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Siamo figli di Kennedy

Il non profit negli Stati uniti oggi raggiunge il 12% del Pil. Come ha assunto simili dimensioni? (di Piergiulio Poli).

di Redazione

Neal Newman ci accoglie in uno spazioso ufficio nel nuovissimo National College of Ireland. Il luminoso edificio dalle ampie vetrate sorge nel cuore del prestigioso centro finanziario di Dublino. Fino a dieci anni fa questa zona era occupata dalle spartane casette di mattone rosso costruite per i portuali nell?ottocento. La gente del centro città, una delle popolazioni urbane più povere d?Europa, sono molto fieri di quella che con tono di vittoria definiscono la ?loro università?. I leaders locali hanno avuto un ruolo fondamentale nella creazione di un patto con le società immobiliari. La gente del centro ha acconsentito alla riedificazione dell?area e le società immobiliari hanno costruito un ateneo per gli abitanti espropriati. In realtà l?università per ora attrae pochi giovani del centro città che in grandi numeri continuano ad abbandonare la scuola prima dei quindici anni. C?è ancora molto lavoro da fare per coinvolgere i giovani. Per la gente di qui l?edificio rappresenta comunque la promessa che un giorno si potrà entrare all?università in un ruolo differente da quello di addetto alle pulizie. è il luogo adatto per incontrare Neil Newman che da trent?anni si occupa di ?empowering people? (dare potere alla gente) in Irlanda ed America. È un po? più giovane di un uomo di mezza età, ed è molto affabile ed aperto. L?esuberanza tipica che uno si aspetta da un attivista americano purosangue è stemperata da un parlare calmo e preciso. E? cittadino americano ma ha vissuto per gli ultimi otto anni in Irlanda guadagnandosi una reputazione di leader raramente accordata ad uno straniero. La sua carta vincente è stata l?abilità nel portare gruppi molto diversi a riflettere ed agire lungo linee comuni. È stato molto attivo nella creazione di risposte dal basso in zone endemicamente povere dove disoccupazione e disagio sociale sono la regola. Si è recentemente trasferito al National College of Ireland dove si occupa delle relazioni con istituzioni pubbliche e private che garantiscono il sostentamento dell?università. Dalle prime chiacchiere introduttive è evidente il suo interesse per la costruzione di relazioni con la popolazione locale. Neil ha un vivo interesse per il terzo settore in America e in Europa ed è della sua esperienza americana che voglio discutere con lui. Vita: Mi parleresti un poco del Terzo Settore in America? So che hai un interesse per la storia di ciò che oggi chiamiamo con vari nomi, terzo settore, non-profit, volontariato? Neal Newman: La maggior parte delle attività del terzo settore in America sono finanziate da privati. Questi sono filantropi, gruppi religiosi, associazioni di fundraising, industria privata, fondazioni e banche. Le organizzazioni più forti e più mature sono solitamente sostenute da un ampio mix di fondi. Il non-profit è un settore importante dell?economia americana, fattura il 12% del Pil nazionale. La varietà di organizzazioni è notevole: si va da organizzazioni nazionali come la Croce Rossa sino ai piccoli ?community projects? delle periferie urbane. È un settore altamente professionalizzato con una rete di università che accreditano diplomi di laurea in numerose aree di specialità. Se dovessi darti un?idea della storia del settore si potrebbe farla cominciare con le case di prima accoglienza per gli immigrati nelle nascenti grandi città americane del settecento. Erano organizzazioni essenzialmente religiose che provvedevano servizi ai primi operai della storia, quelli che hanno fatto la rivoluzione industriale in America. In alcuni casi queste organizzazioni avevano legami con i precursori dei sindacati ma non avevano nessuna connotazione politica, offrivano servizi. Gli immigrati provenienti dal vecchio continente avevano bisogno di vestiti, casa, cibo e lezioni di inglese. Nell?ottocento e novecento il terzo settore si espande notevolmente beneficiando del supporto statale e del più generale sviluppo economico americano. Vita: Fu Kennedy però a dare la grande spinta al terzo settore americano? Newman: Sì, la sua amministrazione creò tre livelli di attività non-profit tutte supportate direttamente dal governo federale. Al primo livello erano attività anti-povertà, gestite a livello locale. Queste erano vere e proprie organizzazioni non-profit impegnate nella formazione di leader locali e rigenerazione economica. Un secondo livello, finanziato congiuntamente dal governo federale e dai singoli stati membri, supportava i progetti locali attraverso training e fondi. Il terzo livello era federale e si occupava dello sviluppo di politiche nazionali, soprattutto per combattere la povertà. La crescita del settore è continuata costantemente sino alla amministrazione Carter. Vita: Invece le amministrazioni repubblicane come si sono comportate? Newman: Le amministrazioni successive -comprendendo George Bush junior- hanno decentralizzato la distribuzione dei fondi e la coordinazione degli interventi ai governi statali, tendenzialmente repubblicani e conservatori. Ciò ha reso le organizzazioni molto vulnerabili ed eccessivamente dipendenti dal supporto statale. L?attuale amministrazione Bush ha inoltre preferito investire sulle grandi organizzazioni religiose nazionali invece di supportare le organizzazioni di base create dall?amministrazione Kennedy. L?attuale Presidente degli Stati Uniti ha lanciato un programma di supporto nazionale per organizzazioni religiose non-profit (Faith based non-profit activities) che ha suscitato un coro di proteste da parte delle associazioni laiche. Vita: Cos?