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La storia e la pietà La morale e le stelle
Rapporto tra Dio, storia e guerre
di Enzo Fontana
Ricordo che il filosofo Emanuele Kant scriveva che due cose sommamente lo meravigliavano: il cielo stellato sopra il suo capo e la legge morale che sentiva dentro di sé. Cosa direbbe Kant se tornasse a schiudere gli occhi sui cieli di piombo di questo secolo nel quale la stella di Davide ha rischiato di essere spenta per sempre, tanto per fare un esempio di sterminio della ragione, della filosofia, delle arti e delle lettere, in altre parole, un esempio in più del fallimento di tutta una civiltà? Il sole e le stelle del cielo hanno incantato tutte le generazioni, ma quando mai la legge morale ha illuminato il cammino dell?umanità? Non c?è dubbio che la violenza sia la levatrice di quel mostro che chiamiamo storia. Quasi sempre la voce dell?anima è stata soffocata nella culla. La ragione serve all?uomo per essere più bestia delle bestie, come Mefistofele sostiene nella sua scommessa con Dio. La verità è che senza Dio non esiste legge morale, e tutta la storia del genere umano è lì a dimostrarlo: fratricidi, guerre, genocidi, dai tempi di Caino ai nostri giorni. Nella cosiddetta società occidentale, prima di Cristo, non esiste nemmeno l?idea di misericordia. Certo anche nel nome della religione furono compiuti grandi misfatti, ma il cristianesimo fu solo un pretesto. Se rare volte la stella morale brillò nella storia, fu soprattutto per quel che accadde in quella grotta a Betlemme duemila anni fa. Per il resto non c?è pietà, non c?è misericordia, ma l?antica sentenza: ?Guai ai vinti?.
Ricordo un?espressione di significato quasi analogo che sentii quando avevo otto anni: ?Pietà l?è morta!? Ero in vacanza sul Lago Maggiore e un sacerdote aveva portato me e altri ragazzi della colonia estiva a fare un?escursione sui monti. Ci trovammo in una radura. Accanto a un nocciolo, notammo una croce. Io chiesi al sacerdote la ragione di quel segno, e lui ci rispose enigmatico: «Qui fu sepolta la pietà». Com?è naturale, volemmo saperne di più, e il sacerdote, benché riluttante, esaudì la nostra richiesta. Ci raccontò che uno degli ultimi giorni del secondo conflitto mondiale, proprio in quella radura, dei partigiani avevano catturato un tedesco stanco della guerra, forse un disertore, sicuramente un semplice soldato. Dal momento che da una parte e dall?altra raramente si facevano prigionieri, anche quei partigiani pensarono di applicare la feroce legge non scritta. Il tedesco, sentendo il fiato della morte sul collo, scoppiò in lacrime, e a gesti e con poche parole in un italiano storpio, implorava di aver salva la vita.
L’indifferenza, una soluzione tutta italiana
Giurava di non aver mai fatto del male a nessuno e che in guerra ce lo avevano mandato a forza. Dal suo portafogli saltò fuori una foto di famiglia: la moglie e i figli, bambini come noi. I partigiani, seppure induriti a furia di guerra civile, si impietosirono e pensarono di lasciarlo andare: «Male che vada», si dissero, «un tedesco in più non cambierà le sorti della guerra». Ma uno di loro, il commissario politico della brigata, non volle nemmeno sentirne parlare, e sentenziò: «Pietà l?è morta!». «Ma se è un povero Cristo?, disse un altro partigiano. «Non vedi che ha mani da lavoratore?». «Forse queste mani si sono macchiate del sangue dei nostri compagni», replicò il commissario. «Mani come le sue hanno ucciso milioni di proletari in Russia. I calli possono venire anche a furia di torturare». Continuò sostenendo che quelli che volevano liberare il tedesco non solo dimostravano scarsa coscienza politica, ma fragilità morale. Insomma tanto disse e tanto fece che convinse anche i più riluttanti che dalla morte di quel fante tedesco dipendevano le sorti della seconda guerra mondiale. E così lo uccisero e lo seppellirono senza una croce. Appena il giorno dopo, quel partigiano tutto d?un pezzo attraversava la stessa radura. Forse gettò uno sguardo sotto il nocciolo, dove la terra era fresca. La morte che lui aveva evocato in quel luogo, la morte era in agguato, per l?occasione vestita da tedesco. Fu ucciso con una raffica di machine pistole, secondo la legge del contrappasso.
Mi è venuto in mente questo racconto come esempio del modo in cui non si esce da una guerra, e meno che mai si esce da una guerra civile, che con quella tribale si contende il primato della ferocia. Per fortuna i padri della Repubblica non imboccarono il vicolo cieco della vendetta, compreso Togliatti, e promulgarono più di un?amnistia, anche se non per misericordia, ma per ricucire le ferite della guerra civile. Eppure gli odi furono conservati come reliquie e passarono di generazione in generazione, almeno fino a quella che prese le armi ?contro un mare di guai?.
Nei primi anni ?70, quando la componente estrema della sinistra rivoluzionaria imboccò il labirinto della lotta armata, c?era persino qualche ex partigiano che parlava di resistenza tradita, di fascisti da ammazzare, di rivoluzione mancata Si favoleggiava di armi sepolte alla fine della guerra e qualche ferrovecchio veramente venne riesumato e consegnato all?ultima leva guerrigliera Ma si trattava più che altro di chiacchiere di vecchi nostalgici, i quali dileguarono alla prima ondata di arresti. Non per niente il primo gruppo armato di sinistra si autodenominò Gruppi di azione partigiana. Giangiacomo Feltrinelli, fondatore di questi Gruppi, con ciò voleva significare proprio la continuità con la guerra civile.
Mi si potrà obiettare che solo in rari casi ex partigiani si trovarono coinvolti con la rinascente lotta armata, il che è vero, ma ciò non toglie che l?odio era il sentimento prevalente. Non l?estrema avversione per il male, per le abominevoli azioni e dottrine del nazifascismo, ma per gli avversari politici. Negli anni ?70 in Italia si respirava ancora l?aria della guerra civile e il tizzone che diede fuoco alle polveri veniva da lontano.
Gli ultimi fuochi della guerriglia si sono spenti da anni. Non ci sono miti sepolti per illudere una prossima generazione, ma solo un pugno di sepolti vivi nelle patrie galere. I fascisti vennero liberati dopo due o tre anni dalla fine della guerra anche quelli condannati per crimini gravissimi.
I brigatisti invece hanno mediamente scontato dieci, quindici e anche vent?anni di carcere, e ancora è giudicata impraticabile la via dell?indulto Per fortuna ci pensa Scalfaro, che con la grazia ad personam, una tantum, da qui al giorno del Giudizio universale avrà risolto l?irrilevante problema dei detenuti politici in Italia: se questo è un modo per uscire da una specie di piccola guerra civile! Ma non poi tanto piccola, se si considera che nella ?notte della Repubblica?, mentre la luminosa legge morale del cronista Sergio Zavoli brillava come la stella di Febo Apollo, nelle prigioni passavano migliaia e migliaia di detenuti politici. Ancora verso la metà degli anni ?80 erano oltre cinquemila. E questo sia detto almeno per la cronaca, non certo per giustificare il sangue versato in quegli anni.
Insomma, tra la vendetta o la misericordia verso gli sconfitti, la classe dirigente di questo paese sembra aver chiuso il libro del recente passato nel modo più consono alla sua vigliacca natura: l?indifferenza.
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