Giustizia

Violenza, le donne denunciano di più perché ora si fidano di più

Alla festa di Natale delle mamme e dei bambini accolti negli alloggi per l’autonomia della Fondazione Asilo Mariuccia a Milano era presente anche il presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia. Sull'incremento nei numeri delle denunce osserva che «le donne si fidano della rete di accoglienza e delle istituzioni e che quindi cercano aiuto e decidono di denunciare»

di Antonietta Nembri

Ci sono bambini che corrono, donne di ogni provenienza che hanno cucinato i piatti e i dolci delle loro terre. Siamo nella palazzina che ospita gli alloggi per l’autonomia della Fondazione Asilo Mariuccia – Fam di Milano in zona Città studi. Nei suoi 17 appartamenti la pluricentenaria fondazione (è nata nel 1902) accoglie 24 nuclei mamma – bambini che dopo il percorso della prima accoglienza stanno ora recuperando una loro autonomia. Si tratta di donne che emergono da situazioni di fragilità dovute a violenza – fisica, psicologica, economica – e dei loro figli che a questa violenza hanno assistito.

«Il nostro è un lavoro cucito su ciascuna persona per accompagnarla nella ricostruzione della propria autonomia, favorendo la formazione professionale e il reinserimento sociale» spiega Rosanna Giordanelli, responsabile accoglienza nella città di Milano di Fam. «Nella rete degli alloggi, inoltre, queste donne costruiscono delle relazioni amicali, una sorellanza, un mutuo aiuto a loro più necessario anche perché sono per lo più persone prive di reti parentali».

La festa di Natale

Quest’anno alla Festa di Natale in via Jommelli c’è stato un ospite speciale, il presidente del tribunale di Milano Fabio Roia che proprio lo scorso novembre è stato insignito del premio Asilo Mariuccia 2023.

«In questi giorni ci sono tante occasioni istituzionali ma anche incontri doverosi per ringraziare tutte le istituzioni del territorio e scambiarsi gli auguri per Natale. Quando dico che ho voluto venire qui espressamente» afferma Fabio Roia «lo dico perché la Fondazione Asilo Mariuccia rappresenta la passione e la bellezza della diversità in situazioni di sofferenza gestite con competenza e quindi io che preferisco sempre mettere la persona al centro e amo molto la persona proprio per le sue diversità, trovo che questo sia un luogo di spontaneità, di passione, di calore e mi è piaciuto venire ed essere presente per augurare a tutti gli operatori, le operatrici, un buon Natale e soprattutto anche alle mamme ospiti con i loro bambini».

Siamo in un luogo in cui le donne vittime di violenza vengono aiutate a riemergere dalla loro condizione. Oggi i numeri sono in crescita…


È vero. Però quando c’è un’emersione, un aumento di denunce vuol dire che siamo in presenza di un fattore positivo. Vuol dire che le donne si fidano della rete di accoglienza e delle istituzioni e che quindi cercano aiuto e decidono poi di denunciare. Noi dobbiamo considerare l’aumento delle denunce come un dato positivo. Dovremmo invece andare ad indagare quanto è il sommerso, perché ovviamente quello non emerge e lo si percepisce soltanto lavorando sul territorio oppure facendo indagini, come può fare l’Istat attraverso campionature bilanciate da un punto di vista statistico. Quello che è molto importante e che risulta almeno nella città metropolitana di Milano e nel Tribunale di Milano è che c’è una scarsa emersione soprattutto delle donne straniere perché secondo me soffrono una forma di violenza doppia: la violenza primaria che può essere quella fisica, psicologica e sessuale nell’ambito della relazione e la secondaria che deriva da una situazione di isolamento attribuibile in prima battuta alla non conoscenza magari della lingua italiana e alla non conoscenza della rete dei servizi. Sono donne che soffrono in silenzio. Credo che la prospettiva sia andare noi da loro noi, intendo dire tutti i nodi della rete non aspettare che vengano loro da noi questo dovrebbe essere un grande progetto.

