Cooperazione internazionale

Ong, le novità del nuovo contratto nazionale per i co.co.co.

Dalle organizzazioni non governative un esempio di lavoro in cui la flessibilità si coniuga con i diritti del lavoro. Quel che ne esce è un modello contrattuale attrattivo per i lavoratori e utilizzabile anche in altri contesti del Terzo Settore

di Paolo Stern e Sara di Ninno

Ottobre 2004 – dicembre 2023: sono trascorsi venti anni dalla firma del primo Accordo Quadro per la regolamentazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nel settore della cooperazione internazionale. Venti, che hanno visto un profondo cambiamento della normativa del lavoro ma anche, e più in generale, del contesto economico e sociale nazionale.

L’accordo collettivo del 2004 completava la disciplina di una neo-nata norma (c.d. “Legge Biagi”) che istituiva il contratto a progetto (evoluzione della collaborazione coordinata e continuativa), strumento all’epoca innovativo e che doveva coprire un vuoto di regolamentazione di una fattispecie giuridica non pienamente riconducibile né alla subordinazione né all’autonomia propria della libera professione. Un contratto estremamente conveniente dal punto di vista economico rispetto a quello subordinato, vuoi per l’assenza di un minimo di compenso, che per la mancanza di maturazione di istituti differiti, che ancor più per versamenti contributivi molto vantaggiosi. Questa estrema convenienza ha reso la tipologia contrattuale molto gettonata, nonché, già nel breve periodo, molto abusata. Si è assistito, così, alla scrittura di fantasiosi “progetti” per addetti alle vendite, personale di sala nei pubblici esercizi, addetti alla segreteria, e persino addetti alle pulizie.

Gli utilizzi impropri della collaborazione coordinata e continuativa

Vari interventi di prassi si sono succeduti nel tempo per cercare di limitare gli utilizzi impropri della collaborazione coordinata e continuativa a progetto. Tipico esempio di ciò furono le circolari che elencavano una serie di attività tipicamente riconducibili alla subordinazione e per cui quindi non risultava ammissibile il contratto a progetto, o l’invito ad avviare l’istituto della certificazione del contratto, al fine di fornire garanzie alle parti contraenti e prevenire il contenzioso sulla qualificazione contrattuale. Tutto ciò non raggiunse però lo scopo prefissato e il legislatore sentì l’esigenza di intervenire di nuovo sulla tipologia contrattuale. Nel 2012 La “Riforma Fornero” infatti intervenne per riscrivere la disciplina del contratto a progetto, limitandone il campo di applicazione e soprattutto prevedendo un compenso minimo legato alla contrattazione nazionale specifica o, in assenza, a quella applicata dal committente ai propri dipendenti. Fu proprio a seguito di questo rilevante intervento normativo che le Parti sociali del “mondo ong” ritennero opportuno aprire un nuovo tavolo di contrattazione collettiva e ridefinire gli elementi essenziali di una tipologia contrattuale ormai molto diversa da quella del lontano 2004. 

L’accordo del 24 aprile 2013

L’Accordo del 24 aprile 2013 costituisce uno dei pochissimi esempi di contrattazione nazionale specifica per la collaborazione coordinata e continuativa (nonostante la norma ne facesse rimando), nonché il primo strumento giuridico che di fatto avvicina molto il lavoro parasubordinato alle tutele di quello subordinato, superando in tal senso la norma stessa. L’Accordo prevede infatti compensi del tutto equiparabili alle retribuzioni dei lavoratori subordinati, diritti legati alla malattia, alla maternità, al riposo psicofisico (raffinata formulazione giuridica per denominare quel che normalmente si dice: ferie), libero recesso dal rapporto solo per il collaboratore. 


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Nel 2015 il legislatore è intervenuto nuovamente sulla regolamentazione del contratto a progetto, abrogando le previsioni normative del 2012 e tornando di fatto al quadro ante 2003, ossia alla mera collaborazione coordinata e continuativa, priva di un progetto e di qualsivoglia disciplina specifica. In questo contesto la contrattazione collettiva diventava ovviamente fondamentale, in quanto unica effettiva tutela del collaboratore. Questo è il quadro in cui si colloca il rinnovo dell’accordo del 2018, che si presenta molto simile nella struttura e nel contenuto a quello del 2013, con la non trascurabile differenza che nel 2013 l’Accordo recepiva ed ampliava le tutele normative, nel 2018 ne faceva completamente le veci.

L’accordo del 4 dicembre 2023

La scadenza dell’Accordo del 2018 ha nuovamente chiamato le Parti sociali al tavolo delle trattative, che hanno portato, dopo diversi mesi di confronto determinati anche dalle difficoltà connesse alla pandemia, alla sottoscrizione dell’accordo del 4 dicembre 2023, decorrente dal primo gennaio 2024.

