Welfare

Il mio diario di condannato

Trentacinque anni, in carcere da dieci, un giovane infermiere rinchiuso nel braccio della morte in un penitenziario del Texas racconta in un quaderno la sua attesa minuto per minuto. Le umiliazioni, i

di Redazione

David Hicks ha trentacinque anni. È stato condannato alla pena di morte nel 1987 per lo stupro e l?assasinio di sua nonna; un crimine di fronte a cui si è sempre dichiarato innocente. È detenuto nel penitenziario d?Ellis One (Texas) dove si trova nel braccio della morte. È qui che scrive il diario in cui racconta un?attesa lunga dieci anni. Questa parte del diario che pubblichiamo è stata scritta nell?estate scorsa. L?esecuzione di David Hicks era allora imminente. Grazie al suo comitato di sostegno possiamo oggi pubblicarlo. David spera ancor oggi in un appello federale.

Il ritmo delle esecuzioni, qui, è diventato mostruoso. Un?altra esecuzione proprio ieri. È la quarta dall?inizio del mese. Ormai è un?abitudine. Né proteste, né la minima discussione. Mi hanno da poco comunicato quando verrà il mio turno, il 28 agosto (1997, ndr). Mancano sei settimane. L?avvocato è passato a dirmelo poiché io non lo sapevo ancora. È tutto molto banale, un?abitudine. Da quando sono qui è la seconda volta che fissano la data della mia esecuzione. L?ultima volta sono arrivato sino a sei ore dal momento fissato. Chissà se sarà la volta buona. Scrivere i miei ricordi e la mia vita quotidiana dentro questa follia mi pare una buona idea, ma mi chiedo qualcuno la leggerà? Mi crederanno?
L?universo del braccio della morte non ha niente a che vedere con ciò che si racconta nel mondo libero. Ma una volta che sei dentro non è più possibile dimenticare le umiliazioni, il degrado, le prepotenze incessanti, le ingiustizie, le paure. La paura è onnipresente. Non si sa mai quale sia il prossimo stupido colpo a spingerti più giù, più giù. Sino alla morte. È un mondo di violenza (sia nel personale della prigione sia tra i detenuti), di odio, di paralisi, di regressione all?adolescenza. Un buco in cui devi imparare da solo a sopravvivere, con poco, con niente. Come faccio? Non lo so. La volontà di resistere, il rifiuto di arrendermi, la speranza, comunque, nel futuro, un sogno incompiuto, o, appunto, l?istinto di sopravvivenza. Forse, anche un po? di stupidità…Tutto quello che chiedo è di conservare il mio spirito, la mia anima, almeno un giorno di più.

La cella
Mi hanno messo in una cella individuale (1,50 m. x 3). Su quattrocentocinquanta prigionieri nel braccio della morte, dovrebbero essere in sessanta in tale regime di costrizione. Quando riesco ad essere presente a me stesso, passo il mio tempo a leggere, a scrivere, a riscorrere tra i miei ricordi. Ciò che mi ossessiona è l?idea di poter tornare in libertà e poter vivere come tutti, e non come una bestia in uno zoo chiusa in gabbia. Tutto accade in questa piccola cella ed è qui che inizia l?inferno. Io vi sono rinchiuso 22 ore al giorno. Il sabato e la domenica non posso uscire se non per la doccia. Ciascuno sceglie di farne ciò che vuole di queste 22 ore. Può decidere d?essere costruttivo o accontentarsi di stare lì, come un bicchiere messo su un mobile e aspettare che la stanchezza lo possieda. Come un vegetale. Si è soli con se stessi. Che si abbia o no commesso il crimine non fa alcuna differenza. Si soffre allo stesso modo; ci vengono negati tutti i diritti umani. Mentre scrivo ci sono 40 gradi. Non c?è un sistema di ventilazione delle celle. D?estate si muore di caldo, d?inverno di freddo.

L?infanzia
Sono nato in un piccolo paese di 3.000 abitanti chiamato Teague. Se vi è capitato di conoscere uno di questi piccoli Comuni del Texas, o se li avete visti in tv, potete farvi un?idea della vita che conducevo. Una casa, come tutte di soli due piani e messe tutte in fila, la mia dava sulla strada, una camera, una cucina con un solo fuoco. Disegnate una lunga linea diritta che attraversa il centro ed ecco che avete l?idea dell?organizzazione di Teague, i neri da una parte e i bianchi dall?altra. Sono cresciuto con sei fratelli e tre sorelle. Una grande famiglia in cui non mi è mai mancato nulla. Vivevamo di ciò che ci dava la terra che coltivavamo. Non avevamo né l?acqua corrente né il riscaldamento. La discarica comunale era a tre chilometri e vi andavo spesso per cercare pezzi di ricambio per la mia bicicletta. Ogni volta che andavo alla discarica mi chiedevo come potesse essere la vita di quelli che vivevamo dall?altra parte della strada e che potevano permettersi di buttar via delle cose stupende. Un giorno trovai una bicicletta nuova, gli mancava solo la catena. Diventò mia.