Il mio sogno è che non ci sia più bisogno delle case rifugio nel senso che non debbano essere le donne a scappare e quindi a rifugiarsi, ma gli uomini a comprendere che la donna merita rispetto

Andare alla scoperta del sommerso presuppone che tutti gli operatori in campo siano formati e culturalmente preparati. Crede che lo siano?

Questo è un settore di intervento che ha come precondizione la competenza, la conoscenza, la professionalità e anche l’empatia. Sono cose che non si improvvisano, sono obiettivi che devono essere realizzati attraverso percorsi mirati di formazione e di sensibilizzazione. La formazione di tutti gli attori della Rete quindi: forze di polizia giudiziaria ma anche operatori di privato sociale e operatori che stanno in case rifugio piuttosto che in centri antiviolenza è una precondizione anche per i magistrati e gli avvocati, quindi abbiamo citato tutti i soggetti del processo penale. È fondamentale, è una precondizione perché altrimenti si rischia di fare danno creando involontarie forme di violenza. È chiaro che andare da donne che soffrono significa entrare nei loro modi e luoghi di aggregazione. Occorre creare un passaparola virtuoso che crei fiducia nella rete, che nel territorio di Milano e nell’area metropolitana di Milano ha una grande storia, come dimostra peraltro quella pluricentenaria della Fondazione Asilo Mariuccia e delle altre comunità di privato sociale che sono nella rete di accoglienza del Comune di Milano e della Città metropolitana di Milano.

Le comunità esistenti sono sufficienti per rispondere a un bisogno in crescita?

Il mio sogno è che non ci sia più bisogno delle case rifugio nel senso che non debbano essere le donne a scappare e quindi a rifugiarsi, ma debbano essere gli uomini a comprendere che la donna merita rispetto nella sua diversità di genere innanzitutto, ma soprattutto nella sua piena soggettività, cosa che ancora non è stato assorbito come messaggio culturale. Questo sarà un lungo percorso culturale da fare. Diciamo che si va avanti, ma come dice il Presidente della Repubblica un po’ a singhiozzo, io sono perfettamente d’accordo, si va avanti un po’ a intermittenza. È chiaro che, in attesa che questo lungo percorso culturale possa in qualche modo maturare, è necessario che ci siano luoghi di accoglienza temporanea dove la donna si senta protetta però in una normalità di vita non si senta come dire uso un brutto termine reclusa, condizionata, isolata, ma si senta libera di essere momentaneamente in questo luogo che deve essere un luogo che sprigiona Bellezza con la B maiuscola.

Dal punto di vista giuridico, le donne hanno a disposizione delle leggi cui ricorrere per proteggersi?

Con l’ultima legge approvata dal Parlamento che è entrata in vigore il 9 dicembre di quest’anno (L. 168/2023 – ndr.). Direi di sì. Il problema è realizzare, attuare bene e tutte le leggi che ci sono. E questo comporta innanzitutto risorse che scarseggiano un po in tutti i settori. Parlo della magistratura, ma mi sento di dirlo anche per le forze di polizia giudiziaria e risorse anche di natura economica, perché questo è un tema che ha bisogno di risorse. Mi viene in mente la Spagna che quando ha deciso di fare un cambio di passo ha investito un miliardo di euro per un piano strutturale e serio antiviolenza. Allora forse noi avremmo bisogno di questo tipo di investimenti e poi ci vuole quello che dicevo prima: competenza e professionalità perché improvvisarsi è devastante, perché involontariamente si può essere giudicanti, si può essere respingenti e questo allontana la donna che è in una situazione di fragilità a causa di una relazione tossica e violenta. Dai nodi della Rete questo assolutamente non deve accadere, perché poi si crea un passaparola negativo. Noi invece abbiamo bisogno di un passaparola positivo e di fiducia.

Nella foto in apertura da sx: Marilena Ganci, benemerita Fam e presidente club Lions legalità società civile; Rossella Vitali, presidente benemeriti Fam; Emanuela Baio, presidente Fam; Fabio Roia presidente del tribunale di Milano; Luigi Santonastaso membro del Cda Fam e Rosanna Giordanelli responsabile servizi Fam di Milano – foto da Ufficio stampa

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