Cultura

Dax mio figlio

Il ragazzo dei centri sociali fu ucciso 5 mesi fa. Per placare la sete di vendetta intervenne una donna che poi decise di sparire con il suo dolore.

di Redazione

A cinque mesi di distanza è tutto più chiaro e più brutto. Dax, il primogenito, se ne è andato cinque mesi fa a 26 anni, accoltellato a morte di fronte a un pub, a Milano. Il movente dell?assassinio non è ancora stato chiarito, le indagini sono in corso. Rimane che gli aggrediti erano tre ragazzi del centro sociale Orso, e gli aggressori, un padre e due figli, simpatizzanti di destra con un cane di nome Rommel. Non fu un delitto come tanti: Milano visse i giorni successivi alla tragica notte fra il 16 e il 17 marzo scorso con il fiato sospeso, come se quella vicenda dovesse avere conseguenze imponderabili. Dagli storici ritrovi della sinistra antagonista si alzarono voci di vendetta «contro i fascisti assassini». Timori che furono spazzati via da quei 20mila ragazzi scesi pacificamente in piazza a ricordare l?amico. E dalla grazia dei sussurri di una donna. Di Rosa, la mamma di Dax, che il giorno successivo alla perdita del figlio, con poche parole pronunciate in occasione della ricorrenza della morte di Fausto e Iaio, militanti di sinistra freddati il 18 marzo 1978 nei pressi del Leoncavallo, trattenendo a stento le lacrime sentenziò: «Al sangue non si risponde col sangue». Da allora mamma Rosa si è chiusa a riccio. Non una parola, non un passaggio televisivo, malgrado le offerte non le siano mancate. Solo tanto silenzio e una famiglia da mandare avanti: il secondo e il terzogenito, Daniele e Claudio, 22 e 10 anni, il marito Arcangelo e la piccola Jessica, 6 anni, la nipote, la figlia di Dax. Per chi abita a Milano, Rozzano è la periferia, il degrado e la delinquenza. La famiglia Cesare vive in questo paesone alle porte della metropoli da quando mamma Rosa e papà Arcangelo si sono sposati. Lei originaria della provincia di Crotone, lui pugliese di Taranto. Lo scorso marzo, tremila persone si riversarono qui in via Guido Rossa per dare l?ultimo saluto al figlio o all?amico. Oggi sembra un deserto. Poca gente sfida un torrido sole che si scaglia violento e caldo contro i palazzoni del civico 27. Non un bar, non un negozio. Tanti parcheggi e case popolari. Rosa attende nell?appartamento di famiglia al secondo piano. Non è sola, con lei ci sono Mary e Sara, due ex fidanzate di Davide, che stanno giocando con Claudio e Jessica. Loro, quasi coetanei, sembrano fratelli. L?uno, invece, è lo zio dell?altra. Il suono del campanello scatena Cristina, l?enorme boxer di Dax, che inizia ad abbaiare a più non posso. Si placherà solo 30 minuti più tardi. Vita: Mamma Rosa, come sta? Rosa Piro: Al momento della tragedia non mi resi conto di quello che mi era successo. È stato talmente improvviso, talmente violento. Ero una leonessa. Adesso sono subentrati il crollo, la rabbia e la consapevolezza che Dax non tornerà più. È tutto chiaro ed è ancora più brutto. Mio marito, invece, comincia a riprendersi, con alti e bassi. Lui ha vissuto la prima settimana in modo devastante. Anzi, non l?ha proprio vissuta: era costantemente sotto sedativi. Quando ha saputo si è messo a urlare dal dolore, il suo cuore ha rischiato di non reggere. Vita: Dopo la morte di Dax il suo invito a non cadere nel vortice della vendetta ha avuto successo. Non si è andati più in là di qualche minaccia isolata. Come c?è riuscita? Piro: Ammazzando un?altra persona, non avrei indietro Dax. Altri ragazzi non tornerebbero a casa, altre mamme soffrirebbero. L?unico mio desiderio è riavere mio figlio. Il fatto che i suoi amici lo abbiano capito, mi ha reso felice. Così come tutte le iniziative che hanno preso per raccogliere fondi in favore di Jessica e la lastra in suo omaggio affissa sul luogo dell?assassinio. Vita: Anche lei chiamava suo figlio Dax? Piro: No, solo adesso lo chiamo così, prima era solo il mio Daviduccio. Vita: Come si reagisce alla morte di un figlio? Piro: Cercando di tener vive le sue idee, che prima magari mi mettevano dei dubbi; oggi invece sono convinta di quello per cui lottava. Erano dubbi