Il conflitto
Cari italiani, date a noi ucraini i beni russi confiscati
Hanna Hopko e Olena Halushka del Centro internazionale per la vittoria ucraina chiedono alle autorità italiane di impegnarsi nell'elaborazione di uno strumento legale per la confisca dei beni russi congelati e per il loro utilizzo per la ricostruzione dell'Ucraina
di Alessio Nisi
Hanna Hopko ha 41 anni. Ex membro del Parlamento e capo della commissione per gli Affari esteri dell’assemblea legislativa ucraina, Hanna è cofondatrice del Centro internazionale per la vittoria ucraina, il cui obiettivo è sostenere azioni volte ad accelerare la vittoria e a difendere gli interessi dell’Ucraina su scala internazionale. Basata in Polonia, l’associazione attraverso il lavoro dei suoi membri fa opera di sensibilizzazione entrando in contatto con rappresentanti politici e media europei. Il gruppo chiede la confisca dei beni russi, sanzioni più severe contro la Russia e gli attori russi, assistenza militare all’Ucraina, la creazione di un tribunale internazionale speciale per i crimini legati all’aggressione, l’integrazione dell’Ucraina nell’Unione europea e un piano di ripresa.
In questi giorni Hanna è in Italia con Tatevik Marharyan, analista dell’Icuv e medico militare, e Olena Halushka, ex deputata del consiglio comunale di Kyiv, anche lei co-fondatrice del Centro Internazionale per la Vittoria dell’Ucraina, e responsabile del dipartimento per le relazioni internazionali del Centro anticorruzione di Kyiv. È l’ultimo di un viaggio in 40 paesi iniziato con l’aggressione russa del 2022. Un percorso, che nelle prossime settimane farà tappa a Berlino e Oslo, in cui hanno incontrato istituzioni e media internazionali, sottolineando come la sicurezza dell’Europa sia minacciata dall’aggressione russa e che il conflitto è in corso è un precedente per altri possibili teatri di scontro. «Svegliatevi e state attenti», avverte Hanna, «questo è un conflitto non solo tra Russia e Ucraina ma è globale e può coinvolgere anche altri Stati».
La presidenza italiana del G7
La visita di metà gennaio in Italia coincide con l’avvio della presidenza italiana del G7 e con la necessità di avere il supporto degli italiani, dei funzionari governativi e delle organizzazioni civili per sostenere l’Ucraina. Hanna ricorda subito il ruolo della Russia in Africa con il gruppo della Wagner «in chiave di destabilizzazione dell’area». «Due anni di guerra? No, per noi ucraini, gli anni di guerra sono 10», sottolinea con forza Hanna, «quella che è iniziata due anni è un conflitto in cui sono sono coinvolti non solo la Russia come paese aggressore ma anche i paesi alleati, come Corea del Nord e Iran».
Il 2024 l’anno della svolta
Sì, per Hanna e il gruppo del Centro internazionale per la vittoria ucraina, i prossimi mesi potrebbero essere quelli della svolta del conflitto. «L’Ucraina ha tutto per raggiungere questo obiettivo e negli anni precedenti ha già mostrato di averne le capacità. Per esempio, nel 2022, la controffensiva nella regione di Kherson è stata l’operazione di riconquista del territorio più importante». Nel 2023 il Paese «è riuscito far uscire il grano dai porti bloccati dalla Russia. L’Ucraina, senza la disponibilità degli F16, è riuscita a distruggere il 40% della frutta flotta marittima russa». Ora il paese «aspetta l’arrivo degli F16 e dei sistemi di lancio a distanza a lunga gittata».
La confisca dei beni russi
In particolare i rappresentanti del Centro internazionale per la vittoria ucraina chiedono al presidente del Consiglio Giorgia Meloni di assumere la guida degli sforzi per coordinare in ambito G7 il processo di confisca a favore dell’Ucraina. Un’iniziativa «totalmente coerente con il diritto internazionale, configurandosi come una contromisura legittima secondo quanto previsto dalla “Codificazione della responsabilità degli Stati per fatto illecito” approvata nel 2001 dalla Commissione Onu del diritto internazionale».
L’obiettivo della Russia è sempre lo stesso, «piegare la resistenza dell’Ucraina e la distruzione della sua economia». Se la guerra dovesse durare a lungo ne risentirebbe tutto il tessuto produttivo del paese, «compreso il comparto agricolo». Già adesso, spiega Hanna, «gli agricoltori non possono lavorare la terra, perché i campi sono minati». In questo quadro, ricorda, «le principali vie commerciali sono state distrutte».
Riparare i danni e ricostruire
La leadership russa «conta sul venire meno del sostegno internazionale, soprattutto economico, all’Ucraina, nella consapevolezza il paese da solo non può farcela». In questo quadro «la confisca dei beni russi all’estero rappresenterà un sostegno a lungo termine e sistemico che aiuterà l’Ucraina a ricostruire a ricostruire e a riparare i danni che la Russia ha fatto in questi due anni», una base per la ripartenza.
Non un’operazione arbitraria. È essenziale, si spiega, far sì che la confisca abbia delle basi legali certe. Così formulata si invierebbe un segnale ad altri paesi: la confisca non è un’operazione arbitraria e che non devono temere che i loro beni possano essere sequestrati per trasgressioni minori se non pianificano di intraprendere guerre di aggressione. Così, la confisca può fungere anche da deterrente contro gli atti di aggressione di altri Stati.
Il timore di ritorsioni dalla Russia
Per quanto riguarda i timori di ritorsioni finanziarie da parte russa, spiega Olena Halushka, «nessun Paese occidentale ha collocato alcuna parte delle proprie riserve nelle banche russe. Al contrario, la Russia ha già iniziato a requisire impianti di aziende occidentali come nei casi della finlandese Fortum, della francese Danone e del gruppo danese Carlsberg sotto la finzione di quella che il Cremlino definisce “amministrazione temporanea”».
In apertura foto per gentile concessione di https://www.facebook.com/olenka.halushka. Nel testo foto per gentile concessione di ukrainianvictory.org
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