Famiglia
Missione a Pyongyang
Già distribuite 80 tonnellate di medicinali e alimenti per salvare la vita a migliaia di bambini minacciati dalla morte per fame. Il controllo delle autorità é ferreo, ma qui gli italiani sono amic
«Ma ti sembra che faremmo morire i bambini lungo le strade?». Mi trovo a Pyon- gyang, e il mio interlocutore nordcoreano mostra di indignarsi quando gli leggo la notizia dell?agenzia Reuter appena ricevuta dalla sede centrale del Cesvi. Una frase retorica che nasconde un doppio senso orientale? È vero, cadaveri in strada non ne ho incontrati, ma l?agenzia cinese Xinhua, citando fonti ufficiali nordcoreane, stima in 2 milioni e 800 mila i morti per le ?calamità naturali? (più del 10% della popolazione!).
In Corea del Nord, un contatto diretto con la popolazione è impossibile. Tutte le informazioni sul Paese restano affidate agli interpreti e a quel che vedi in visite accuratamente programmate. L?interprete ti prende in consegna appena scendi dall?aereo e non ti lascia più, gentilissimo e inflessibile nel seguire l?agenda degli impegni. Del resto la mia missione, come presidente del Cesvi, non è un?indagine sulla gravità della situazione (dall?Onu definita catastrofica), ma la verifica degli aiuti d?emergenza organizzati dal Cesvi grazie a migliaia di italiani e a Echo, l?ufficio per gli aiuti umanitari dell?Ue.
All?arrivo a Pyongyang (con un volo da Pechino, unico collegamento aereo con il resto del mondo) mi aspetta Azar Urbani, la logista del Cesvi, in Corea del Nord dal 15 ottobre. Suo marito Massimo Urbani e Francesco Leoni (capoprogetto medico e infermiere professionale) lavorano a Haejou nella distribuzione di medicinali. Facciamo il punto sulla situazione del Paese, alle prese con fame, mancanza di medicine, di acqua potabile, di energia elettrica. Le alluvioni hanno inferto un colpo decisivo a una crisi economica annunciata.
L?indomani, nella fredda Pyongyang (temperature fino a meno 20), visito l?ufficio Cesvi: due stanze con mobili di fortuna nello stesso appartamento dove abitano Massimo, Azar e la loro piccola Aryana. Qui alloggiano alternandosi anche i due interpreti coreani.
Gli Urbani hanno già distribuito 80 tonnellate tra medicinali, siringhe, garze. Tutto materiale partito in dicembre da Bergamo con due carghi aerei. Altri due voli sono programmati entro febbraio con altre 80 tonnellate di medicinali e alimenti per bambini. In ciascuno dei 700 ospedali e presidi sanitari della provincia di Houngue e Kaesong il Cesvi ha consegnato i kit con i medicinali e i materiali sanitari indispensabili contro fame e infezioni.
Il controllo sulla distribuzione degli aiuti è ferreo: per ogni scatolone consegnato viene richiesta apposita ricevuta sottoscritta dal direttore sanitario. In effetti, la carestia qui non ha la stessa faccia di quella che siamo abituati a conoscere nel continente africano. In Corea del Nord la struttura sociale mantiene immutati i caratteri della struttura burocratica solida e ramificata di un sistema statale di tipo socialista.
Ma una pur accurata e controllata distribuzione di medicinali non basta. Bisogna spiegare ai medici e agli infermieri coreani come usare i farmaci, in quali dosi, con quali indicazioni. Per questo Massimo ha scritto un manuale di aggiornamento professionale, per questi dottori che da anni non vedono nemmeno l?aspirina. Massimo è autorevole e ascoltato, la sua competenza è riconosciuta anche tra gli stranieri al punto che gli è stato affidato il coordinamento sanitario del meeting settimanale che si tiene tra le associazioni europee qui presenti. L?aggiornamento è rivolto a medici che non conoscono lingue straniere: solo alcuni spiccicano qualche parola di russo, e il lavoro degli interpreti è fondamentale.
Nelle città di Kaesong e di Haejou dire Cesvi significa Italia. Il prefetto di Haejou (equivalente al presidente di una nostra giunta regionale) loda gli italiani, «tra i primi ad accorrere in nostro aiuto». Mi chiede anche se è possibile inviare un?autoambulanza per i casi più gravi e durante il ricevimento continua a ringraziare e a brindare alla nostra amicizia, ricordando il famoso Pak Doo Ik che ci escluse dai mondiali di calcio nel 1966. Un briciolo di orgoglio per un popolo messo in ginocchio.
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