Sostenibilità

Un’estate a spalar petrolio

Da Santiago de Compostela il diario di un volontario, Maurizio Pagliassotti, sulle spiagge della Galizia. "Noi siamo gli ultimi. Ormai sporchiamo più di quel che puliamo"

di Redazione

SANTIAGO DI COMPOSTELA – “Nunca mais”, mai più. I balconi della Galizia, a nove mesi dalla tragedia della petroliera Prestige, portano ancora qualche bandiera nera con una striscia blu obliqua e la scritta in gallego. Come le bandiere della pace in Italia avrebbero dovuto fungere da ricordo indelebile di una tragedia. In realtà ne resistono poche rispetto al disastro ecologico e umano causato dall?enorme massa di petrolio che ha devastato le più belle coste d?Europa, e forse sarebbe meglio aggiungere un punto interrogativo alla frase. Tutto in marea Le immagini le ricordano tutti. La nave che si spezza, l?onda di petrolio che si spalma lungo le coste e poi i volontari che spalano con un lavoro disperato. E poi ancora l?indignazione generale, le promesse, le marce, i disoccupati del settore ittico, il turismo che annaspa. Nove mesi di ?marea negra?, un lungo tempo per dimenticare, per trasformare i responsabili politici di questa storia in eroi premiati con medaglie a Santiago de Compostela, per poter dire al mondo che tutto è nuovamente bello, pulito, che le vongole e le cozze sono buonissime, e il pesce è sicurissimo e che signore e signori di tutto il mondo venite nella recuperata Galizia a spendere i vostri denari. La situazione delle coste galiziane è semplicemente pessima. Il petrolio non è stato rimosso dai volontari o dall?esercito o da chi altri. Il petrolio è stato riportato indietro dal mare nel quale si è disciolto e sciogliere non è la stessa cosa che pulire, verbo ampiamente utilizzato un po? da tutti in questa storia. Altro che cozze e vongole nuovamente sicure! Ancora adesso i volontari che lavorano, bardati come astronauti ma non protetti dalle esalazioni tossiche che derivano dal petrolio esposto al sole, sono bellamente invitati a lanciare le pietre intrise di petrolio in mare. Trattasi di tecnologia avanzata e sicura, senza dubbio. Anzi, i responsabili dell?associazione ambientalista Adega, ovvero i coordinatori del lavoro sul campo, una volta fatto notare l?assurdità di tale procedimento, cambiano idea e ti dicono che il pietrone una volta sommariamente raspato può essere abbandonato sulla spiaggia, in attesa che l?alta marea faccia il resto. Inquietante. Occhiali, tute, guanti Il tutto puzza molto di business, di affarismo alle spalle dei volontari che sono giunti in Galizia a lavorare, che hanno sentito il richiamo del ?devo fare qualcosa?. In 90mila hanno lavorato lungo queste coste. I primi sicuramente hanno tolto una notevole quantità di petrolio, gli ultimi si possono tranquillamente considerare delle bombe ecologiche in un contesto di disastro ecologico. Infatti, la quantità di materiale usa e getta utilizzato è sproporzionata rispetto al lavoro che si riesce a ricavare. Mascherine, inutili perché non dotate di filtri ai carboni attivi nella stragrande maggioranza, occhiali, tute, guanti spessi tre millimetri. Ogni giorno un set nuovo. E poi ancora decine di sacchi neri di plastica che a fine giornata si sono riempiti più di sabbia che di petrolio, centinaia di litri di gasolio per gli spostamenti quotidiani che partono da Santiago de Compostela e raggiungono la costa dopo un viaggio di 80 chilometri. Chiunque possieda minimamente i concetti del calcolo dell?impronta ecologica noterebbe l?assurdità del lavoro. Eppure i ragazzi che arrivano da tutto il mondo sono ammirevoli e nessuno dica che si tratta di vacanza perché ognuno si paga anche il viaggio. In spiaggia il sole, ma anche le tempeste dell?oceano, picchiano duro e quel maledetto petrolio così incrostato, così nauseante, non vuole abbandonare la terra. Sottilmente spalmato sulle pietre, la cazzuola ne rimuove pochissimo e le pietre rimangono inesorabilmente nere. Il gioco dei pietroni Da soli non ci si può grattare o detergere il sudore, non si può bere, togliersi la mascherina per respirare un po? meglio. Bisogna attendere che arrivi la ?mano limpia?, la mano pulita che ti soffia il naso come a quattro anni, ti imbocca e ti gratta. Qualcuno (anzi tutti, alla fine) non resiste e si libera della bardatura da astronauta. Buona scelta se si è in un posto praticamente pulito, male se il petrolio è ancora abbondantemente presente, o se rimossa una pietra salta fuori una pozza; la pelle si sporca direttamente e si respirano troppi gas venefici. Ma non basta. Le ?autorità? politico- scientifiche convocano i volontari a conferenze stampa senza uno straccio di traduzione dove si autoglorificano, forti della presenza di quella «parte buona della società». Rinfresco, baci, abbracci e soprattutto le foto dei giornalisti. Domando a un politico se è possibile parlare con un docente di chimica. Vorrei chiedere cosa pensa del metodo del buttare a mare i pietroni. Silenzio, il docente di chimica non è mai disponibile in dieci giorni; che abbia studiato nel frattempo un metodo più efficace? Magari il lancio con rimbalzo sulle onde. Un disastro come quello della petroliera Prestige è irrecuperabile: 35mila tonnellate, su 70mila , ancora in fondo all?oceano, tonnellate di petrolio che non si possono recuperare o ripulire in nove mesi. L?uomo davanti a una catastrofe simile è semplicemente impotente, bisogna aspettare che la natura aggiusti. Aznar fa il furbo Il governo Aznar però è ossessionato dalla Galizia, anzi dal nascondere la Galizia. La politica dell?annacquamento paga, in tutti i sensi. I turisti stranieri che affollano Santiago de Compostela hanno un vago ricordo di quanto accaduto a novembre e chi, scavando nella memoria remota, trova qualche indizio è convinto che tutto sia a posto e tranquillo. Il gruppo di volontari italiani che ha lavorato in Galizia in queste settimane sarà l?ultimo. Fortunatamente. Il governo Aznar non ha più bisogno dei volontari-spala petrolio perché ormai il disastro della petroliera Prestige è passato nel dimenticatoio: infatti i fondi destinati all?operazione non sono stati rifinanziati. Le associazioni ambientaliste locali invece piangono e accusano Aznar di volere continuare a distruggere la Galizia. Lungi dal difendere l?indifendibile governo spagnolo, la fine del lavoro volontario la si può considerare un bene. Se per grattare via pochi chili di petrolio è necessario usare una quantità mostruosa dello stesso, è bene che il lavoro finisca, anche perché trattasi di lavoro pericoloso per la salute. Purtroppo quelle tute bianche che spalavano avevano anche un forte significato politico e morale che verrà a mancare e il processo di insabbiamento sarà così completato. Fino al prossimo disastro, e la storia allora si ripeterà.


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