Formazione

Vite appese a un farmaco

Per salvare il figlio Alessandro, 4 anni, affetto da una rarissima malattia, il padre lascia Brindisi e si trasferisce a Latina. «Spendevamo 2 milioni al mese. Qui è tutto gratis». Come Graziano. Ch

di Cristina Giudici

Emigrare per continuare a vivere. Non è una frase retorica, ma la verità vera. È successo in Puglia e in Umbria, dove due famiglie hanno dovuto cambiare residenza per ottenere gratuitamente i farmaci dalla Asl. Ma il fenomeno è molto più esteso. Così per Angelo Altavilla, sottoufficiale dell?Aeronautica di Brindisi e padre di Alessandro, 4 anni, affetto sin dalla nascita dal deficit del ciclo dell?urea (una malattia metabolica rarissima), che per continuare a vivere ogni giorno deve alimentarsi con cibi ipoproteici e assumere ogni sei ore farmaci a base di benzoato di sodio, levocitrullina, levoarginina. Così per Graziano Pittigliani, padre di una bambina di 7 anni, colpita dal deficit di ornitina carbamil transferasi, che per tutta la vita dovrà nutrirsi con integratori alimentari a basso contenuto proteinico, prendere vitamine e curarsi con la citrullina e benzoato di sodio. Per entrambi la stessa sorte, la stessa maledetta storia. La asl che non passa i farmaci, le regioni che utilizzano il criterio della discrezionalità per i farmaci a uso ?compassionevole?e la malattia che non permette distrazioni. Per entrambi la difficile decisione di piantare baracca e burattini e lasciare tutto: la casa, la famiglia, gli amici, e chiedere il trasferimento sul posto di lavoro. «Per tre anni ho speso 2 milioni al mese per farlo vivere e dargli l?illusione di una vita normale; indebitandomi, chiedendo aiuto a genitori e amici. Poi ho saputo della circolare 52 della Regione Lazio: abbiamo lasciato tutto e ci siamo trasferiti a Latina», racconta Angelo Altavilla. «È come se Alessandro avesse la Ferrari senza le chiavi. Poco dopo essere nato, è entrato in coma; l?hanno ricoverato per sospetto di meningite e i medici non sapevano dove mettere le mani finché, all?Ospedale del Bambino Gesù di Roma, gli hanno diagnosticato una malattia metabolica rarissima che ha colpito 17 bambini in tutto il mondo. Se non prende i farmaci ogni sei ore o mangia qualsiasi cosa che non siano verdure o cibi appositi, si sprigiona una sostanza velenosa che lo può uccidere». E poi tutto il resto. La malattia, la paura di non farcela ad avere i soldi tutti i mesi, la vita di Alessandro appesa a un filo; la speranza che si trovasse qualche maledetto anticorpo per uccidere il veleno che gli arriva dal fegato; la sua consapevolezza che a 4 anni lo ha portato a capire cosa può mangiare e cosa deve rifiutare. «Un giorno ci hanno detto che la Asl del Lazio passava questi farmaci gratis, e abbiamo pensato che forse eravamo salvi; siamo andati a Latina, dove per sei mesi una dottoressa bravissima ci ha preparato le medicine gratis, sedici milioni di polverine, mentre aspettavamo la certificazione da parte della Asl, che alla fine è arrivata e così è cessato l?inferno. Qui però non abbiamo la famiglia, gli amici sono pochi e ho dovuto anche cambiare lavoro…». Una malattia che non è riconosciuta ufficialmente e i farmaci troppo cari, stanno costando molto anche a Graziano Pittigliani che sta per lasciare Città Castello, cittadina umbra , per poter curare sua figlia di 7 anni. «Fino a oggi abbiamo pagato un ticket che equivaleva a un terzo della spesa dei medicinali e del cibo ipoproteinico passati dalla Asl, ma dal prossimo febbraio la Regione umbra non ce li dà più e noi siamo costretti a emigrare in Toscana, dove invece la Asl distribuisce gratuitamente le medicine di cui abbiamo bisogno», spiega amareggiato il signor Pittigliani, padre di due gemelle, di cui una colpita da una malattia metabolica rara. «Fino a ora ce la siamo cavata perché abbiamo dovuto pagare solo 200 mila lire al mese, ma da febbraio sarà mezzo milione e per tutta la vita, non so se mi spiego. Il benzoato di sodio e la citrullina sono molto cari e la Regione non vuole più darceli. Faccio un appello attraverso ?Vita? affinché le Asl uniformino tutti gli standard di cura, anche se si tratta di malattie rare».


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