L?innocenza
Il rispetto e la solidarietà mi univano a mia nonna. Fu ammazzata due giorni dopo che stipulò un?assicurazione a suo nome. Sarebbe occorsa un?inchiesta seria per capire chi me la rubò. Ma invece non ci fu nessuna inchiesta vera. Non fu rilevata nessuna impronta, la polizia non rilevò nessun movente. Non fu nemmeno capace di stabilire l?ora della sua morte, e dove io fossi. Durante il processo il problema di dove io fossi il giorno in cui fu uccisa non fu nemmeno posto. Nessuno dei vicini di mia nonna fu interrogato. E mi si affidò a un avvocato d?ufficio che su di me non scommise neppure una fiche. Il risultato: ho dovuto vivere l?agonia di già due date per l?esecuzione. Del resto cosa poteva fare un povero nero come me contro un sistema il cui potere non ha limiti? Tutto il mondo dell?accusa era bianco: il giudice, il procuratore, gli avvocati, la giuria. Tutti. Potevo avere la minima chance di giustizia in tale contesto? L?affare fu regolato in soli cinque maledetti giorni. Dopo, ogni tentativo di ritorno per riaprire il giudizio fu impossibile. Non che io non ci abbia provato! Ho provato per dieci anni. Io sono certo che la mia innocenza possa essere provata, se solamente qualcuno mi aiutasse. Io non pretendo di essere innocente per la mia vita, è che non ho commesso quel fottuto crimine. Se fossi ricco non avrei certo corso il rischio di trovarmi qui. Perché, purtroppo, la giustizia non è che questione di soldi. Anche l?accesso al proprio dossier costa una fortuna. Per consultarlo io devo pagare 5 cents per pagina, un dossier va dai 20 mila ai 60 mila dollari.

Il Regolamento
Veniamo ammanettati sul dorso ovunque ci spostino: alla doccia, in infermeria, nel parlatoio. Ci si manca totalmente di rispetto, ci si disprezza, ci si constringe a denudarci a ogni occasione. La nostra pur minima richiesta non è mai accolta. Con piccoli e grandi dispetti sui nostri oggetti personali, foto, ricordi, lettere, ci si spinge a reagire così da poter dare l?occasione ai guardiani di menarci. Ogni tanto vengono lanciati nell?aria prodotti chimici come gas lacrimogeni per testare la reazione dei detenuti. Altri prodotti vengono messi nell?acqua e nel cibo. I detenuti vedono di tanto in tanto affiorare sui loro corpi segni o dolori incomprensibili.
I medici qua dentro non sono che ciarlatani ai quali viene offerta un?ultima chance professionale dopo i loro fallimenti per droga o alcolismo. Il loro alito è pazzesco. Chi viene a trovarci è sovente maltrattato, sottomesso a cose inutili e imbarazzanti. Le donne sono spesso denudate ed esposte agli sguardi famelici dei guardiani.Tutto ciò nel tentativo di scoraggiare future visite di parenti e amici.

La televisone
Il grande pacificatore e ipnotizzatore dei prigionieri è la televisione. I teleschermi sono piazzati su una cornice che corre lungo i corridoi a tre metri circa dalle celle. Lo schermo non è nient?altro che una droga per calmare i prigionieri. Se per punizione ci si priva della televisione per una settimana le reazioni sono violentissime. Nel caso di una esecuzione l?amministrazione conosce il miglior mezzo per calmare i prigionieri: programma un film erotico, e la pace è assicurata.

La corrispondenza
L?unità Ellis One è situata vicino a una piccola cittadina, Huntsville, 160 chilometri a Nord di Houston, in direzione di Dallas. L?isolamento del luogo, la difficoltà nel ricevere visite, fa sì che il solo strumento di comunicazione con l?esterno sia la posta. Prima di essere rinchiuso nel braccio della morte io non avevo mai scritto in vita mia. Non potevo immaginare l?importanza di nutrire amicizie e di comunicare con gli altri attraverso la mediazione delle lettere. Ogni giorno , qui, tra le 17 e le 18,30 l?aria si riempe di ansia e d?agitazione, arriva il corriere e ciascuno spera che abbia qualcosa per lui. Per una lettera che non arriva ho visto tipi che esplodono in atti di violenza e altri che entrano in uno stato di depressione profonda. Al contrario, l?arrivo di una lettera è un momento di dolcezza. Io lascio tutto il resto da parte, mi distendo su questa branda ostile che chiamano letto e mi lascio invadere dai sentimenti e qualche volta dai problemi degli altri. Il mondo esterno mi appare attraverso le loro parole, esse sono i miei occhi, il mio sguardo su tutto ciò da cui sono separato da molti anni. Voi non avete idea di cosa voglia dire ricevere una lettera di un perfetto sconosciuto, magari di uno straniero, che mostra interesse, amicizia e attenzione per te.
Qualche volta la posta è aperta ed esaminata, respinta, o consegnata con settimane di ritardo. So che alcuni guardiani copiano nomi e indirizzi di chi corrisponde con noi, sia per scoraggiarli a scriverci, ma forse anche per stabilire anch?essi delle relazioni personali.

