Polemiche

Rsa Lombardia, i milioni di Bertolaso, il fact-checking del Terzo settore

L'assessore al Welfare annuncia 70 milioni di stanziamenti e promette ai lombardi il blocco delle rette. La risposta della più grande organizzazione di gestori non profit, Uneba: «Ne mancano 200 per arrivare a quanto previsto dai Livelli essenziali di assistenza. Non ci viene riconosciuta neppure l'inflazione». Il presidente Luca Degani: «L'aumento minimo delle tariffe calcolato sulla base di un parametro che nessuno conosce». E con i rinnovi contrattuali, attesi aumenti dei salari per 100mila lavoratori

di Giampaolo Cerri

Guido Bertolaso, l’assessore al Welfare della Lombardia, continua a pestare i piedi al non profit che si occupa di anziani e persone con disabilità, e paradossalmente lo fa anche annunciando decine di milioni di adeguamento, 90 per l’esattezza. Ma è proprio il modo di annunciare quello stanziamento che parrebbe aver indisposto di più perché, conti alla mano, è ampiamente inferiore all’aggiornamento dell’inflazione.

La nuova polemica arriva dopo che l’assessore al Welfare lombardo, con una serie di uscite, ha dato l’idea dover messo l’assistenza private nel mirino, dove nell’aggettivo privato, nel socio-sanitario, c’è un bel pezzo di Terzo settore, che copre l’80% dei posti letto nelle Residenze sanitarie assistenziali. Qualche settimana fa, l’ex-capo della Protezione civile, ragionando a beneficio di telecamere e taccuini di scenari o massimi sistemi, aveva detto che «le Rsa si chiuderanno da sole», intendendo a causa dell’insostenibilità del modello dinnanzi a un Paese che invecchia. Tutti però avevano capito che non le amasse troppo.

Nuova polemica su stanziamenti e tetto alle tariffe

Ma veniamo al nuovo confronto. Ieri Bertolaso ha presentato un provvedimento che, fra le altre cose, mette un blocco al possibile aumento delle rette. «Regione», si legge in una nota, «ha anche fissato una soglia (2% della tariffa media delle singole Ats) oltre la quale non sono ammessi incrementi della retta sui posti a contratto con il Servizio sanitario regionale – Ssr». Un comunicato che, ovviamente, spara come bengala gli stanziamenti – 90 milioni, per le stesse Rsa (70) , per le Residenze per disabili – Rsd e per le Comunità socio-sanitarie – Css – ma sventola anche il blocco delle tariffe il cui «obiettivo fondamentale è quello di evitare spese ulteriori alle famiglie che utilizzano le strutture». Titolo del comunicato: «Sanità, 90 milioni per le strutture sanitarie, assistenziali. Assessore Bertolaso: Stop all’aumento delle tariffe».

Il commento di Uneba Lombardia

Già a sera, era arrivato una replica dell’avvocato Luca Degani (foto sotto), presidente dei Uneba Lombardia, vale a dire il più grosso rassemblement di residenze e comunità del Terzo settore – 450 realtà – che già non aveva mancato di polemizzare nei giorni successivi alla sparata di Bertolaso sulle chiusure.

Degani era partito dalle cose buone: «Giusto e condiviso il riconoscimento parziale del costo farmaceutico della residenzialità in Rsa, Rsd e Css», aveva sottolineato, aggiungendo, col puntiglio di chi sa fare bene i conti bene che «è quantificabile in 1,3 euro al giorno sui 60mila posti di Rsa lombardi». Tradotto: una miseria.

Quindi l’avvocato, dopo aver segnalato le omissioni, come i «centri diurni integrati per anziani e disabili che sono l’anello di congiunzione tra domiciliarità» e gli «hospice, che sono il luogo sempre più significativo per la dignità del morire», quindi l’avvocato, dicevamo, aveva riletto la manovra-Bertolaso «con gli occhi della realtà».

Luca Degani, Uneba


Il fact-checking dell’avvocato Degani

Di fatto un puntuto “fact-checking”. A Degani erano infatti bastati due calcoli facili-facili: «40 milioni di euro su 60mila posti letto corrispondono a circa 1,7 euro al giorno per posto letto. Sommati all’1,3 dei farmaci si ipotizza di garantire al sistema per il 2024 un aumento di risorse di poco inferiore a 3 euro al giorno». Osservazioni che si accompagnato al fatto che «per il 2023 non è stato riconosciuto nulla (come per gli 11 anni precedenti al Covid). Insomma per 2023 e 2024; si riconoscono poco meno di 3 euro.

E qui, il presidente Uneba Lombardia, procedeva sempre con la calcolatrice: «In Lombardia la retta media è di 65 euro e la quota sanitaria media di 45 euro», ragionava Degani, «quindi 110 euro di costo». Ergo, «3 euro sono quindi meno del 3% e l’inflazione 2023, dati Istat, è ben superiore al 6%, mentre quella prevista nel 2024, nella migliore delle previsioni, è ipotizzata al 4%».

A questo punto, la nota “milionaria” di Bertolaso sarebbe stata che bell’e smontata ma Degani, come un gentiluomo d’altri tempi, anziché strillare di misure colme, aveva smorzato: «Dobbiamo parlarne ed evitare la facile ricerca del consenso». Per poi aggiungere: «Inconcepibile in questo quadro, il blocco delle rette: servirebbero almeno altri 200 milioni per arrivare finalmente al rispetto dei Livelli essenziali di assistenza – Lea».

Quel confronto fra Lombardia e Toscana

Sì perché attualmente, con la ripartizione 65/45 fra famiglia e Regione, la Lombardia è lontana dal quel 50% di compartecipazione che gli stessi Lea prevederebbero, appunto. «In Toscana, per esempio», precisa Degani che VITA ha raggiunto poco fa a un convegno, «quel rapporto è 58 a 58 che, tra l’altro, fa 116 e non 110».

E già, ma il 2% aumentabile? Chiediamo. Degani introduce il cronista ai misteri kafkiani: «C’è un problema: nessuno conosce la “tariffa media delle singole Ats”», risponde. Prego? «Sì, questo dato non è noto, non risulta, non è utilizzabile». Dunque anche l’aumento è tecnicamente impossibile. E qui, forse più che il grande scrittore ceko si deve forse evocare il drammaturgo rumeno Eugene Ionesco, se non fosse che la Lombardia continua a essere al di sotto dei Lea e che siano in corso le trattative per il rinnovo del contratto di 100mila lavoratori del settore, i cui adeguamenti saranno ulteriormente a cari dei gestori. Uno scenario che mette a rischio il sistema tutto.

La foto in apertura è di Cecilia Fabiano per LaPresse.


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