Welfare
Nonni in prima linea; c’è un’Italia da salvare
La demografia è dalla loro parte. Leconomia un po meno. Ma senza attendere la riforma del Welfare migliaia di anziani si impegnano ogni giorno a titolo gratuito. Settori preferiti? Tutti. Dallassis
di Redazione
L?Italia invecchia, urlano allarmati gli esperti di statistica, l?Apocalisse anagrafica è alle porte. Chi ama le cifre roboanti insiste sulla catastrofe finanziaria indotta dalle pensioni, chi ama le immagini forti dipinge città deserte, televisori sempre accesi, le bocce diventate lo sport nazionale, le pantofole esaurite in tutti i negozi. E invece il futuro dell?Italia avrà un altro paesaggio. Le bocce andranno forte, ma di pantofole neanche a parlarne. Non è chiaroveggenza, ma semplice osservazione dei fatti. I dati sono questi: il 2,5 per cento delle associazioni di volontariato è composto da over 65, ci sono circa 33mila volontari attivi anziani (secondo l?Istat, che in questo settore gioca al ribasso).
Insomma: più del dieci per cento dei volontari ha più di 65 anni. E che volontari: innanzitutto gli anziani cercano di aiutarsi fra loro, organizzando servizi di assistenza, di accompagnamento, servizi informativi agli sportelli, per altri anziani che hanno problemi di vario genere. Ma la tendenza degli ultimi anni è quella di mettere il proprio tempo a disposizione di tutti, di contribuire insomma a rendere la società meno ingiusta.
Ecco allora che compaiono i nonni vigilantes fuori dalle scuole elementari e medie, i nonni ecologisti che puliscono le spiagge, le nonne sarte che inviano vestiti per bambini ai bambini del terzo mondo, i nonni e le nonne che curano il doposcuola dei bambini, quelli che prestano la loro opera nei musei o nelle biblioteche permettendo ai Comuni di tenerli aperti, quelli che fanno da guida nei musei. E poi la memoria: sempre di più le università della terza età si stanno trasformando in luoghi dove gli anziani mettono a disposizione dei giovani ciò che hanno visto di questo Paese, e che sui libri non ci sta scritto.
«Il nostro volontario tipo», spiega Elio D?Orazio, presidente dell?Auser, l?associazione che unisce il maggior numero di anziani (150 mila), «è una persona che ha avuto una vita difficile, ma ancora sogna di cambiare il mondo. Insomma, donne e uomini che non si piangono addosso, che non hanno voglia di guardare indietro. Per questo nelle nostre iniziative a fianco degli anziani si muovono i giovani: trovano quell?entusiasmo che è stato loro sottratto e cancellato dall?idea in voga di un destino ineluttabile: un destino dove il lavoro non c?è e non ci sarà mai. Ecco cosa insegna il volontario anziano al giovane», conclude D?Orazio, «a costruirsi un destino».
L?esempio più concreto? Quello offerto dagli anziani di Portoviro, nel Polesine. Non avevano una casa per l?associazione. Non l?hanno chiesta. Hanno deciso di costruirla dal nulla, mattone su mattone. All?inizio erano in pochi, sembrava un?utopia, alla fine insieme agli anziani, con la paletta e il secchio da muratore, c?erano tanti ragazzi del paese.
Dalle Alpi ai terremoti
Per chi cerca un altro esempio concreto di quanto sostiene D?Orazio, è consigliabile un viaggio nel mondo degli alpini della Protezione civile. Ad esempio in uno dei campi (dodici su diciotto) che gli alpini gestivano nella zona di Foligno. «Anziani, giovani? Ma no, quando si è lì, in mezzo alle macerie, si è tutti uguali». Chi parla è Franco Reginato, 64 anni, normalmente gestore di un negozio di alimentari in un paesino in provincia di Vicenza, padre di cinque figli, nonno di tre nipoti. Durante l?emergenza terremoto, cuoco nella cucina da campo: «Io ho un figlio che ha fatto l?alpino», rivela, «ma non fa il volontario. Che vuol farci: il lavoro, la ragazza… I giovani sono così, gli anziani sono più disponibili. Ma in Umbria e nelle Marche è stata una passeggiata rispetto all?Irpinia, io c?ero anche lì, lì sì, è stato faticoso».
Le associazioni di alpini della provincia di Vicenza, accolgono volontari da venti fino a settantacinque anni di età. E non certo per compiti di segreteria. «L?età dei nostri uomini», spiega il generale Maurizio Gorza, che è stato coordinatore dei volontari alpini della protezione civile nelle zone terremotate, «è avanzata. I giovani non sempre hanno tempo da dedicare. Io ho visto anziani dormire in tenda, fare gli allacciamenti di acqua e luce, lavorare come e più dei giovani. Perché hanno maggiore esperienza, e in qualche caso una maggiore abitudine al lavoro. E poi trasmettono fiducia: le scosse continuavano, e per i vecchi sfollati vedere dei coetanei lavorare al loro fianco, significava molto».
