Formazione

La tossicodipendenza e il disagio giovanile

di Redazione

Si è tenuto in questi giorni a Sorbolo (Parma) un dibattito sul tema «Giovani tra disagio e devianza: la tossicodipendenza». All’incontro, organizzato dall’assessorato al Progetto Giovani in collaborazione con il Centro studi l’Orizzonte, sono intervenuti alcuni esperti del settore: Flavio Amico, Cristina Adravanti, don Umberto Cocconi del Cso e Paolo Volta del Sert. «Questi incontri sono voluti per cercare di dare un supporto in fatto di conoscenza soprattutto ai genitori con figli che si apprestano ad entrare nell’età dell’adolescenza, fase molto importante nel processo di crescita emotiva del ragazzo _ ha spiegato la psicologa Adravanti _ ed è per questo che cercheremo di chiarire alcuni punti fondamentali che possano essere di utilità, come ad esempio: come si è evoluto il mondo della tossicodipendenza e quali sono le strategie ed i servizi a disposizione». Dall’intervento di Volta, operatore del Sert, emerge che fino a 10 anni fa sarebbe stata impensabile una esigenza di cooperazione tra le varie realtà coinvolte in questa problematica: «Vi è sempre più la necessità di collaborazione in questo settore perché diverse e complicate sono le realtà e le motivazioni nella tossicodipendenza. La persona che anni fa si avvicinava alla droga lo faceva perché sentiva imperante la necessità di cambiamento a tutti i costi, oggi il tossico non ha più la volontà di contrapposizione; è una persona inserita normalmente nel mondo del lavoro e per una sorta di mimetismo sociale cerca di procurarsi questo finto benessere, quasi come un obbligo imposto dalla società e qualsiasi mezzo è lecito per raggiungerlo. Noi, come Sert interveniamo quando purtroppo il problema già esiste e diversi sono i metodi di cura per ogni persona. L’esperienza però ci ha insegnato che il fattore predominante è il tempo, più a lungo si riesce a trattenere il giovane presso le strutture e più vi è la possibilità di instaurare un rapporto di fiducia e collaborazione». Dalla relazione di Amico, direttore del Cso, l’emergente aumento del problema droga è vissuto come forma di relazione con il proprio disagio sociale, viene ricercata fondamentalmente una risposta a domande come: chi sono, a che gruppo appartengo, cosa faccio nella vita. «Risulta facile darsi risposte in modo diretto, per mezzo della droga, perché con essa sicuramente si appartiene a quel gruppo. La cosa più difficile per chi opera nel settore è cercare di dare risposte diverse a quelle domande. Si cerca di dare la possibilità alla persona di trovare o ritrovare se stesso con una rivalutazione dell’individuo ed un lavoro lungo e costante». «Molte volte mi sono chiesto cosa spinge una persona ad intraprendere l’attività di volontariato in questo settore _ ha detto a sua volta don Cocconi del Cso _ a volte capita di trovarsi di fronte a una persona che chiede il tuo aiuto, una risposta al suo malessere e tu ci sei e devi rispondere. Mi chiedo se sono loro lontani da noi o viceversa. Tutti gli incontri che ho avuto, sono state esperienze indimenticabili di contatto umano. Perché molte volte il nostro egoismo e la nostra ipocrisia ci portano ad avere paura di sporcarci le mani con queste persone o forse ci rendiamo conto di non essere in grado di dare risposte neppure a noi stessi».


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