Lo sguardo altrui su chi sta male
Cancro, il trucco (e parrucco) rivela il tuo vero io
Il progetto pilota IOnonostanetutto con le consulenti di immagine di Asi insegna alle donne con tumore al seno come valorizzare il proprio aspetto. Pensare a come mostrarsi agli altri è un momento tutto per sé, quasi di ripartenza, dopo i difficili mesi delle cure
«Ricordo bene le emozioni, tra tutte la paura; ricordo che lo specchio rifletteva un’immagine di me che non conoscevo. Ricordo lo sguardo degli altri». Aveva vent’anni quando il tumore ha fatto irruzione nella sua vita di studentessa universitaria in scienza della moda e del costume, e la svolta che questa esperienza ha portato nella sua vita coinvolge non solo lei. Ilaria Marocco, oggi consulente di immagine e fondatrice dell’associazione nazionale di professionisti Assostyleimage Asi che conta già un centinaio di membri in tutta Italia, oggi vuole fare la propria parte per tutte coloro che stanno vivendo quelle stesse difficoltà.
«Sentivo la pietà degli altri, ma non sapevo cosa farmene. Quando, forse al terzo ciclo di chemioterapia, mi sono presentata in ospedale con una parrucca, una minigonna e scegliendo i colori giusti, lo sguardo degli altri è cambiato. Ho sentito di essere tornata una persona. Ciò mi ha dato una grandissima forza ed è stato allora che ho deciso, terminata la laurea, di diventare consulente di immagine, un percorso che allora era tutto da inventare». Ma c’è di più.
«Volendo restituire agli altri qualcosa, ho raccontato ai consociati di Assostyleimage la mia esperienza e quanto, in modo quasi causale, aveva funzionato per me e aveva migliorato la mia qualità di vita. Così, è nato “IOnonostantetutto”, un’iniziativa di consulenza gratuita per donne che hanno vissuto l’esperienza del tumore e delle cure che è in corso in alcuni ospedali italiani per aiutarle a valorizzare la propria immagine con l’utilizzo dei colori, abbigliamento, accessori, make up e skin care». Il novembre scorso, il progetto pilota è partito all’Istituto nazionale dei tumori di Milano, includendo due incontri in cui oltre alla trasmissione di nozioni di armocromia e di valorizzazione della propria immagine tramite il taglio dei capelli o l’uso di accessori giusti come gli occhiali, una decina di consulenti ha seguito personalmente le partecipanti.
«Da allora, tengo la mia palette in borsetta» scherza racconta Carolina Vignola, milanese, una delle partecipanti al progetto “Iononostantetutto” svoltosi presso la Psicologia clinica dell’Int. «A un certo punto, potersi dedicare al proprio aspetto è liberatorio, è come alleggerire i pensieri e dirsi che è il momento di pensare ad altro». Quasi come una svolta, dopo i lunghi difficili mesi fatti di chemioterapia, chirurgia e radioterapia, e oggi immunoterapia.
«In questi mesi ho cambiato aspetto. Mi voglio accettare per come sono» ci racconta. Durante i trattamenti, non ha mai smesso di lavorare. I lunghi capelli hanno lasciato il posto alla parrucca, ma oggi vengono tenuti corti e non più tinti «Mi presento per quello che sono. Al di là dell’aspetto esteriore, comunque non sarò mai più quella di prima. Ho un bagaglio tutto nuovo di esperienze che mi hanno cambiata e da cui voglio trarre qualcosa di positivo». In primo luogo, come ripete ai suoi figli, Ilaria di 28 anni e Alessandro di 26 anni, «non aspettate di trovarvi in situazioni difficili, come è capitato a me, per capire cosa è importante nella vita. È ben possibile farlo, e va fatto, prima».
Come mai qualcosa spesso di irrilevante in alcune fasi della malattia può diventare così importante per la ripartenza? «Prestare attenzione all’immagine di sé rientra nel processo di guarigione, che avviene con tempi e modi diversi per ciascuno, ma segue delle fasi che conosciamo bene» spiega Claudia Borreani, responsabile della psicologia clinica di Int, dove il progetto pilota è stato proposto ad alcune donne selezionate tra quelle seguite dal servizio.
Infatti, ogni cosa a suo tempo e secondo le proprie esigenze: «Passato il momento iniziale, che assorbe tutte le forze fisiche e mentali della paziente, può accadere che si apra uno spazio mentale e che la donna rivolga lo sguardo su sé stessa. È una fase fisiologica del percorso riabilitativo e, comunque, sentirsi bene nella propria pelle è una condizione associata a maggior autostima e sicurezza di sé. Gli studi indicano che avere un buon rapporto con sé stessi è importante nell’ottenimento di un equilibrio interiore nella propria quotidianità ed è associato a una migliore qualità di vita» spiega la psicologa, che puntualizza come non ci sia alcunché di prescrittivo nei suggerimenti e negli strumenti forniti durante la consulenza: «C’è chi vive un processo di grande cambiamento psicologico interiore, e cavalca in modo concomitante anche il cambiamento esteriore, e chi invece cerca la rassicurante dimensione di prima, ognuno è diverso e non c’è giusto e sbagliato». Infine, «il progetto pilota è stato anche un momento di confronto tra le donne che, pur avendo vissuto la malattia, hanno potuto parlare di qualcosa di diverso tra loro e anche insieme allo staff medico in un contesto diverso».
L’aspetto esteriore è sempre al centro delle relazioni interpersonali. Quando si sta male, «si diventa molto ricettivi su come gli altri ci vedono, si va alla ricerca di segnali importanti, come se cercassimo inconsapevolmente di leggere nello sguardo e nel volto altrui qualche cosa che a noi potrebbe sfuggire» spiega Carolina Vignola. «Gli altri ti guardano e tu ti guardi con i loro occhi. Il nostro aspetto fisico, dopotutto, viene molto commentato: dal come ti vedo bene finalmente a ora si vede che stai meglio ad altre affermazioni che non sempre ci aiutano».
Gli altri ti guardano e tu ti guardi con i loro occhi. Quando si sta male, si diventa molto ricettivi
Carolina Vignola
Quanto all’esperienza vissuta in Int, «la consiglio perché è stata emozionante, per via della relazione di complicità con la consulente e della sensazione di sentirsi capita» conclude Vignola. Si tratta in effetti di una professione, conferma Marocco ricordando sempre la propria esperienza di ragazza, «dove l’empatia gioca un ruolo importante, il consulente non impone stili o regole, ma prima di tutto ascolta l’altro, ascolta per capire e senza stare pensare a cosa rispondere».
Infine, del tutto normali sono anche i sensi di colpa della paziente che pensa, da un lato, avrei dovuto occuparmene prima e, dall’altro, perché ma mi interesso del colore degli abiti? «I sensi di colpa riguardano un po’ tutto quello che è stato detto e fatto, anche i propri comportamenti eventualmente associati alla comparsa del tumore» dice Claudia Borreani che rassicura: «Facciamo tutti quello che al momento riteniamo giusto o che non sappiamo fare altrimenti. La vita è un processo, è evoluzione e bisogna guardare avanti e non al passato».
Photo by Alexander Grey on Unsplash
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