dettati dalla paura che gli potesse succedere qualcosa. Le sue battaglie erano il diritto alla casa e la lotta allo spaccio di droga. Io e suo padre spesso gli chiedevamo chi glielo facesse fare, gli dicevo: «tu vivi per gli altri, non per te stesso». Sa cosa mi rispondeva? Vita: Cosa? Piro: «Va bene, avete ragione voi, continuiamo a coltivare il nostro orticello, quando mangiamo noi, abbiamo mangiato tutti, quando abbiamo la casa noi e ci siamo indebitati fino al midollo, andiamo bene, perché così vogliono che facciamo, come tanti pecoroni». Sembrava instancabile. Ogni sera, dopo una giornata di lavoro sul camion, si riposava un?oretta e via alle assemblee e alle riunioni con i suoi amici. Aveva una logica disarmante, almeno per me che ho le sue idee. Certo come mamma stavo in pensiero. Vita: E suo padre come reagiva? Piro: Arcangelo ha una prospettiva diversa, lui non capiva perché si dovesse impegnare così, in fondo cosa gli mancava? «Niente», rispondeva Dax, «ma se non lottiamo ci toglieranno tutto». Vita: Suo figlio negli anni delle superiori si era avvicinato a ragazzi di destra. Poi i centri sociali, tanto che negli ultimi mesi aveva deciso di vivere all?Orso di via Gola. A Dax piacevano gli estremismi, almeno in politica? Piro: Lui si lasciava affascinare dalle cose. Era un passionale. È vero, da piccolo si era avvicinato a un gruppo di destra, ma poi ha capito la differenza: per alcuni diritti lottano solo quelli di sinistra. È difficile trovare uno di sinistra che faccia il dirigente aziendale, mentre è più facile che il ricco sia di destra. Lui non poteva appartenere socialmente a un ceto e lottare per un altro. Vita: Lei ha mai fatto attività politica? Piro: Sono iscritta alla Cgil, presto farò la tessera per Rifondazione comunista nel circolo che frequentava Dax. Di sicuro sono di sinistra e vado alle manifestazioni. Vita: Cosa c?entra la politica nella morte di Davide? Piro: Tutto. Se non fosse stato un militante non sarebbe stato ammazzato in modo premeditato. Non è caduto durante una scazzottata in discoteca, magari battendo fortuitamente la testa. Lo hanno aspettato armati. Con un coltello in mano. Vita: Dax era una testa calda? Piro: In prima linea si trovava a suo agio. Era un attivista, gli piaceva lottare sul campo, quando c?era da fare volantinaggio o andare in manifestazione in mezzo agli idranti non si nascondeva. Ma non era un leader. Il carisma lo riconosceva agli altri. Certo se incontrava un fascista, magari qualche parola scappava. Vita: Mai avuto problemi con la giustizia? Piro: Due denunce: una per travisamento, l?altra per aver partecipato a una marcia non autorizzata. Vita: Lei ha avuto occasione di incontrare Heidi Giuliani. C?è qualcosa che vi lega? Piro: Le nostre vite sono intrecciate. Dax ha pianto la morte di Carlo come fosse un suo fratello, e in fondo non lo conosceva. Heidi ha fatto lo stesso al funerale di Davide. Io, poi, ho sempre ammirato la dignità con cui lei e Giuliano Giuliani hanno portato avanti anche pubblicamente il loro dolore. Li ammiravo e non sapevo che due anni dopo sarebbe toccato a me. Anche la fine dei nostri ragazzi è simile: entrambi lottavano per un futuro migliore, entrambi sono stati descritti come disgraziati, vagabondi, senza famiglia, buoni a nulla. Entrambi sono morti per le loro idee. Vita: Davide era stato a Genova? Piro: Sì, e ne era tornato trasformato. Convinto sempre di più che la strada che aveva preso era quella giusta. Dopo la morte di Carlo lo pregammo di non andare. «Come potete chiedermi questo», ci rispose, «tutte le mamme, i papà e i figli dovrebbero andare e invece restate qui per paura». Vita: Lei andò? Piro: No, dovevo badare a Claudio. Era ancora troppo piccolino. Vita: Le piaceva come si vestiva Dax? Piro: Era un passo avanti in tutto. Adesso ci sono tanti ragazzi con i capelli gialli e le trecce. Lui li portava già quando faceva ragioneria. Era molto timido, ma affrontava la sua timidezza con originalità: non gliene importava niente se in mezzo a cento era l?unico con i capelli fucsia. Vita: A suo marito piaceva? Piro: No. Non riusciva a capire, ci restava