Antimafia

I porti italiani? Un’opportunità per rafforzare le collusioni della criminalità mafiosa

L'interazione tra economia legale e illegale nei porti trova una delle sue più ampie espressioni, dal momento che sono da sempre i luoghi in cui le criminalità organizzate operano spesso indisturbate. A scattare l'istantanea di una situazione, da cui emergono tutte le proiezioni criminali anche a livello europeo, è l'associazione "Libera" con il rapporto "Diario di Bordo", presentato oggi a Roma

di Gilda Sciortino

Ben lontano dall’immagine romantica di luogo dal quale transitano le vite di persone che partono e arrivano alla volta di entusiasmanti avventure, i porti italiani rappresentano il punto di arrivo, transito, scambio e intersezione di interessi poco puliti. Per i gruppi criminali, infatti, rappresentano un’opportunità unica per incrementare i propri profitti.

Nel corso del 2022, sono stati 29 i porti italiani, 23 dei quali di rilievo nazionale, all’interno dei quali si sono registrati 140 casi di criminalità. L’85, 7 per cento di essi (120) riguarda attività illegali di importazione di merce o prodotti, il 7,9% (11) attività illegali di esportazione di merce o di prodotti, il 2,9% (4) sequestri di merce in transito, mentre il restante è relativo ad altri fenomeni illeciti non classificabili. Il maggior numero di casi di criminalità, inoltre, sono stati individuati nel Porto di Ancona (15 casi) segue il Porto di Genova con 14 casi e Napoli e Palermo con 11.

Dati elaborati e analizzati, nel rapporto di Libera, dal titolo “Diario di Bordo.  Storie, dati e meccanismi delle proiezioni criminali nei porti italiani“, presentato oggi a Roma.

Serve fare una riflessione per evitare di parlare di questo tema solo quando avvengono i maxi sequestri di sostanze stupefacenti

– Marco Antonelli e Francesca Rispoli, curatori del Rapporto di Libera

Una fotografia scattata estraendo tutti i riferimenti relativi alle manifestazioni criminali provenienti dalle rassegne stampa Assoporti, dalle relazioni della Commissione Parlamentare Antimafia, della DIA, della DNAA, dell’Agenzia delle Dogane e della Guardia di Finanzia. Relazioni, pubblicate tra il 2006 e il 2022, che ci dicono che almeno 54 i porti italiani sono stati oggetto di proiezioni criminali, con la partecipazione di almeno 66 clan, che hanno operato in attività di business illegali e legali. Un fenomeno che ha investito tutto il Paese, da Nord a Sud

Foto tratta dal rapporto di Libera “Diario di Bordo” (foto @Ansa)

«La prospettiva di analisi utilizzata » – è il commento di Marco Antonelli e Francesca Rispoli tra i curatori del Rapporto di Libera-  «ha provato a mettere in luce le dinamiche di interazione tra fenomeni illegali e attori dell’economia legale, per mettere in evidenza non solo l’azione dei gruppi criminali, ma soprattutto le condizioni di contesto che permettono ai gruppi di operare. In Italia, alcune istituzioni se ne sono occupate, ma, nonostante la centralità del sistema portuale per l’economia del Paese e la rilevanza della criminalità organizzata italiana nello scacchiere internazionale, manca un’analisi più ampia del fenomeno. Nel dibattito pubblico, infatti, le riflessioni sul tema emergono solitamente in concomitanza con i grandi arresti condotti dalle forze dell’ordine o in occasione dei maxi-sequestri di stupefacenti o altri materiali illegali. La narrazione, però, risulta essere spesso allarmista, mentre sembra essere necessaria un’analisi puntuale che metta in mostra non solo l’azione dei gruppi criminali, ma anche le criticità degli stessi porti».


Foto tratta dal rapporto di Libers “Diario di Bordo”)

È il 1976 quando, per la prima volta, in un documento finale della Commissione Parlamentare Antimafia si rintracciano i primi richiami alla centralità dei porti per l’operato di Cosa nostra.

«Nella relazione conclusiva della VI legislatura» – si legge ancora nel report – «la Commissione denuncia diverse situazioni critiche, come, ad esempio, la “gestione mafiosa del porto di Mazara del Vallo” da parte dell’associazione “Liberi armatori” e il contrabbando di sigarette in diverse zone delle coste sicule o l’utilizzo del porto di Trapani per trafficare illegalmente prodotti vinicoli. A distanza di più di quarant’anni, e non senza periodi di disattenzione, la Commissione ha riconosciuto di recente “l’elevata porosità dei sorgitori italiani, molto esposti alle attività illecite delle organizzazioni cri[1]minali e parallelamente a possibili minacce di natura terroristica arrivando a sostenere che “qualsiasi attività commerciale, area portuale, terminal portuale, rade di ancoraggio, specchi acquei ricadenti nel mare territoriale presentano degli aspetti sensibili, risultando potenzialmente esposti al rischio di infiltrazioni mafiose o di attacchi terroristici».

Grazie, poi, alla Commissione della XI legislatura, istituita dopo gli attentati di Capaci e Via D’Amelio, si è notato un progressivo riconoscimento degli interessi delle organizzazioni criminali in porti al di fuori della Sicilia. Un esempio è rappresentato dalla Puglia, dove l’analisi delle attività illegali dei gruppi locali ha riconosciuto i porti come punti di ingresso e luoghi di coordinamento per attività illecite, principalmente a causa della loro posizione geografica.

La relazione prosegue sostenendo che: “L’entità della cocaina sequestrata ammonta a 282 tonnellate, rinvenuta in 75 porti diversi, distribuiti come segue: 301 sequestri (171 tonnellate) in 35 porti dell’UE; 11 sequestri (2 tonnellate) in 6 porti in Paesi extra UE; 206 sequestri (108 tonnellate) in 32 porti dell’America Latina;1 sequestro (0,5 tonnellate) in un porto dell’Africa;1 sequestro (0,5 tonnellate) in un porto del Nord America. In sostanza, nel 2020, 108 tonnellate di cocaina, dirette in Europa, sono state sequestrate in porti di partenza situati in America Latina e circa 171 tonnellate (circa l’80% della cocaina intercettata in Europa, pari a 213 tonnellate) sono state sequestrate nei principali porti container dell’Unione Europea” .

«Gli scali sembrano essere uno snodo strategico e di fondamentale importanza per i gruppi criminali, che possono sfruttare l’infrastruttura e i collegamenti per svariati scopi. Un tema su cui, però, il dibattito politico sembra ancora troppo timido. In questo senso »– concludono Antonelli e Rispoli –  «il rafforzamento del coordinamento tra autorità giudiziaria, forze dell’ordine, autorità pubbliche presenti nel porto e imprese private che lì operano sembra essere una delle principali esigenze su cui intervenire, non solo in ottica repressiva, ma, soprattutto, preventiva. Una maggiore consapevolezza da parte degli attori che operano in ambito portuale – pubblici e privati – dei rischi criminali e corruttivi che caratterizzano la vita degli scali, sembra essere la precondizione per la promozione di contesti meno predisposti a scambi illeciti, nonché per la predisposizione di politiche di sviluppo coerenti con queste finalità».

In apertura foto tratta dal rapporto di Libera “Diario di Bordo.  Storie, dati e meccanismi delle proiezioni criminali nei porti italiani”

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