La storia spiegata dalle casalinghe
Dallo scenario tragico del sisma a quello più quieto, ma ugualmente catastrofico dei musei italiani. Tenerli aperti più a lungo, sembrava impossibile. Per questo ci hanno pensato i nonni. A Roma quelli dell?Auser. Mirella Casanica, 69 anni, è una di loro. Coordina i volontari dei musei capitolini: «Io ho fatto la casalinga per tutta una vita e non ho avuto molto tempo per me. Ma ora sono rinata. Perché? Perché ho trovato un modo di non pesare sui figli. Gli anziani soli che non fanno volontariato si sentono trascurati dai figli, quando magari non lo sono affatto. Venire qui per molti ha significato vincere la depressione. Ma non solo: ci siamo appassionati. C?è chi ha fatto fino alla seconda elementare ed è diventato un esperto di arte antica, e la spiega ai giovani, che di Roma non sanno niente».
A Lucca c?è una donna che addirittura forma le guide di un parco archeologico, sotto la chiesa di San Giovanni. Ha cominciato come volontaria dell’associazione ?Amici dei musei?, oggi è la massima esperta degli scavi. Si chiama Mirella Neri. A 65 anni ha cambiato nome: dal nome della chiesa, la chiamano tutti Giovanna. Ma c?è qualche anziano che non si accontenta di fare da guida ai musei. Addirittura li costruisce: come a Campo Gagliano in provincia di Modena, paese famoso per la fabbricazione di strumenti di precisione, che dall?autunno scorso possiede un nuovo ?museo della bilancia?, arricchito dalla collezione donata da un appassionato, e messo su, mattone su mattone, dai vecchi del paese. Che peraltro erano gli unici a sapere come funzionavano le sofisticate bilance antiche, visto che quelle nuove, quelle che fanno i giovani, funzionano tutte con l?elettronica. La memoria dunque. È l?altra risorsa che gli anziani mettono a disposizione degli altri. Le università della Terza età stanno scoprendo che gli anziani, oltre a essere in grado di apprendere sono in grado di insegnare. A Verona come a Monza dove gli anziani insegnano storia ai ragazzi. Oppure a Como, dove l?Auser lavora in tandem con l?Antea (Associazione nazionale terza età attiva), l?altra gamba del volontariato ?d?argento?. Oppure ancora a Follonica e Roma dove i nonni tengono aperte le biblioteche.
In ospedale, ma solo per assistere
A Firenze si sale sull?ambulanza a 72 anni, si va in ospedale, ma non per farsi ricoverare. Giulio Cecioni, ad esempio, entra portando gli altri in barella, esce sulle sue gambe. È un volontario delle Misericordie di Firenze. Se gli parli di anziani quasi si offende. «Sulle ambulanze», ci spiega, «i più vecchi li chiamano maestri». Stessa considerazione anche per i volontari Avo (Associazione volontari ospedalieri) ultrasessantenni. Racconta Dino Locatelli, 70 anni, che negli anni Ottanta faceva il volontario negli ospedali francesi per la cura dei tumori. Traduceva il francese dei medici, a favore dei pazienti italiani: «Mia moglie coordina i volontari del San Raffaele di Milano, sono 280, circa il 25 per cento oltre i sessanta anni di età. I giovani forse trasmettono più entusiasmo. Ma in questo campo spesso servono di più la pazienza e l?esperienza, e quelle ce la mettono i ?nonni?».
Requisiti richiesti: età, passione e fantasia
Fin qui i settori tradizionali del volontariato, in cui le ?pantere grigie? eccellono. Ma una delle loro caratteristiche è la fantasia. Come quella che hanno avuto a Padova gli anziani della Spi e gli studenti dell?Uds (entrambe organizzazioni affiliate alla Cgil). Il 75 per cento degli anziani è proprietario di casa. Di questi il 26 per cento, in grande maggioranza donne, vivono da soli. Gli studenti fuori sede sono un milione e seicento mila in Italia di cui sedicimila solo a Padova. Perché non far ospitare alla pari gli studenti dalle vecchiette? Detto, fatto. I ragazzi fanno la spesa, sbrigano le commissioni, le signore anziane cucinano e offrono un tetto. Risultato: tante nuove amicizie, un risparmio considerevole di soldi e di solitudine. E restando al gentil sesso, che dire delle nonne di Vaiano (Toscana)? In sessanta hanno ?occupato? un?ex farmacia e l?hanno trasformata in una piccola industria tessile. I vestiti fatti a mano (finora più di 5.000) finiscono direttamente ai bambini del Terzo mondo. La decana delle nonne sarte ha 90 anni.
Ma le invenzioni non finiscono qui. Un circolo Auser di Rimini ha addirittura vinto un premio per un brevetto, istituito dal ministero della Solidarietà. Hanno inventato un cassonetto speciale, che si apre senza fatica. Basta inserire una carta magnetica in una fessura. Niente più sforzi ciclopici, oggi c?è la tecnica. La novità dell?ultimo anno è il risveglio del Sud. Almeno quello coi capelli bianchi. A Napoli i nonni fanno i vigilantes fuori dalle scuole, per proteggere i bambini. A Brindisi i nonni e le nonne dell?Auser insegnano ai giovani un mestiere, in cambio di qualche commissione all?ufficio postale. A Villa San Giovanni i giardini pubblici e le spiagge sono affidati ai nonni. E a Reggio Calabria le anziane, sempre Auser gestiscono il doposcuola. Insomma: neanche alla sua base, lo stivale si muterà in pantofola.
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