Mondo

Che cosa fare per l’Africa. Un continente che si forma alla Cisl

Sono 165 i rappresentanti di sei Paesi subsahariani che “studiano” da sindacalisti.

di Paolo Manzo

“Per risolvere i problemi dell?Africa? Si parte dal basso e si cerca di ricostruire”. Cesare Regenzi, segretario confederale Cisl che si occupa di formazione, per il Continente nero non propone teorie. Ma pratica spiccia. Una pratica che si chiama ?progetto Africa? e si struttura in tre fasi. «Nella prima, già portata a termine, abbiamo individuato 165 dirigenti sindacali su cui lavorare e che provengono da Tanzania, Ruanda, Benin, Mozambico, Swaziland e Sierra Leone. Nella seconda ci concentreremo sulla formazione dei dirigenti sindacali scelti, anche con stage in Italia. Nella terza e ultima fase utilizzeremo il know-how dei 165 per fare una formazione più capillare nei loro Paesi. Per ora il ?progetto Africa? interessa sei nazioni, ma l?obiettivo è di arrivare a tutti i Paesi dell?Africa subsahariana, che sono una ventina». Vita: Come mai avete scelto questi sei Paesi e non gli altri? Cesare Regenzi: Siamo entrati dove abbiamo avuto l?impressione che i governi locali fossero meno ostili al nostro progetto. Siamo andati dove c?è un po? più di prospettiva democratica, come in Mozambico, dove dopo anni di guerra si sta lentamente ritornando alla calma. Vita: Le realtà dei Paesi in cui siete intervenuti sono assai diverse. Quali sono le problematiche maggiori che avete individuato? Regenzi: Purtroppo le solite: bambini soldato, Aids, miseria e fame. Vita: Come reagiscono, per ora, i sindacalisti africani? Regenzi: Con molto entusiasmo. Inoltre, essendo pieni di problemi a casa loro, seguono i corsi con una grande tensione ideale. Vita: Ma perché avete deciso di occuparvi direttamente di Africa? Regenzi: È un atto dovuto. Sono quelli che stanno peggio. E poi, paradossalmente, oggi nei Paesi dell?Africa ci sono gli spazi per provare a ricostruire qualcosa, essendo stati dimenticati da tutti perché non sono più l?ombelico del mondo, come ai tempi della Guerra Fredda. Lavoriamo tra mille difficoltà, ma con meno ostacoli rispetto a prima del crollo del muro di Berlino. Vita: A livello di formazione su cosa puntate di più? Regenzi: Gli insegniamo l?abc del lavoro, li formiamo esattamente come i nostri delegati sindacali italiani: lezioni di economia, sociologia, contrattualistica, modelli organizzativi? una vera e propria scuola di sindacalismo nel cuore dell?Africa. Anche se una parte delle lezioni pensiamo di darle presso il nostro Centro studi di Firenze. Come facemmo qualche anno fa con Lula. Vita: Come siete riusciti a finanziare il ?progetto Africa?? Regenzi: Per raccogliere i soldi necessari abbiamo drenato risorse al nostro interno, stanziando una prima tranche di finanziamento di 200mila euro. E poi abbiamo preso contatto con l?Organizzazione internazionale del lavoro che ci darà, si spera, una mano. Ne abbiamo bisogno. L?obiettivo è di riuscire a dare all?Africa dei dirigenti sindacali per il futuro. Un obiettivo che vale la pena di un piccolo investimento.


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