: Presidente non è un tema un po? troppo ?alto? rispetto alle preoccupazioni della vita e della politica italiana? Luigi Bobba: Vede, le preoccupazioni quotidiane e quelle della politica non possono essere affrontate muovendo dal sentimento della paura: non è sulla paura che possiamo guardare al futuro. Proporrò questo tema della speranza, un compito storico dei cristiani. Sembrerà temerario ma vogliamo rilanciare questa virtù teologale della speranza, l?unica capace di darci un senso generativo di futuro. Di fronte al disorientamento, all?incertezza, ai tanti cambiamenti, sale la paura e noi queste paure le vogliamo guardare ad occhi aperti. Vogliamo guardare in faccia questa società del rischio globale per dirla con Ulrich Beck, ma attraversandola con la virtù essenziale dei cristiani. Guardare alla questione dell?informazione, al tema dell?uso della scienza, all?uso delle risorse, alla società multiculturale non fa parte del bagaglio più tradizionale delle Acli, ma non si può vivere solo di memoria e di storia, perciò vogliamo costruire il nostro nuovo bagaglio, e magari la nostra nuova missione. Vita: A proposito di paure, in Iraq si continua a morire, avevate ragione voi a non volere la guerra? Bobba: Bush è costretto a chiedere aiuto alla tanto vituperata Onu e a riaffidarsi all?imbelle Europa, se non vuol finire impantanato nelle sabbie mediorientali o restare prigioniero sotto le rovine del regime di Saddam Hussein. La storia corre veloce: quella che era stata considerata come una prospettiva buona solo per i movimenti per la pace, si presenta invece come l?unica strada ragionevole per tentare di governare i rischi globali del pianeta in cui viviamo. Giovanni XXIII nella Pacem in Terris scriveva che le nazioni debbono liberarsi dalla ?legge del timore? per costruire relazioni internazionali fondate non sulla legge della forza ma sulla forza della legge. Vita: Quattro anni dopo la ripresa dei Convegni di studi estivi come lavoro sull?identità delle Acli, quanto è cambiata l?associazione? Bobba: Quando nell?estate ?99 scegliemmo il tema della globalizzazione come tema culturale su cui lavorare molti mi diedero del matto. Poi il Papa lo scorso anno ci disse che proprio quella parola era il nome nuovo della questione sociale e che poteva aiutarci a ricomprendere la nostra missione. A Vallombrosa abbiamo parlato d?economia, del lavoro, della democrazia, dello stato sociale e della comunità, abbiamo ripercorso cioè la nostra identità rileggendola attraverso questa nuova categoria della globalità. Oggi, ci rendiamo conto che, dopo aver fatto questo lavoro di rilettura, se non affrontiamo queste questioni è come se non volessimo prendere coscienza che anche il campo del sociale deve varcare questi confini. Non dobbiamo cambiare il nostro mestiere ma attraversare i confini della nostra azione sociale. Vita: E dal punto di vista organizzativo come sono cambiate le Acli in questi anni? Bobba: Innanzitutto, siamo tornati ad essere protagonisti di fronte ai grandi appuntamenti internazionali che dal 2000 in poi si sono succeduti con agende impegnative. A cominciare dalle riunioni di Nizza in cui si è elaborata la Carta dei diritti fondamentali dell?Unione europea. Allora ci sentivamo soli, oggi, noto con soddisfazione che il tema della Costituzione Ue è nell?agenda di tante associazioni. Il lavoro fatto ci ha permesso di avere un?attrezzatura culturale capace di giudizio e di iniziativa. Abbiamo smesso gli occhiali di un ideologia frusta e consumata per avere uno sguardo ?new global?, come lo abbiamo definito. In secondo luogo, credo che in questi anni siamo riusciti a svolgere una funzione di fermento e di sollecitazione anche all?interno dei movimenti e delle associazioni cattoliche promuovendo iniziative comuni e comuni momenti di confronto. Infine, si è radicata ed è diventata ordinaria l?azione che prima era saltuaria od episodica della cooperazione allo sviluppo con i Paesi del sud del mondo. Oggi sappiamo che questa non è un?azione straordinaria ma è parte integrante della nostra missione sociale. Per ultimo, e lo voglio sottolineare con una certa fierezza, anche i nostri servizi più tradizionali, la formazione professionale e i patronati, si misurano con la sfida nuova dell?immigrazione non solo in termini di servizi ma di cittadinanza. Vita: Dal campo nazionale Agesci al Convegno di Orvieto, passando dal Meeting di Rimini, quest?estate le organizzazioni cattoliche hanno messo a tema il ?bene comune?. è un caso? Bobba: Non credo sia un caso. Le quattro sfide a tema di Orvieto segnano i nomi attuali del bene comune: l?uso della scienza, delle risorse, dell?informazione, il rapporto tra culture. Se i parlamenti non cominceranno a ragionare su questi temi vuol dire che non c?è davvero spazio per una prospettiva di convivenza comune. Che dagli appuntamenti delle grandi associazioni cattoliche salga questo richiamo e queste indicazioni mi pare frutto di un lavoro comune fatto in questi anni, e una risorsa per il futuro del Paese che si farebbe bene a tenere in conto. Vita: Soffriamo di bipolarismo? Bobba: Il bipolarismo così com?è non mi convince ma neppure si può tornare al passato. Il problema vero, mi sembra piuttosto quello di riuscire ad azzerare la rendita di posizioni che oggi hanno le ali estreme dei poli, che non consentono alle coalizioni di avere un progetto di governo serio. C?è bisogno di un riequilibrio. Nel momento in cui si è data più forza alla governabilità e personalizzata la politica, occorre dare maggiore forza ai soggetti intermedi. Perciò è giusta anche l?idea di una Bicamerale del sociale lanciata dal Meeting di Rimini; io a suo tempo avevo proposto una Convenzione per le Riforme, cioè un allargamento dei temi in discussione e dei soggetti che discutono.


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