male. L?importante, però, era che fosse pulito dentro. E lo era. Quanti amici ha aiutato, senza chiedere in cambio nulla. Qualcuno lo ha sfruttato. Ci ha smenato anche dei soldi. Neanche se ne accorgeva. Eravamo noi a farglielo notare. Sa come rispondeva: «Sono diventato più povero? No. Allora sono loro ad aver perso un amico. E, se non lo erano, in questo caso non ho perso nulla». E noi ancora: «Ma se ti dovesse succedere qualcosa, chi penserà a Jessica?». «Vedrai che i compagni non si tireranno indietro», ci rassicurava. Purtroppo oggi so che aveva ragione. Vita: è mai andata al Tipota, il pub di fronte al quale è stato ucciso Dax? Piro: Mai. Vita: E all?Orso, il centro sociale che lui frequentava? Piro: Ci sono stata. Vita: Che impressione ne ha avuto? Piro: Mi è sembrato un posto alla buona, messo giù da ragazzi con tanta voglia di stare assieme, ma con pochi soldi. Certo, avrei preferito un monolocale, magari in condivisione. Occupare una casa non è mai una cosa tranquilla. Ma lui non avrebbe mai lasciato l?Orso in mano alle agenzie immobiliari. Vita: Jessica è arrivata quando Dax aveva 20 anni. Come ha accolto la notizia della paternità? Piro: Io da soli tre anni avevo avuto Claudio. Non navigavamo in acque economicamente floride. Lui era al terzo anno di ragioneria. Aveva conosciuto la sua compagna in discoteca solo qualche tempo prima. Ero preoccupata: come avrebbero potuto mantenersi? Vita: Come hanno fatto? Piro: Dax ha mollato tutto. Si è trasferito a Ghedi, il paese della mamma di sua figlia, in provincia di Brescia. In quattro anni ha fatto ogni sorta di lavoro: l?imbianchino, il magazziniere e il camionista, il suo ultimo impiego. Si spaccava la schiena per 13 ore al giorno per prendere poco più di 2,5 milioni al mese. Con un affitto di 700mila lire. Ma era felice. Gli piaceva l?idea di avere una famiglia. Vita: Poi la famiglia si è rotta. Piro: Due anni fa. Lui era tornato a far politica nella sede locale di Rifondazione. A lei non importava nulla. Incompatibilità. Dax è tornato a Rozzano, ma a continuato a vedere la figlia. Si sentivano ogni mattina. Dopo la sua morte, Jessica mi ha chiesto il numero di cellulare del cielo: voleva sentire ancora la voce di suo padre. Vita: Ha mai incontrato gli assassini di suo figlio? Piro: Mai. Non mi importa conoscerli. Anche se stanno in galera, mio figlio non tornerà. La loro condanna è l?immagine degli occhi morenti di Dax. Mi sarebbe piaciuto solo che dicessero: «Non volevamo, i fatti sono precipitati». Non l?hanno fatto. Avrebbero dato una risposta a Claudio che mi chiede sempre perché è successo. Rispondo che non lo so, che non ci sono perché. Vita: Come immagina il futuro? Piro: Non so. Non so fino a quando camperò. Questa vicenda mi ha avvicinato la prospettiva della morte. Spero solo che Dio me la mandi buona con gli altri figli. Quando ti scotti, hai paura persino dell?acqua fredda. Vita: Lei è credente? Piro: Sì. Ma in questo momento non cerco la fede, anche se penso mi possa dare conforto. Non sono pronta a rassegnarmi, ad accettare il distacco: spero ancora che Dax torni a casa. Non riesco nemmeno a buttare via le sue cose, e quando vengono i suoi amici a mangiare, cucino i piatti preferiti di Davide: melanzane alla piastra e lasagne. Vita: Ha timore che Dax venga dimenticato? Piro: Ne ho la certezza. Non posso illudermi. Chi ha vissuto quei momenti sono i suoi amici, ragazzi giovani. È giusto che allontanino dai loro ricordi l?immagine della morte. Non posso pretendere che vivano nell?angoscia perpetua. Vita: E Jessica dimenticherà suo padre? Piro: Dax è nato e morto di domenica, un cerchio si è chiuso. Partendo da qui scriverò un diario per la bimba in modo che sappia chi era suo padre. Sarà il regalo personale per mia nipote. Vita: Ha già iniziato? Piro: Non ancora, ho bisogno di calma. Dentro di me c?è ancora troppo dolore, non voglio trasmetterlo a Jessica. Vita: Un?ultima domanda: perché ha deciso di fare questa intervista? Piro: Perché parlare di quello che è successo è tremendo, ma pensarci da sola è ancora più dura.


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