Mondo

Cosa fare per l’Africa/Liberia. La via di sant’Egidio per mettere fine all’inferno

L’associazione romana è pronta a una nuova mediazione. E punta sui giovani: "In 300mila chiedono pace e giustizia".

di Emanuela Citterio

“La mia vita dipende da voi e la vostra vita dipende dalla mia”. Charles Taylor lo ha detto chiaro e tondo a tutta la nazione, in un recente comunicato via radio. Una frase che esprime bene il fondamento su cui l?attuale presidente della Liberia ha costruito il suo potere. «È il terrore che ha governato il Paese in questi anni», ha commentato un operatore umanitario raggiunto dall?agenzia Misna. «Non ci saranno vincitori in questa guerra. Non possono esserci quando il popolo è assediato. Alla fine resta solo il dolore contenuto nelle lacrime delle madri». Diamanti e armi Decine di migliaia di profughi e 300 morti in tre giorni: è il bilancio di fine giugno in Liberia. Ma la scia di sangue nel Paese africano va avanti almeno dall?inizio degli anni 90. La guerra civile vinta dalla fazione di Taylor è costata la vita, tra l?89 e il 95, a più di 250mila persone. È continuata divisa in mille rivoli, alimentata da nuovi gruppi armati guidati da nuovi signori della guerra. Si è riaccesa ogni volta in un nuovo focolaio, coperta da colpevoli complicità internazionali, sulle rotte del commercio illegale di diamanti e di armi. Di armi in cambio di diamanti, e viceversa. Un terrore silente, quello della Liberia e di tutta quest?area dell?Africa occidentale, che in questi giorni sembra essere esploso sotto gli occhi della comunità internazionale. La capitale Monrovia sotto tiro da parte dei ribelli del Lurd (Liberiani uniti per la riconciliazione e la democrazia) e il presidente sotto accusa da parte del Tribunale internazionale della Sierra Leone per crimini contro l?umanità, sono i due elementi attorno ai quali ruota uno scenario di ancora incerta soluzione, che sembra però arrivato a un punto di non ritorno. «Se le pressioni internazionali non sbloccheranno la situazione, siamo disposti a offrire per la seconda volta un terreno di confronto in Italia». A parlare è Mario Marazziti della Comunità di Sant?Egidio. L??Onu di Trastevere? ha svolto un ruolo importante di mediazione fra il governo liberiano e i ribelli del Lurd. Un anno di lenta e paziente costruzione di rapporti è sfociato in un primo importante risultato lo scorso 7 giugno, con la dichiarazione di cessate il fuoco unilaterale da parte dei ribelli del Lurd, avvenuta proprio a Roma presso la sede della Comunità. Le trattative «Abbiamo preso i primi contatti con alcuni gruppi ribelli più di un anno fa, per verificare se c?era la possibilità di trovare una soluzione politica a questa crisi», racconta Marazziti. «Poi i ribelli ci hanno chiesto di avviare un contatto con il governo, agendo da facilitatori». Rappresentanti della Comunità di Sant?Egidio sono stati invitati anche al negoziato organizzato dall?Ecowas in Ghana, che si è concluso il 17 giugno con una tregua tra governo e ribelli, che però ha retto solo per una settimana. Poi sono ripresi gli scontri fra Lurd e governativi. Lo stesso giorno dell?apertura del negoziato in Ghana, il 4 giugno, Taylor è stato incriminato dal Tribunale penale internazionale della Sierra Leone per crimini di guerra a causa dell?appoggio dato ai ribelli del Fronte rivoluzionario unito di Foday Sankoh nella guerra civile sierraleonese. Un appoggio che risale all?89, prestato in cambio dello sfruttamento delle ricche miniere di diamanti che si trovano nell?Est della Sierra Leone. Sotto la pressione degli Usa, Taylor all?inizio di luglio ha annunciato che lascerà il potere e riparerà in Nigeria. «Le pressioni internazionali sono determinanti per una soluzione politica al conflitto», continua Marazziti. «Ma poi è necessario trovare sul campo delle soluzioni praticabili». In Liberia c?è un tessuto sociale da ricostruire. «Nel Paese c?è una generazione cresciuta al soldo dei miliziani e dei ribelli, ma anche giovani africani che si impegnano per cercare una nuova via di pace e di giustizia». La Comunità di Sant?Egidio, che per un terzo è composta da africani, ha consegnato un appello firmato da 300mila giovani del continente ai capi di Stato riuniti per il summit dell?Unione africana a Maputo, in Mozambico, dal 10 al 12 luglio. Un appello che esprime la volontà di non rassegnarsi davanti alle guerre, alla corruzione e all?Aids.


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