Mondo

Ong, fate più mercato

S’intitola The 21st century ngo. Attraverso 200 interviste gli autori hanno cercato di tracciare il futuro della cooperazione.

di Carlotta Jesi

“Le ong devono smetterla di pensare che fare business equivalga a vendere l?anima al diavolo. O, peggio, a tradire la loro missione”. Per Seb Beloe, direttore della società di consulenza SustainAbility, se mai è il contrario. «Che il tuo obiettivo sia proteggere la natura o cambiare le regole del mercato, lanciare prodotti con un buon impatto socioambientale è molto più efficace che limitarsi a fare lobby su governi e aziende. Il mercato oggi offre alle ong una grande chance di sviluppo». È la tesi del rapporto The 21st Century Ngo In the market for Change redatto da SustainAbility col supporto delle Nazioni Unite: 60 pagine di dati, previsioni e raccomandazioni sulle sfide che attendono le ong nel ventunesimo secolo, in cui non mancano le critiche sulla scarsa trasparenza di molte organizzazioni non governative definite da Beloe e colleghi «la punta visibile dell?iceberg Terzo settore». Una punta che oggi è formata da oltre 45mila grandi ong nazionali e internazionali e da svariati milioni di piccole sigle. «Solo in India sono oltre 3 milioni», spiega il direttore di SustAinability, che per stendere il rapporto ha intervistato oltre 200 organizzazioni non governative del Nord e Sud del mondo. Tutte destinate a mollare assistenza e campagne di sensibilizzazione per fare impresa sociale? Seb Beloe: Non stiamo parlando di fare solo questo o solo quello. Le ong avranno sempre un importante ruolo di monitoraggio sull?operato di governi e aziende. Ruolo in cui, ultimamente, hanno raggiunto grandi livelli di raffinatezza. Basti dire che negli Stati Uniti, grazie al loro lavoro, le risoluzioni di azionisti contro l?inquinamento ambientale sono praticamente raddoppiate. Il punto però è un altro: il mercato offre alle ong una nuova strada per raggiungere i loro obiettivi. Vita: Esiste qualche sigla che l?abbia già percorsa? Beloe: Negli Stati Uniti, il Sierra Club: una ong ambientalista che vende magliette di cotone organico e caffè del commercio equosolidale. Tutto con il suo marchio, che è diventato sinonimo di etica e di qualità. Ma è accaduto anche in Gran Bretagna, con The Big Issue: vende un giornale, e da qualche tempo anche assicurazioni, per aiutare i senzatetto a reinserirsi nella società. Altro che svendersi l?anima. Ci sono partnership tra non profit e privato che stanno portando a grandi cambiamenti. Vita: Tra i partner che hanno contribuito alla realizzazione del suo rapporto, figura anche il programma Global Compact dell?Onu: la partnership tra profit e non profit più pubblicizzata e criticata del momento. Non è che le sue raccomandazioni alle ong siano interessate? Beloe: Non è così. Il problema è che l?idea di partnership è stata venduta prima di essere testata: nella maggior parte dei casi questa parola oggi indica solo un?alleanza superficiale tra ong e aziende che si scambiano informazioni. Le partnership che ho in mente, sono più strette. Per esempio quella tra la Nike e le ong che stanno aiutando il marchio sportivo a promuovere il cotone organico: lavorano insieme per creare un mercato e anche una catena di produzione. Ma potrei citare anche l?esempio del Climate Natural Network: un?alleanza tra aziende e organizzazioni non profit che promuove un migliore impatto ambientale assegnando il certificato di Climate Cool alle aziende che tagliano le proprie emissioni inquinanti. L?errore più grande che oggi può fare una ong è non cogliere le opportunità offerte dal mercato e pensare di poter criticare la scarsa trasparenza delle aziende senza che nessuno le chieda conto della sua. Proprio come le imprese, le organizzazioni devono essere più accountable. Vita: Sembra di sentir parlare George Bush: accountability è la parola che ha usato per giustificare la creazione di Ngo Watch, un sito Internet che monitora l?operato di tutte le ong… Beloe: L?amministrazione Bush strumentalizza il bisogno di trasparenza per raggiungere il suo obiettivo: che è indebolire le ong, e basta. Ma la necessità di una maggiore trasparenza rimane. Abbiamo provato a fare un benckmark della sostenibilità delle ong studiando i loro bilanci socio ambientali come facciamo con quelli delle grandi aziende: quelli delle ong sono decisamente peggiori di quelli delle aziende che criticano. Vita: Molte non profit sostengono che troppa trasparenza possa vanificare i loro sforzi… Beloe: Può essere vero per piccole sigle che si battono per la difesa dei diritti umani in Marocco o in Egitto. Ma quando sei grande come Greenpeace o Friends of the Earth, e lavori negli Stati Uniti e in Europa, la trasparenza è un dovere. Oltre che un?opportunità per battere la concorrenza e dimostrare di essere un buon investimento. Vita: Investimento per chi? Beloe: Le Fondazioni, per esempio. E, in generale, i donatori. Fino a ieri le ong potevano contare sulla rabbia e la frustrazione dei cittadini per avere finanziamenti. Oggi ci sono meno fondi, privati e pubblici, e più concorrenza: bisogna dimostrare di essere un buon investimento. Qualcuno, per esempio, potrebbe decidere di acquistare prodotti bio o del commercio equo invece di rinnovare la tessera di Greenpace per aiutare la natura. E in queste scelte, la trasparenza dell?ente su cui si investe conta. Vita: In Italia, molte piccole ong sono a rischio chiusura per la riduzione dei fondi governativi. Cosa consiglierebbe loro? Beloe: Sta succedendo anche altrove. L?errore più grosso sarebbe tentare di andare avanti come prima. Cioè la stagnazione. Info: Siate impresa sociale È il consiglio che la società di consulenza SustainAbility dà alle ong nel suo rapporto che si può ordinare sul sito SustainAbility e di cui, nelle foto sopra, potete ammirare alcune copertine. Copertine, già. Più di una, perché numerose e diverse sono le sfide che attendono le ong nei prossimi anni: diventare più trasparenti e accountable, sfruttare le occasioni offerte dal mercato, trovare nuove forme di finanziamento.


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