Volontariato

La forza delle domande

L'editoriale di Giuseppe Frangi sul futuro del movimento nato in occasione del G8 di Genova.

di Giuseppe Frangi

Che cosa resta di Genova? A che punto è il movimento che in quei giorni, indimenticabili, purtroppo in ogni senso, aveva alzato la testa e fatto sentire la sua voce? La domanda va posta proprio così: perché in quei giorni, oltre 700 giorni fa, si era davvero ?messo in movimento? qualcosa. Una coscienza plurale e collettiva aveva iniziato un cammino, proponendolo a tanti. Anzi a tutti. Pretendendo che anche i potenti arroccati nella zona rossa finalmente ne tenessero conto. Era un movimento calmo e audace nello stesso tempo. Calmo perché pacifico nel suo stesso dna. Audace perché osava proporre un?agenda di problemi su cui sarebbe stato infinitamente più comodo continuare a chiudere gli occhi. Ha senso uno sviluppo che lascia fuori dalla porta tre quarti dell?umanità? Sino a quando la terra sopporterà i livelli di consumo del primo mondo? Davvero non esistono alternative? Le domande, se sono domande giuste, difficilmente s?accontentano di essere registrate e archiviate. Le domande camminano, producono cambiamenti, sono contagiose, cercano consensi, generano altre domande. Insomma, creano movimento. Non solo. Le domande inquietano, interpellano il privato di ciascuno, portano a galla la certezza che esiste un rapporto tra i comportamenti individuali e quotidiani e il destino complessivo del mondo. Le domande, infatti, ci chiedono ragione di ogni scelta e di ogni gesto. Ci sembra giusto, due anni dopo, ridare a Genova quel che è di Genova. Nel senso che quei due giorni davvero ci hanno cambiati e hanno cambiato in meglio il mondo. Probabilmente, nell?occasione dell?anniversario, l?occhio mediatico noterà solo un riflusso, una dispersione in mille rivoli, una prevalenza della stanchezza o della questione giudiziaria. O registrerà qualche battibecco da cortile. Ma è un occhio superficiale che non registra i sommovimenti profondi. In realtà un occhio appena un po? più curioso e paziente s?accorgerebbe del sommovimento che sta avvenendo. Che oggi non si parlerebbe tanto di etica, né di responsabilità sociale, né di nuovi stili di vita, se per tanta gente non fossero diventati dei valori irrinunciabili. Lo dicono i sondaggi (l?ultimo, pubblicato da Repubblica, ci dice che il 28% degli italiani sono impegnati nel sociale). Lo dicono le lente trasformazioni dei consumi (l?equosolidale cresce del 50% nel 2002). Cambiano le letture. Cambiano anche le bandiere… Ma questo non è ancora tutto. Perché a proclamare l?imprescindibilità di Genova sono soprattutto i problemi rimasti insoluti. L?anniversario cade mentre l?Italia è messa in ginocchio dal caldo e dalla siccità. In realtà è finito in ginocchio un modello che cavalca i consumi e dimentica gli sprechi. Contro chi bofonchiava sulla necessità di nuove centrali si è sentita la voce di chi ha chiesto se fosse proprio imprescindibile tenere tutti quei condizionatori accesi. Anzi, ha iniziato a spegnerli (lo ha proposto l?Arci a tutti i suoi iscritti). Due giorni dopo sul Corriere della Sera un grande esperto come Geminello Alvi evidenziava come, numeri alla mano, l?unica strada fosse proprio quella del risparmio energetico. E citava un caso americano: la California. Che dopo il drastico black out di due anni fa ha imboccato la strada del risparmio. Riducendo del 10% i consumi e tagliando così l?energia equivalente di sei centrali. Persino Los Angeles si è piegata alla logica di Genova?


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