L’accordo costituisce ancora l’unica fonte di disciplina della collaborazione coordinata e continuativa, e si arricchisce di ulteriori tutele per i collaboratori:

  • Incremento dei compensi minimi, con una ulteriore maggiorazione rispetto all’accordo precedente.
  • Introduzione, in caso di matrimonio o di unione civile ai sensi della normativa vigente, il diritto del collaboratore alla fruizione di 15 giorni di congedo retribuito. Lo stesso viene previsto in caso di gravi motivi (che dovranno essere adeguatamente giustificati e documentati).
  • Integrazione delle tutele per eventi di malattia: rimane la previsione della sospensione della prestazione in caso di malattia, per la durata massima di 1/6 del contratto (o 30 giorni laddove non sia previsto un termine espresso ma determinabile). Viene però integrata una previsione di copertura economica (da parte dell’osc) nell’anno solare per la malattia di massimo 21 giorni: per quattro eventi di malattia: quattro giorni di calendario per ogni singolo evento di malattia; per un ulteriore evento di malattia: cinque giorni di calendario;  per la maternità rimane la previsione della proroga pari al periodo di astensione per congedo di maternità e/o parentale che la collaboratrice intende fruire, nel limite massimo di 180 giorni, ma viene integrata la copertura economica in relazione al all’evento di parto, adozione o affido di minore, che passa da 800 euro a mille Euro (in caso di collaboratrici che non dovessero aver maturato i requisiti per accedere all’indennità di maternità l’importo deve considerarsi elevato ad euro 2000). 
  • Viene introdotto il diritto all’elezione/designazione della rappresentanza sindacale: le organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo, potranno designare e/o eleggere, ai fini contrattuali, loro rappresentanti come segue:
    • in caso di presenza di almeno 5 collaboratori all’interno di una osc potrà essere designato o eletto 1 rappresentante sindacale;
    • in caso di presenza di almeno 15 collaboratori potrà essere designato o eletto 1 rappresentante per ogni organizzazione sindacale firmataria del presente accordo.

Ai rappresentanti sindacali è inoltre riconosciuto un permesso retribuito per esercitare la propria attività pari a 0,5 giorni ad anno, con tetto massimo di 27 giorni ad anno civile, per ogni collaboratore in forza al primo gennaio dell’anno di riferimento. 

  • Ridefinizione (con alcune integrazioni) della copertura delle polizze assicurative dei collaboratori (a carico delle osc).

    Ad oggi il contratto co.co.co. nel settore delle osc/ong costituisce una forma contrattuale (che può essere anche a tempo indeterminato) che si differenzia dal rapporto di lavoro subordinato per la modalità di svolgimento della prestazione che risulta autonoma e libera nella determinazione di luoghi e orario di lavoro, pur se coordinata con specificità dell’incarico concordato con la osc committente. Nel tempo è notevolmente aumentato anche il costo che deve sostenere il committente per un collaboratore inquadrato come co.co.co., non solo per la previsione del compenso minimo, ormai di fatto pari a quello del lavoratore subordinato, ma anche per il graduale aumento dell’aliquota contributiva Inps, arrivata oggi al 35,03% (contro il 17,30% del 2004), con l’ovvia conseguenza della minore appetibilità della tipologia contrattuale per quei soggetti che fossero attratti solo da un illusorio risparmio economico. Si comincia, al contrario, a registrare il nuovo fenomeno di lavoratori che richiedono di mutare la qualifica di subordinati con quella di collaboratori. Un meccanismo che solo qualche anno fa sarebbe stato impensabile e invece ora, con una tipologia contrattuale solida e rafforzata dalle tutele della contrattazione nazionale, è supportato dalla richiesta di maggiore autonomia che viene proprio dalle nuove generazioni e che mal si concilia con la rigidità del rapporto subordinato.

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Anche per questo il contratto collettivo nazionale di lavoro delle osc risulta essere un interessantissimo modello da esportare sia nel resto del terzo settore che nel comparto profit, un modello in cui l’autonomia viene accompagnata da diritti e tutele sociali, un modello anni luce lontano dal concetto di precariato ma che raccoglie gli insegnamenti del professor Biagi nel tentativo di costruire uno statuto dei lavori. Lo scambio tempo/retribuzione, tipico del rapporto di lavoro subordinato, risulta, e risulterà sempre di più, anacronistico rispetto alle esigenze del mercato del lavoro (intese come esigenze di entrambe le parti contrattuali). Esperienze come lo smartworking hanno tracciato la strada: i risultati saranno sempre più importanti rispetto ai tempi della prestazione e la libertà di gestione sarà, unitamente a una equa remunerazione, la prima istanza delle nuove generazioni. 

Credit foto Pixabay

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