Medio Oriente

Yemen, il Paese che l’Occidente ricorda solo quando gli fa comodo

Il Paese vive una delle più grandi crisi umanitarie al mondo: un terzo della popolazione ha bisogno di cibo, acqua potabile e beni di prima necessità. Solo l’escalation militare ha riportato l’attenzione sullo Yemen: «La costante diminuzione dei fondi», spiega Riccardo Mioli, direttore regionale per il Medio Oriente dell’organizzazione umanitaria Intersos, «è purtroppo una tendenza ormai consolidata e che impatta sul lavoro di tutte le ong in Yemen, basti pensare che il piano di aiuto umanitario coordinato, nel 2023, è stato finanziato solo al 39%»

di Anna Spena

È un Paese che vive una delle più grandi crisi umanitarie al mondo, oltre 21 milioni di persone, un terzo della popolazione, hanno disperato bisogno di cibo, acqua potabile e beni di prima necessità. «Nove anni di conflitto», racconta Riccardo Mioli, direttore regionale per il Medio Oriente dell’organizzazione umanitaria Intersos, «hanno eroso la resilienza del popolo yemenita e reso la vita di tutti i giorni una battaglia nella battaglia per il cittadino comune».

Yemen, l’emergenza umanitaria ignorata

In Yemen la guerra e la crisi umanitaria sono state dimenticate dai Governi Occidentali per anni. Fino a quando gli Houthi, gruppo armato del Paese, in risposta ai bombardamenti sulla Striscia di Gaza, hanno iniziato ad attaccare le navi commerciali in transito nel canale di Suez.  Gli Houthi hanno nette posizioni antiamericane e antisraeline. Gli attacchi stanno già avendo gravi ripercussioni sull’economia occidentale. Ma qui la vita dei civili è risucchiata da una guerra che chiama in causa i protagonisti della scacchiera mondiale: da un lato una coalizione guidata dall’Arabia Saudita, dall’altro l’Iran che sostiene i ribelli Houthi. 

La normalità ingiusta

«In Yemen», racconta Mioli, «mancano i servizi di base e di prima necessità. Per molti la normalità è vivere da sfollati per anni e anni, dipendendo dagli aiuti umanitari e senza una vera casa o prospettiva di normalità per il futuro: ci sono ancora quasi 4 milioni e mezzo di sfollati in Yemen a causa del conflitto e della miriade di difficoltà nel tornare nel luogo di origine. Per molti la normalità è non avere un lavoro o avere uno stipendio che ogni giorno perde di valore e non rende in alcun modo possibile portare il cibo in tavola senza incorrere in ingenti debiti: sono oltre 17 milioni di persone a non avere abbastanza da mangiare e quasi la metà di questi sono considerati ad un passo dalla carestia. Per molti la normalità è accettare di bere acqua non potabile o dover camminare per ore per poterla avere: oltre il 70% dei conflitti non legati alla guerra nelle zone rurali dello Yemen è legato all’accesso all’acqua e 16 milioni di persone non hanno un immediato e sicuro accesso a fonti di acqua potabile».

E ancora «Per molti», continua Mioli, «la normalità è non sapere dove potersi curare e battagliare la malnutrizione dei propri figli: oltre un milione di bambini è affetto dalla malnutrizione acuta e sono oltre il 45% delle strutture sanitarie (già non sufficienti prima della guerra) a non essere attualmente operative, con personale sanitario – non o mal pagato – che è meno della metà di quello che sarebbe necessario per raggiungere gli standard minimi necessari. E se queste sono solo alcune delle difficoltà nella vita di tutti i giorni per la grande maggioranza della popolazione, la situazione è ancora più difficile per donne e bambini, e per i gruppi più vulnerabili (persone diversamente abili, sfollati, migranti, rifugiati): è su di loro che l’impatto della crisi ha gli effetti più tremendi, ed è ovviamente per loro in primis che proviamo a dare tutto l’aiuto possibile come attori umanitari nel Paese». 

