Volontariato

Una ricerca sulla nuova povertà. Relazioni sociali, il vero tesoro

La nuova frontiera dell'esclusione é quella che approda alla completa solitudine. Per italiani e per immigrati. Lo dicono questi drammatici numeri (di Aldo Bonomi).

di Redazione

Nei primi mesi del 2003 la Caritas Ambrosiana ha promosso una ricerca-progetto affidata al Consorzio Aaster orientata a una prima mappatura delle realtà associative rivolte agli ?ultimi? dislocate nell?area metropolitana milanese e degli utenti da queste intercettati proponendosi, in vista della realizzazione del progetto Casa della Carità, come elemento di connessione, di integrazione, di scambio di saperi e di esperienze tra i diversi attori territoriali. Nel corso di questa sperimentazione di territorio sono state raccolte le testimonianze dei responsabili di 31 strutture associative di ?bassa soglia?, e di circa 150 utenti, tra italiani e stranieri. Nel racconto dei testimoni privilegiati emerge una situazione di trasformazione dell?azione del tessuto associativo che corre parallelo ai più ampi fenomeni di trasformazione sociale di questi anni, in cui il confine tra inclusione ed esclusione appare quanto mai sfumato. Si delinea così una vasta zona grigia che un numero sempre crescente di soggetti si trova ad attraversare nel corso della propria esistenza e il cui senso di marcia dipende sempre più dal capitale di relazioni di cui questi stessi soggetti sono dotati. Così la deriva verso la dimensione dell?esclusione sociale si configura essenzialmente come impoverimento delle relazioni di prossimità sino alla completa solitudine, mentre i processi di inclusione fanno perno proprio sulla capacità di instaurare percorsi di strutturazione di nuove relazioni. Ed è proprio su questo nodo che le strutture associative oggi tentano di indirizzare le proprie azioni e di spendere le scarse risorse economiche e di spazi a disposizione. Il rafforzamento della capacità di entrare in relazione con gli altri ovvero il rafforzamento di legami sociali fragili, derivanti dai fenomeni di precarizzazione del lavoro, dalla trasformazione della famiglia, dall?esodo dei migranti, tanto per citare i processi più evidenti, costituisce la sfida che le strutture di accoglienza oggi cercano di affrontare a partire dall?offerta di beni primari, quali sono vitto e alloggio. A partire dalla soddisfazione di queste esigenze fondamentali gli operatori tentano infatti di stabilire una relazione con le persone che ad essi si rivolgono sulla base dell?ascolto e del dialogo. I principi che muovono l?azione di questi soggetti non sono né quelli dell?elemosina, né quelli del mercato, i quali comportano entrambi la sudditanza del fruitore, ma sono principi di emancipazione umana: il loro obiettivo ultimo è la libertà e l?autonomia dell?individuo. Al fine di perseguire questo obiettivo, i primi soggetti a sentire l?esigenza di ampliare il proprio capitale di relazioni sono le stesse strutture di accoglienza che, nella loro posizione di pivot posta tra gli utenti e le strutture detentrici di risorse per l?inserimento sociale di questi ultimi, giudicano fondamentale operare sia sul fronte interno nel reperimento di nuovi volontari, che sappiano ricambiare una base sociale piuttosto anziana, sia sul piano esterno nell?ampliamento e nel consolidamento delle relazioni con altri attori territoriali pubblici e privati. Per quanto attiene ai numeri relativi all?utenza la rilevazione pone in luce come le 31 strutture sono in relazione con 9.500 utenti/settimanali, suddivisi tra un 60% circa di stranieri e un 40% di italiani con un?età media leggermente al di sopra dei 40 anni. Le problematiche di questi soggetti riguardano innanzitutto l?abitazione, la povertà e il lavoro, la famiglia. L?analisi compiuta sul campione di utenti vede una forte differenziazione dei profili socio-anagrafici tra italiani e stranieri. Gli italiani sono prevalentemente ultra quarantenni maschi, il 40% dei quali separati o divorziati, con titoli di studio piuttosto bassi; viceversa gli stranieri sono sì per lo più maschi, ma hanno quasi tutti meno di 40 anni, sono prevalentemente celibi/nubili o coniugati e possiedono prevalentemente un diploma di tipo professionale. Ad accomunare parzialmente italiani e stranieri è il profilo della famiglia di origine, spesso piuttosto numerosa e, nel caso degli italiani, di origine meridionale, imperniata sulla figura del padre operaio o contadino e della madre casalinga. Dal punto di vista della condizione abitativa circa metà del campione abita presso uno o più centri di accoglienza, il 27%, formato prevalentemente da italiani, vive in affitto, mentre il 17%, formato prevalentemente da stranieri, si trova attualmente sulla strada o ha trovato una dimora precaria in immobili, baracche o autoveicoli abbandonati. Circa metà degli utenti italiani vive da solo, mentre tra gli stranieri prevale la modalità abitativa con altri soggetti. Infine va segnalato come il 60% del campione è disoccupato, 48% tra gli italiani, che annoverano una percentuale poco più bassa di pensionati, 73% tra gli stranieri, cui è da sommare un 21% di lavoratori senza contratto. L?analisi statistica pone quindi in evidenza due situazioni pressoché simmetriche ma che necessitano entrambe di essere sostenute con l?obiettivo di accrescere il numero e la qualità delle relazioni che, nel caso degli stranieri, significa accompagnamento in un percorso di progressiva socializzazione a un mondo che, per molti aspetti, risulta nuovo e dal quale i soggetti si sentono attratti e sono disponibili ad assumerne un ruolo sociale attivo; mentre nel caso degli italiani si tratta di porre in atto iniziative di accompagnamento capaci di superare lo stato di solitudine nella quale questi soggetti sono venuti a trovarsi nel corso della loro vita. di Aldo Bonomi


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