Welfare
Madri detenute Regole più umane
Camera: regole più umane per le detenute con figli minori nel disegno di legge n. 4426 presentato dal presidente del Consiglio e dai ministri per le Pari opportunità e della Giustizia lo scorso 24 dic
di Redazione
Tutelare la relazione madre-figlio in considerazione del suo profondo valore affettivo e della sua utilità per un sano sviluppo psico-fisico del bambino. Questo lo scopo dichiarato del disegno di legge di iniziativa governativa ?Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori?, presto all’esame della competente commissione. Attualmente la legge prevede due misure per favorire il rapporto madre-figlio: il differimento dell?esecuzione della pena (obbligatorio nei confronti della donna incinta o che abbia partorito da meno di sei mesi, facoltativo se la madre ha partorito da più di sei mesi ma meno di un anno) e la detenzione domiciliare (applicabile solo alle detenute che devono scontare pene non superiori a tre anni e solo fino al compimento del quinto anno di vita del bambino). Se non sussistono i requisiti per l?applicazione di questi due istituti, sarà il bambino a seguire la madre in carcere dove potrà rimanere fino al compimento del terzo anno d?età. Il disegno di legge, in sostanza, amplia la portata del differimento obbligatorio della pena (da sei mesi a un anno di età del figlio) ed estende l?applicabilità della detenzione domiciliare alle donne incinte o madri di figli di meno di 10 anni quando la pena inflitta o residua non superi i quattro anni. Inoltre, introduce la detenzione domiciliare speciale rivolta alle donne che devono scontare una pena più lunga di quattro anni (e ne hanno espiato già un quarto) e hanno figli minori di otto anni. Al compimento dell’ottavo anno di età del bambino, tale beneficio potrà essere prorogato. A controllare la condotta della madre sarà il servizio sociale. Le nuove norme si applicano anche ai padri detenuti quando la madre è morta o non può assistere la prole. Sono esclusi i genitori che hanno perso la potestà sui figli.
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