Welfare

Cassazione: il clandestino non è tenuto a mostrare documenti

Lo ha deciso la Terza Sezione Penale della Suprema Corte: "la condizione di clandestinità, che non è oggi sanzionata penalmente, non può trovare surrettizie sanzioni penali"

di Benedetta Verrini

Un monito rivoluzionario, riguardo alla condizione degli stranieri clandestini, è giunto dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 31990 del 29 luglio 2003. La Suprema Corte ha stabilito che lo straniero presente in Italia in condizione di clandestinità non è obbligato a esibire il documento di identità alle autorità che ne facciano richiesta, e pertanto il suo rifiuto non costituisce reato in quanto la norma incriminatrice si applica solo ai cittadini extracomunitari con regolare permesso di soggiorno. Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Suprema Corte, decidendo il caso di un albanese condannato per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale ma prosciolto dall’accusa di mancata esibizione senza giustificato motivo di un documento identificativo perché “il fatto non sussiste”. Per tale motivo il Procuratore Generale di Firenze aveva fatto ricorso in Cassazione chiedendo la condanna anche per quest’ultimo reato. La Cassazione ha invece respinto il ricorso, spiegando che lo straniero clandestino non ha l’obbligo di munirsi di un documento di identificazione, mentre tale obbligo grava certamente sul cittadino extracomunitario munito di regolare permesso di soggiorno, al quale solamente è applicabile la norma penale in questione. Secondo i giudici, se il clandestino fosse obbligato ad esibire un documento di identità, paleserebbe il suo stato di clandestinità, e in tal modo “si violerebbe il principio secondo il quale nessuno può essere tenuto ad agire contro se stesso”; pertanto, concludono i Supremi Giudici, “la condizione di clandestinità, che non è oggi sanzionata penalmente, non può trovare surrettizie sanzioni penali, attraverso un sistema che criminalizzi indiscriminatamente l’inadempimento di meri oneri di natura amministrativa”.


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