è successo al network di organizzazioni che si era formato durante l?amministrazione Kennedy? Newman: C?è una regola sempre valida negli Stati Uniti. Quando le amministrazioni statali e Federali sono Repubblicane i Democratici e le organizzazioni progressiste tendono ad impegnarsi in azioni indipendenti a livello di base. Coalizioni di interessi statali e federali tendono oggi ad emergere solo da questo livello attorno a problematiche specifiche e all?ordine del giorno. Altri problemi, non direttamente legati al non-profit, come la guerra in Iraq o le relazioni con l?Europa hanno favorito la creazione di coalizioni e di un dibattito vivissimo a livello nazionale. La maggior parte delle iniziative alla base si stanno comunque orientando verso la diversificazione dei fondi e programmaticamente si rendono meno dipendenti dal supporto statale. Vita: Ma il programma lanciato da Clinton non andava in questa direzione? Newman: Sì, è stata l?unica politica nazionale in contro tendenza saldamente nelle mani del governo federale, basata sulle organizzazioni create negli anni ?60 da Kennedy, la si deve a Bill Clinton. Durante la sua presidenza rilanciò il programma di supporto alla creazione di impresa che aveva come distributori piccole organizzazioni locali che sono tuttora in attività. Queste sono piccole organizzazioni non-profit che mantengono il loro capitale in un Trust costituito da un comitato di direttori volontari. I direttori delle piccole organizzazioni sono rappresentanti delle comunità locali, gruppi religiosi, imprenditori, rappresentanti dei sindacati e rappresentanti delle autorità civiche. Questa rete è a tutti gli effetti un sistema bancario alternativo per la creazione di attività economiche in zone depresse ma offre anche formazione e attività volte alla rigenerazione sociale. Il governo ha creato un sistema di indicatori sociali e selezionato circa 3.500 zone urbane e rurali dove partecipazione scolastica, condizioni delle abitazioni e densità di medici sono particolarmente basse. Vita: Che bilancio si può fare di questo programma? Newman: Bisogna dire che si tratta di progetti che non potrebbero comunque funzionare se non fosse per il supporto offerto da organizzazioni religiose volontarie (charities). Queste si occupano soprattutto dei servizi nell?area del supporto di famiglie indigenti, educazione dei bambini, orfani e senzatetto. La sanità è invece un?altra area emergente per il non-profit. Gli attori principali in questo settore sono gli ospedali universitari, che offrono i loro servizi gratuitamente o a tariffe calmierate. Questi in generale hanno un numero di reparti specialistici di molto inferiore a quello degli ospedali privati (per i quali serve una assicurazione) e hanno liste d?attesa piuttosto lunghe. In compenso questi ospedali offrono medici generici, infermieri e consultori nelle zone più disagiate o inaccessibili. Vita: Com?è stata la tua esperienza personale nel non-profit? Newman: Ho iniziato a lavorare con gli indiani d?America a Chicago: erano quelli che si trasferivano dalle riserve alla periferia della città. La maggior parte della nostra attività consisteva nel cercare casa e nell?organizzare attività di aggregazione. La campagna che ha avuto maggiore successo fu quella contro gli ospedali pubblici che rifiutavano di accettare gli indiani. Questa reticenza era dovuta al fatto che in molti casi l?ospedalizzazione era il risultato dell?alcolismo, un problema grave tra di loro. Alla fine degli anni ?70 organizzammo una serie di paw-haw (danze tradizionali) di fronte all?ospedale e invitammo la stampa. Le dimostrazioni furono un successo, e gli ospedali ricominciarono ad accettare gli indiani. Dopo questa esperienza mi sono interessato ai senza tetto. Chicago ha circa 100,000 senza tetto (homeless) su una popolazione di 3 milioni e mezzo. Al nord fa molto freddo e ogni inverno centinaia di persone muoiono sulle strade. Vita: Poi ha fondato The Acre, un progetto unico nel suo genere. Di che cosa si trattava? Newman: Eravamo verso la fine degli anni ?80 in un quartiere povero di Lowell Massachusset, a nord di Boston. Questo era un progetto di rigenerazione urbana sostenuto al 75% da un mix di 45 diversi fondi privati e al 25% da fondi federali. The Acre ha portato 10.000 persone di comunità diversissime tra loro a prendere responsabilità per la completa rigenerazione del loro quartiere. In circa 7 anni l?organizzazione non-profit ha costruito 700 appartamenti, ristrutturato un?area industriale da anni dismessa e facilitato la creazione di oltre cento piccole imprese. In una delle zone etnicamente più disomogenee dello stato tutto ciò è stato possibile grazie al contributo di organizzazioni religiose e laiche ispano-americane, vietnamite e greche. Il segreto del successo di The Acre sta nell?approccio olistico. La creazione di cooperative immobiliari e la formazione dei comitati per la gestione dei condomini erano il punto di partenza di una strategia di intervento territoriale più ampia. L?inclusione di investimenti privati nella costruzione di appartamenti aumentavano la nostra credibilità con le casse di risparmio che concedevano fondi agevolati per piccoli prestiti a imprese. Attorno alle azioni di tipo economico gli attivisti di The Acre (22 in totale) sponsorizzano azioni di rigenerazione sociale tra cui attività per gli anziani, scuole di lingua, creazione di asili e doposcuola.

Piergiulio Poli


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