Leggi & Diritti

Amministrazione di sostegno, è tempo di cambiare

L'amministrazione di sostegno avrebbe dovuto ribaltare le finalità dell’interdizione, mettendo al primo posto la qualità delle condizioni di vita della persona amministrata. Dopo vent'anni, l'obiettivo non è raggiunto, dice il presidente della Fish. «Nei fatti troppo spesso il nuovo strumento ha gli stessi effetti del vecchio: vanno entrambi superati»

di Vincenzo Falabella*

L’amministratore di sostegno? È un sostegno che spesso per le famiglie si trasforma in rivoli di burocrazia. Tempi dilatati a seconda dei tribunali, modalità differenti di approccio dei magistrati, pronunciamenti di provvedimenti a volte bizzarri. Sono queste alcune riflessioni raccolte dalle famiglie delle persone con disabilità che ricorrono all’istituto giuridico dell’amministrazione di sostegno. Riflessioni amare di chi ha vissuto sulle propria pelle sia il dibattito pubblico ed istituzionale che ha portato alla legge n. 6 del 9 gennaio 2004 (in Gazzetta Ufficiale il 19/01/2004) sia  oggi la sua applicazione.

Le radici della legge 6/2004

Le ragioni che mossero associazioni, federazioni e famiglie a chiedere il superamento dell’interdizione vanno ricercate nel fatto che quello strumento giuridico, figlio del familismo ottocentesco, aveva sostanzialmente lo scopo di preservare l’integrità dei beni delle famiglie. Tale concetto, applicato all’intero mondo delle persone con disabilità, è stato sovente l’alibi giuridico per annullare la loro identità, favorendone e consentendone la segregazione e l’espulsione dal contesto sociale. Più volte le cronache, nei decenni passati, si occuparono di persone benestanti tenute in istituti miserrimi.

In quella prospettiva, la priorità erano i beni che si dovevano preservare per gli eredi e non la dignità e la qualità della vita delle persone. L’amministrazione di sostegno, concepita come scelta volontaria della persona con disabilità o di chi se ne prende cura, avrebbe dovuto ribaltare le finalità dell’interdizione, garantendo prioritariamente la qualità delle condizioni di vita della persona amministrata. Fatti di cronaca anche recenti dimostrano tuttavia che questo scopo è stato universalmente raggiunto.

Il bilancio

Qual è allora il bilancio a vent’anni dall’emanazione della legge? Nella stragrande maggioranza dei casi si osserva un’applicazione che sembra aver perso ogni legame con lo spirito della legge, ritrovando invece nei fatti una identificazione quasi totale con il vecchio strumento dell’interdizione. Come è possibile che dei professionisti, a cui frequentemente vengono affidati decine di amministrati, possano occuparsi realmente della qualità della vita delle persone loro affidate? Nella quasi totalità dei casi riescono al massimo ad occuparsi degli aspetti ragionieristici. La legge, che si applica in situazioni fra loro molto diverse, manca spesso al suo scopo, costituendo in molti casi un aggravio e non un sostegno, né per la persona con disabilità né per chi se ne prende cura. Particolarmente vessatoria e poco efficace rispetto allo spirito della legge è la sua applicazione nei casi di famiglie che continuano a prendersi cura dei figli con disabilità oltre la maggiore età.

La legge manca spesso al suo scopo, costituendo in molti casi un aggravio e non un sostegno, né per la persona con disabilità né per chi se ne prende cura


Inoltre la volontarietà nella scelta dell’amministratore di sostegno non esiste, poiché è la stessa Pubblica amministrazione (ad esempio il Comune) a costringere il genitore ad attivare l’amministrazione di sostegno pena la perdita della compartecipazione al costo dei servizi (per esempio il Centro Diurno). Queste famiglie che si prendono cura di figli con disabilità grave vengono obbligate a rendicontare, spesso con ridicoli livelli di dettaglio, il modesto contributo pubblico che è quasi sempre marginale rispetto alle spese necessarie a garantire una vita dignitosa ai loro figli. In questo contesto manca qualsiasi tipo di interazione fra il sistema di amministrazione di sostegno e i servizi sociali territoriali, probabilmente i soli che potrebbero monitorare le condizioni di vita di figli adulti con disabilità all’interno di famiglie che invecchiano. Bisogna intervenire con modifiche normative affinché la norma intercetti efficacemente le diverse situazioni conseguenti alle diverse condizioni di disabilità.

Manca qualsiasi tipo di interazione fra il sistema di amministrazione di sostegno e i servizi sociali territoriali. Bisogna intervenire con modifiche normative

Preoccupa poi il pronunciamento del Tribunale che fa ricadere sulle risorse delle persone con disabilità i costi di consulenza esterna incaricata della verifica della rendicontazione presentata dagli amministratori di sostegno. Alcuni tribunali hanno sottoscritto accordi con gli ordini dei commercialisti obbligando le famiglie ad redigere la rendicontazione tramite i professionisti di quell’ordine con spese a carico della famiglia. È una scelta non corretta: non è condivisibile che si faccia ricadere sulle persone con disabilità e sulle loro famiglie un costo dovuto a un procedimento puramente interno all’amministrazione del Tribunale (derivante forse da difficoltà di gestione delle pratiche in questione ed alla carenza di idoneo personale) e che, pertanto, dovrebbe essere a carico dell’amministrazione stessa.

Da dove ripartire?

Avanziamo alcune proposte. I ministeri della Famiglia e delle Disabilità hanno costituito un tavolo di confronto sul tema, a cui la Fish parteciperà rimarcando quanto segue.

  1. Occorre riformare urgentemente la legge 6/2004 recependo le osservazioni conclusive contenute già nel primo rapporto fatto dal Committee on the Rights of Persons with Disabilities (CRPD) sull’attuazione della Convenzione Onu da parte dell’Italia, nel 2016, in cui viene esplicitamente indicata la raccomandazione di «abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno e gli istituti dell’interdizione ed inabilitazione, e di emanare e attuare provvedimenti per il sostegno alla presa di decisioni, compresa la formazione dei professionisti che operano nei sistemi giudiziario, sanitario e sociale».
  2. Occorre intervenire per semplificare e sburocratizzare tutti gli adempimenti connessi alle procedure di nomina ma soprattutto ai complessi meccanismi rendicontativi.
  3. Occorre promuovere il coinvolgimento delle associazioni da parte dei Tribunali, che ancora non lavorano pienamente in linea con i principi della Convenzione Onu e con la legge 18/2009.
  4. Infine occorre evitare che ulteriori costi della procedura (vedasi consulenti nominati o richiesta di professionisti per la rendicontazione delle spese) ricadano in capo alle famiglie, già di per sé provate dal costo della disabilità che devono sostenere quotidianamente.

*Vincenzo Falabella è presidente nazionale della Federazione Superamento Handicap-Fish. La foto è di Nathan Anderson su Unsplash

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