70 anni Rai

Quando la televisione faceva comunità

Un film-evento per i sette decenni della Radiotelevisione italiana: è “La luce nella masseria”, andato in onda il 7 gennaio su Rai 1. Agli autori e sceneggiatori, Roberto Moliterni e Saverio D’Ercole, abbiamo chiesto cosa resta dell’incredibile forza civica di quel servizio televisivo

di Luca Iacovone

luce nella masseria film

Quando negli studi Rai di Torino si accende per la prima volta il piccolo schermo è il 3 gennaio 1954: le abitudini degli italiani stanno per cambiare per sempre. Già nel 1965 gli abbonati Rai saranno oltre 6 milioni. Hanno fatto la Storia – non solo quella della televisione – programmi come Non è mai troppo tardi, del maestro Alberto Manzi (programma riconosciuto dall’Unesco e adottato in tanti altri del Mondo quale esempio di alfabetizzazione di massa), Lascia o raddoppia, Il musichiere, Carosello, Studio Uno, Canzonissima

Il film La luce nella masseria, ora disponibile su RaiPlay, torna a quegli anni e fa rivivere quei momenti. È ambientato in una Matera dei primi anni Sessanta. A cavallo del delicato passaggio da quella che è stata definita la civiltà contadina all’industrializzazione del territorio materano. Oggetto di aggregazione sociale e familiare, la tv diventa il deus ex machina della storia. Coinvolge e avvicina gli abitanti della cittadina, in rituali collettivi di grande valenza sociale. 

Prodotto da Luca Barbareschi per Èliseo Entertainment con la collaborazione di Rai Fiction, La luce nella masseria celebra i settant’anni dall’inizio delle trasmissioni del servizio pubblico radiotelevisivo. Protagonisti sono Domenico Diele, Aurora Ruffino, Renato Carpentieri, Carlo De Ruggieri, Giusy Frallonardo e il piccolo Giovanni Limite, diretti da Riccardo Donna e Tiziana Aristarco. Scritto da Salvatore Basile, Saverio D’Ercole e Roberto Moliterni. Gli ultimi due sono anche gli autori del libro, omonimo, a cui a è ispirata la fiction. Con loro abbiamo provato a rileggere alcuni momenti salienti del film.

La luce nella masseria, foto di A.Trucco, A.Mastrillo, G.Limite, A.Conte F.Di Benedetto

Saverio D’Ercole è produttore televisivo e cinematografico, co-produttore di The Startup, Something Good e di diverse miniserie televisive, tra cui Adriano Olivetti La forza di un sogno, Pietro Mennea – La freccia del Sud. A lui abbiamo chiesto: 

Possiamo dire che il vostro è un racconto dell’impatto sociale che ha avuto la diffusione della televisione nelle case degli italiani?

Sì, è la storia di una famiglia che rischia di disgregarsi a causa dei conflitti dovuto agli interessi di parte. Ma la volontà di tenerla unita di alcuni dei suoi membri è talmente forte da impedire che questo accada davvero. E questo avviene – non vi diciamo come – proprio grazie alla seduzione irresistibile che la televisione aveva in quell’epoca. Certo è un po’ una favola, ma esprime la forza che questo apparecchio aveva in quegli anni.

La tv quindi come tecnologia capace di creare comunità? 


Il tema dal quale siamo partiti è proprio il senso di comunità che oggi vediamo minacciato non solo dalla distanza che ha creato il Covid ma anche dalla frammentazione dei social network. Le tecnologie sono spesso ambivalenti, possono unire o dividere. Nel momento storico che raccontiamo, nel romanzo e nel film, la tv aveva un potere aggregante potentissimo. Ma c’è anche da dire che aveva un terreno fertile perché accadeva in una società più disposta a condividere perché più povera. Nel momento in cui tutti hanno potuto permettersi un televisore in casa, questa capacità di creare comunità si è progressivamente dispersa.

Oggi ci sono dei fenomeni televisivi capaci di creare immaginari condivisi, pensiamo ad esempio a Sanremo, è però un’aggregazione più virtuale che sociale. Negli anni 50-60 la tv ha rafforzato il senso di identità e comunità

Saverio D’Ercole

Roberto Moliterni, scrittore e sceneggiatore italiano, nel 2010 ha vinto il Premio Luigi Malerba per la sceneggiatura, nel 2014 il Premio Letterario Rai La Giara. Gli abbiamo chiesto:

Attorno alla “Luce” nella Masseria si incontrano tutti gli elementi di una comunità alle prese con le sue mille fragilità: la disabilità, la vecchiaia, il rapporto con la natura, la paura per il cambiamento… C’è una “lezione” che oggi la televisione può imparare dalla sua storia?

Sarebbe facile dire che la televisione di allora, quella di cui parliamo noi nel film e nel romanzo fosse più garbata e più capace di creare coesione ma la verità è che la televisione cambia assieme alla società, ne è lo specchio. Quindi forse dovrebbe essere soprattutto la società a guardarsi indietro per capire che cosa può recuperare e imparare da quel mondo, che ha buttato via in fretta, giustamente, perché i benefici in termini di comodità e di miglioramento delle condizioni di vita ed economiche sono stati enormi. Ma l’economia e il benessere emotivo di un Paese non seguono sempre una crescita parallela.

Quello che può fare la televisione di oggi è costruire narrazioni che riaprano immaginari su luoghi e momenti della Storia capaci di porci domande sul presente, metterci in discussione, ridiscutere i nostri sistemi valoriali. È un compito, questo, soprattutto della televisione pubblica

Roberto Moliterni

Matera non è una location silenziosa: entra con la sua storia nel racconto, penso al suo riscatto, all’arrivo di Pasolini in città, ad esempio. Perché Matera? Siete entrambi materani: è solo questo il motivo o c’è dell’altro?

L’episodio di Pasolini è un lusso che abbiamo potuto permetterci solo nel romanzo. Il film, per molte ragioni, abbiamo dovuto ambientarlo due anni prima rispetto alla realizzazione de Il Vangelo secondo Matteo. Ora, per quanto riguarda Matera, c’è sicuramente una ragione personale: vivendo a Roma entrambi da moltissimi anni abbiamo sempre bisogno di tornare a Matera, e farlo attraverso la narrativa era uno di questi modi, il più potente forse. Scrivendo di Matera, per il film e per il romanzo, è come se avessimo vissuto a Matera per qualche mese.

Ma c’è una ragione più profonda: proprio perché parliamo del senso di comunità, come ti dicevamo prima, Matera è una co-protagonista perfetta per questa storia, perché, per la sua storia, per la sua architettura (i vicinati) è una città predisposta alla comunità e alla condivisione. Allora noi abbiamo voluto portarla in giro non solo come la bellissima scenografia che ormai tutti conoscono ma anche come scrigno di questi valori profondi che il mondo ha bisogno di riscoprire.

Foto in copertina di F.Di Benedetto, per gentile concessione di Èliseo Entertainment

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