Formazione

Così il suo sorriso rivive

Davide Perbellini non può dimenticare quel giorno sull’autostrada. Ma dal dolore per la perdita della sua ragazza è nato un impegno e una solidarietà inaspettata: una associazione che ha per scopo far

di Sergio Lucci

«Sì, una volta arrivato a San Giovanni Lupatoto, vicino a Verona, mi trova sul viale principale del paese; dopo il distributore di benzina sulla sinistra, c?è il cartello dell?azienda, io sono lì». Entriamo e un attimo prima di premere il campanello dell?abitazione già sentiamo la voce di Davide Perbellini provenire dall?altra parte del cortile, dagli uffici dell?azienda. La famiglia Perbellini sembra essere un buon esempio del cosiddetto fenomeno economico del Nordest, che interessa tanto i manager giapponesi quanto gli economisti di Harvard. Imprese di medie dimensioni che sanno ancora di focolare domestico e che però comprano materie prime o semilavorati nell?Est europeo o in Indonesia per poi vendere in tutto il mondo prodotti finiti creati in indotti locali che danno lavoro a centinaia e centinaia di persone. Gente sveglia, che magari non ha il master alla London School of Economics ma che lavora anche nei giorni di festa. Nella storia di Davide c?è tutto questo ma anche dell?altro: qualcosa scoperto nel giorno più triste della sua vita. Il folle gioco di tre ragazzi Era il 28 dicembre del 1993 quando Davide e la sua fidanzata Monica Zanotti stavano viaggiando sull?autostrada del Brennero. Forse parlavano di come avrebbero trascorso il Capodanno che si stava avvicinando; forse avevano già deciso di sposarsi, e stavano progettando un pezzo del loro futuro; o più semplicemente si godevano uno di quei silenzi così piacevoli tra due persone che si amano. Poi, all?altezza del Parco Zoo Safari, con i suoi finti dinosauri che si vedono anche dalla strada, all?improvviso il tettuccio in plexiglas della loro Renault Espace viene sfondato da un sasso di 15 chili che colpisce la ragazza. Monica muore così, a venticinque anni, vittima di una criminalità gratuita e nuova, che non è spinta da semplice follia o dalla ricerca di denaro. Nove giorni dopo vengono arrestati tre ragazzi poco più che ventenni: era solo un modo per passare il tempo, spiegarono. Un gioco, non immaginavamo, non volevamo uccidere nessuno. Dalla fiera giornalistica di commenti sul perché di un gesto simile, emerse una condanna unanime alla società del Triveneto, alla sua ricerca di ricchezza economica raggiunta spendendo ogni energia umana e al prezzo di perdere i più elementari valori della solidarietà e del rispetto per gli altri; giovani che potevano avere tutto senza fatica, giovani dalla vita forse troppo noiosa, giovani cresciuti senza che i genitori si occupassero di loro, troppo impegnati com?erano a far soldi nelle loro piccole e fiorentissime aziende. Una società tutta dedita al lavoro. La stessa società da cui proviene anche Davide. Un giovane anch?egli impegnato nell?azienda della sua famiglia, anch?egli convinto che: «ciò che conta davvero è la concorrenza, l?essere sempre migliori degli altri, magari di poco, curando i dettagli del funzionamento dell?intera azienda, rischiando di lavorare giorno e notte e di trascurare altre cose nella vita». Ma Davide è convinto, oggi più che mai, che nella vita c?è pure qualcos?altro per cui vivere e lottare. Qualcosa che dopo la morte della sua Monica gli è ora molto più chiara. «Non tutta la società è così» Sì, nella storia di Davide c?è dell?altro: non solo un rassegnato dolore per la scomparsa di Monica, ma una reazione positiva, una spinta a creare qualcosa di concreto che possa servire agli altri. «Ho sempre cercato di evitare di colpevolizzare il mondo intero per quello che mi è successo», continua Davide. «Su quel ponte c?erano tre persone che, secondo me, hanno agito consapevolmente. Però qualcosa del male in loro è stato prodotto anche dall?ambiente in cui hanno vissuto». Spinti da questa convinzione, Davide e i famigliari di Monica già qualche mese dopo l?incidente hanno fondato l?Associazione Monica Zanotti, con lo scopo – come si legge nello statuto – di far crescere nella società ?la consapevolezza sulle conseguenze dell?agire di ogni essere umano?. «Si sono ben presto associati, oltre agli amici miei e di Monica, anche altre associazioni locali, molti professionisti, gruppi di genitori e gente comune», precisa Davide Perbellini. «È stato anche un modo per testimoniare che non tutta la società in cui viviamo è composta da gente come quella che ha ucciso Monica». Ma al di là di questo aspetto simbolico, l?associazione si è anche impegnata sul campo, ottenendo risultati di rilievo. Davide spiega che si è cercato un impegno a 360 gradi sulla problematica giovanile e il pericolo sulle strade. «Con alcuni amici psicologi abbiamo prestato grande attenzione al mondo delle scuole, organizzando spesso incontri con i ragazzi: non semplici conferenze di esperti, ma veri e propri dialoghi nei quali si chiedeva loro di parlare di cosa pensavano della vita, del loro avvenire. È un?esperienza che dà ottimi risultati, al punto che tra i soci abbiamo proprio molti studenti o intere scuole. Quest?anno avvieremo anche una borsa di studio che interesserà gli studenti del Veronese e un concorso per temi sui problemi dei giovani». Assistenza legale e psicologica All?indomani della morte di Monica si crearono quasi spontaneamente dei gruppi di volontari che vigilarono sui cavalcavia per impedire episodi di emulazione. Col passare del tempo poi l?associazione è riuscita ad ottenere che la loro presenza fosse sostituita da reti metalliche abbastanza alte. Questo progetto ha finora interessato il Veneto e la Lombardia, ma si sta ampliando anche al resto del Nord Italia. «L?idea di mettere delle fotografie di Monica con scritte del tipo ?Un sasso può spegnere per sempre un sorriso. Non farlo!? non è mai stata abbandonata, ma forse sarebbe meglio una figura stilizzata…». C?è poi tutto il lavoro legato all?assistenza di famiglie e ai ragazzi vittime di incidenti stradali. A essi si offre, tramite i soci avvocati, un aiuto su come muoversi in sede legale o un aiuto di altro tipo attraverso gli psicologi. Davide, cosa rappresenta per lei l?Associazione dedicata a Monica? «È stato uno dei tanti modi per continuare, per vedere che la vita doveva andare avanti lo stesso. Adesso è una conferma del fatto che attorno a noi ci sono tante persone civili disposte a impegnarsi per una società dove fatti come quelli accaduti a Monica non succedano più».


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