Formazione

Inaugurato il Condominio solidale. È bello abitare in via Urbino numero 9

Sono tre palazzine alle porte di Milano. Abitate da tre famiglie e da 15 ex pazienti dell’ospedale psichiatrico Paolo Pini (di Maria Cortese).

di Redazione

Il cantiere è ancora aperto. Ci sono ancora delle ristrutturazioni da completare. Ma l?aria che si respira è di gioiosa confidenza nella stabilità di un progetto che per sua stessa natura stabile non è, se non nell?intenzione e nella volontà di plasmarlo. Non è stabile perché è in continua evoluzione, come lo sono gli uomini e la vita stessa.
Il progetto ha un nome: Condominio solidale. E una struttura: tre palazzine comunicanti, di tre piani ciascuna, immerse nel verde pacificante dei propri giardini condominiali, in via Urbino 9 a Bruzzano, una volta paese e ora quartiere di Milano. “La forza che, come cemento, tiene insieme questi mattoni è la disponibilità ad accogliere e ad accogliersi reciprocamente”, recita un motto di Acf, l?Associazione comunità e famiglie di cui fan parte gli inquilini di questi stabili.
Ci crede fermamente Paolo Pratone, dirigente in un?azienda di servizi milanese determinato all?impresa del Condominio. Con lui c?è la moglie Simona, neomamma della piccola Rebecca, e con loro altre due famiglie. Yuri, architetto, e Samantha, educatrice e poi Cecilia, medico di base, ed Enrico, restauratore, per un totale di una decina di bambini e ragazzi, di cui due in affido. Per questa causa comune Enrico si è inventato idraulico, elettricista, muratore.

Vuote per 30 anni
Perché, infatti, lo slancio vitale di questa combriccola di innovatori (la cui età spazia tra i 30 e i 40 anni) ha riportato materialmente in vita tre cattedrali perse nel deserto della speculazione edilizia italiana. Costruite negli anni 70 dall?imprenditore Ligresti, le palazzine, formalmente destinate a ospitare uffici, non hanno mai visto la presenza di alcuno. Ma nell?anno 2000 la Fondazione I care, emanazione dell?Associazione comunità e famiglie e della cooperativa sociale Farsi prossimo, promossa da Caritas Ambrosiana, decide di recuperare questi ormai decadenti edifici per realizzare un sogno: far convivere nell?ottica di un buon vicinato una comunità di famiglie e una comunità di malati psichici, proveniente dal dismesso ospedale Paolo Pini.
Velleitaria, ingenua utopia? “Desiderio di una vita migliore, piuttosto”, dice Paolo Pratone. “Voglia di fuga da questa società individualista, che crea isolamento, distacco, indifferenza, piena di palazzi dove le famiglie neppure conoscono i propri vicini. Il Condominio solidale vuole essere un microcosmo di umanità, che permetta a ognuno di condividere anche i propri limiti e disagi come momenti di apertura, comunione e aiuto scambievole, anziché chiusura, difesa, attacco. Scoprendo e condividendo i talenti e le qualità di ognuno”.
Se il concetto è semplice, trasformarlo in realtà non sembra facile. “Ovviamente siamo persone normali e come tutti provati dagli stress da lavoro, dai problemi familiari, dalle fatiche, dagli scontri coniugali. Ma ci sostiene quella che per me è una vocazione: creare le condizioni per vivere meglio e realizzarsi pienamente”. In questa forma di comunità, ogni famiglia ha se stessa come priorità sulle altre e per favorire i momenti di scambio e di incontro è stata creata la zona giorno per tutti al secondo piano (dove campeggia la dispensa comune) mentre la zona notte è al terzo. Grande voto di fiducia per l?economia comune: gli stipendi di tutti finiscono su un unico conto corrente, da cui si attingono i soldi per pagare vitto e spese comunitarie. Carta bianca per le spese personali: ogni mese ogni famiglia stacca un assegno su cui scrive l?importo per le proprie necessità che rimane secretato agli altri.
E poi ci sono loro: i pazzi, quelli ufficiali. Dodici uomini ultimi esuli dell?ospedale psichiatrico Paolo Pini e tre donne. Schizofrenici residui, ovvero cronici, con trent?anni di internamento sulle spalle. Tra loro un sordomuto rinchiuso all?età di dieci anni. Abitano due piani dell?ala destra del condominio.
Su di loro vigila con amorevole passione Alessandro, 29 anni, assistente sociale che coordina il lavoro di infermieri, educatori, ausiliari socio-assistenziali, addetti alle pulizie e al guardaroba, il cuoco e i due psichiatri che provvedono alle varie necessità. Alessandro è visibilmente contento, nonostante l?immaginabile impegno e fatica. “Mi hanno scelto per la mia stazza”, dice. Ma basta poco per capire che non è certo la sua corpulenza a far girare le cose, ma il modo con cui si applica ai suoi ospiti. “Sono qui da un anno e mezzo e sono tutti migliorati, con notevoli attenuazioni del disagio clinico comportamentale”, dice.

Le stelle dell?Orsa
“La terapia? Oltre ai farmaci, le modalità affettive e comportamentali di un clima familiare sano”. Tutti sono coinvolti nella cura delle abitazioni con turni di lavoro per il servizio in tavola (mangiano insieme), il lavaggio piatti, riordino e pulizia delle proprie cose. Ognuno ha un armadio con i suoi vestiti (banalità per noi supposti normali, straordinarietà per questi ex internati) di cui hanno cura e che scelgono senza ordini altrui. Le famiglie del Condominio sono una grande risorsa per loro, la loro presenza attiva è una vera terapia. I bambini, poi, sono di grande aiuto. Si aprono senza problemi, vengono a giocare, si autoinvitano a cena”. Alessandro ha battezzato la comunità col nome Mizar, la stella doppia del timone del carro dell?Orsa Maggiore. “Loro sono il nostro doppio”, dice, “la grande risorsa interiore che ci fa brillare”.
Viene alla mente un film del 49 con Boris Karlof e Anna Lee: Manicomio. L?eroina vorrebbe migliorare le condizioni di vita dei malati di mente, ma viene scoperta dal malvagio direttore e rinchiusa con loro. A sorpresa, gli internati non si accaniscono contro la donna, ma l?aiutano a scappare. Come a dire che alla razionalità cinica e crudele del direttore si oppone l?umanità solidale e caritatevole dei folli.
di Maria Cortese

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