attesa della morte
La vita è sempre stata preziosa per me, la mia o quella degli altri, ma adesso che sono sull?orlo della tomba, tendo ad accordare alla vita ancor più valore. Non è la morte che io temo, è il modo in cui essa arriva per me. È propio il modo che non riesco a sopportare: non voglio lasciare questo mondo steso su quella fottuta tavola d?esecuzione, con quegli aghi piantati nel mio braccio. È normale preferire una morte naturale; sarebbe bello poter lasciare la vita circondato dalla gente che ami, dopo una vita piena e pienamente vissuta. Quando la mia ora verrà, vorrei essere a casa mia, lì dove sono cresciuto, e non trovarmi in un luogo estraneo dove non c?è che indifferenza e ostilità. Io non voglio essere sotterrato in questo orrendo cimitero di Joe Byrd, che appartiene allo Stato del Texas e dove s?interrano i prigionieri che i familiari non reclamano. Fino ad ora la morte non attraversava i miei pensieri se non in modo molto fugace. Ma ora ci penso quasi sempre. Penso a quello che la mia morte significherà per la gente di fuori. È talmente facile per le autorità e gli uomini in divisa fare odiare chi è qui rinchiuso. La gente di Paesi lontani che neppure ti conosce è pronta ad appoggiare le autorità che esigono la tua morte, semplicemente perché, dicono, lo vuole la legge americana.

il mio matrimonio
Mi sono sposato a 17 anni con una donna di nome Gloria, una donna misurata, riservata che non ha mai frequentato troppo il mondo. È stato un matrimonio come tutti gli altri, con i suoi alti e bassi. Ma riusciamo sempre a trovare un modo per venire a capo di ogni prova. È questo che mi piace del mio matrimonio. Lo viviamo in modo molto semplice. Non ci si priva della compagnia dell?altro e ci si ama mutualmente. Se non potessi salvare che una cosa della mia vita, ebbene, sceglierei il mio matrimonio. La gente, oggi, non ha che una parola sulla bocca: divorzio, divorzio, divorzio. Alla minima difficoltà ecco che vanno nei maledetti Tribunali. Non è così che io vedo le cose.

L?avvenire
Non so bene cosa farò se le porte del carcere mi si apriranno davanti. Ci vorrà, credo, un po? di tempo per abituarmi. Ma la priorità, senza esitazioni, sarà di fare una gran mangiata. Un enorme piatto di legumi con cipolla fresca, dei pomodori veri come quelli che mangiavo a casa mia, un fritto di pesce o, ancor meglio, del pollo alla griglia. Anche gli spinaci freschi mi fanno venire l?acquolina in bocca. Ciò che è certo è che mi impegnerei in uno dei movimenti di lotta contro la pena di morte.

il conto alla rovescia
Poiché hanno fissato la data della mia esecuzione, ho dovuto compilare un modulo che si chiama ?modulo d?esecuzione?, una formalità per dire ciò che sarà dei miei beni e del mio corpo. Un capitano della sorveglianza mi ha domandato come avrei voluto vestirmi quel giorno. Ho risposto con una camicia blu e un pantalone nero in seta. Mi hanno anche chiesto cosa avrei voluto mangiare all?ultimo pasto. Ho risposto una quaglia alla griglia o della lepre con insalata, un tè all?ananas, patate al forno, e una banana split. Sapevo di fare delle richieste vane, perché anche l?ultimo pasto non può che essere confezionato che con i prodotti che si trovano all?interno della prigione. Figurati se vanno al supermercato per noi. Alla domanda di chi avrei voluto accanto alla mia ultima ora ho risposto che volevo le mie sorelle e che avrei voluto che portassero via il mio corpo. Si lascia la propria cella abituale 36 ore prima dell?esecuzione per essere trasferiti in una cella completamente vuota, con un letto, un lavabo e un cesso. È la cella ?death wacth?. Un pugno di guardiani (scelti generalmente tra i più aggressivi e i più violenti) è incaricato del trasferimento. La camera di esecuzione si trova in un?altra prigione, The Walls Unit, a una ventina di chilometri. È quella che chiamiamo la Casa della morte. Ci si arriva tre ore prima dell?esecuzione. Io non sono ancora arrivato nella Casa della Morte, ma so esattamente cosa succede prima, perché ci sono passato. Dalla ?death watch? si viene condotti all?infermeria per una conversazione completamente inutile, il cui scopo è determinare se siete sufficientemente sani di spirito per subire l?esecuzione. Una volta constatato che lo siete, e non dubitate che sia così, vi incatenano i piedi e vi conducono all?uscita posteriore del carcere dove vi aspetta una camionetta. È presumibilmente l?ultima volta che vi vedranno in vita, almeno nel braccio della morte. In quel momento, lasciato il carcere alle spalle, la sola vostra speranza è che il Tribunale possa farvi una sorpresa. Ma è inutile sperare qualcosa da quelle due autorità barbare che potrebbero invece fare qualcosa: il governatore razzista e il comitato ?Texas Parole Board?. Non hanno mai concesso nessuna grazia.

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