L’escalation militare

Solo l’escalation militare in Medio Oriente ha riportato l’attenzione sullo Yemen. «La realtà però», continua Mioli, «è che i bisogni sono enormi e la situazione critica della popolazione civile sarebbero stati meritevoli di questa attenzione ogni singolo giorno dei passati anni. L’escalation riacutizza le dinamiche di conflitto che portano allo sfollamento, allo stato di insicurezza, e già ad oggi all’incremento dei prezzi dei beni di prima necessità, direttamente legato al flusso dei beni nel Mar Rosso. Inoltre, questo rende ancora più difficile portare aiuto umanitario ai più bisognosi, per via delle difficoltà di accesso, incremento dei costi, e dei limiti alla mobilità che sono posti dalle dinamiche di conflitto. E questo è già una realtà. Ogni ulteriore escalation militare avrebbe effetti sempre più devastanti e deve essere evitata ad ogni costo, dando priorità alle vie diplomatiche rispetto a qualsivoglia soluzione militare». 


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L’organizzazione umanitaria Intersos lavora in diverse aree del Paese, sia al Nord che al Sud. «Proviamo ad operare nelle zone dove i bisogni sono più rilevanti e altri aiuti per lo più assenti, costruendo le nostre operazioni sulla base del dialogo e del coinvolgimento delle comunità locali», spiega Mioli. «Abbiamo due uffici principali a Sanaa e ad Aden e lavoriamo anche nei governatorati di Hajjah, Taiz, Ibb, Lahjj, Hadramout e Abyan».

Nel 2022 l’organizzazione è riuscita a raggiungere oltre 360mila persone: «Accesso ai servizi sanitari, incentivi e formazione per il personale sanitario, rinnovamento delle strutture e fornitura di medicinali ed attrezzature – con un crescente supporto nelle campagne di vaccinazione – aiuto psicologico e assistenza sociale e legale alle persone più vulnerabili, fornitura di beni di prima necessità e servizi essenziali alle popolazioni sfollate, migranti e rifugiati».

Davanti alle condizioni di vita impossibile del Paese cosa dovrebbe fare la comunità internazionale? «Fare di più, meglio e soprattutto evitare di trattare la crisi come se fosse un’ accettabile “normalità” o come solo un conflitto geo-politico da gestire», dice Mioli. «La soluzione può solo essere mettere al centro l’interesse della popolazione yemenita, con tutte le parti al lavoro diplomaticamente per migliorare le condizioni di vita della popolazione, su tutti i fronti e in maniera sostenibile nel lungo termine, a partire naturalmente da una soluzione diplomatica del conflitto. Ovviamente è molto più facile a dirsi che a farsi». 

Il piano di aiuto umanitario è stato finanziato solo al 39% nel 2023

In Yemen la cooperazione internazionale deve essere messa nelle condizioni di poter lavorare. «La costante diminuzione dei fondi», spiega Mioli, «è purtroppo una tendenza ormai consolidata e che impatta tutte le ong in Yemen – basti pensare che il piano di aiuto umanitario coordinato per il Paese è stato finanziato solo al 39% nel 2023, un drastico calo rispetto agli anni precedenti, mentre il World food program ha recentemente deciso di sospendere l’aiuto di assistenza alimentare nel Nord del Paese, che va a colpire l’accesso al cibo per oltre 9 milioni di persone. L’emergere di costanti nuove emergenze (colera, siccità, inondazioni, rischio di carestia) – dovute al conflitto, ai cambiamenti climatici, alla debolezza del sistema igienico sanitario ed economico, rendono il lavoro delle ong una continua rincorsa all’ultimo problema urgente, senza però riuscire ad andare ad avere un impatto sulle radici del problema. Inoltre, l’insicurezza e instabilità del Paese pongono ulteriori difficoltà di accesso, specialmente nelle zone più remote, che sono accompagnate dai cambiamenti imposti dalle diverse autorità locali e che richiedono continui aggiustamenti nel modo di lavorare e lunghi processi di negoziazione». 

Credit foto AP Photo/Abdulnasser Alseddik

 

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