Analisi

Impatto sociale, il 2×1 del Terzo settore italiano

L'Impact Counter di Intesa Sanpaolo ha radiografato 500 milioni di finanziamenti concessi in due anni a 1.043 imprese sociali: ogni euro investito ne ha generati due di benefici sociali. Un'analisi documenta l'azione a favore di oltre 3 milioni di cittadini e un'economia da 32mila posti di lavoro, conservati o generati. Il responsabile della Direzione Impact, Andrea Lecce: «Non profit determinante per il bene della collettività così come per l’economia: può davvero fare la differenza»

di Giampaolo Cerri

Nelle nuove Geografie dell’Economia sociale, così si intitola la serie di incontri promossa da Intesa Sanpaolo, c’è impatto. Anzi c’è molto impatto: perché si tratta di due euro generati per ogni euro investito.

Stiamo parlando infatti dei risultati dalla prima ricerca sull’“Impact Counter” messo a punto dal gruppo bancario, precisamente dalla Direzione Impact guidata da Andrea Lecce, con il supporto di PwC e Prometeia. Lecce ne aveva parlato in anteprima proprio a VITA nel luglio scorso (cfr. l’articolo sotto, ndr).

Ché misurare non è banale, specialmente in campo sociale, ha detto proprio Lecce, richiamando le 98 metodologie censite dal mondo scientifico e dell’analisi. «Un fermento, certo, interesse ma anche un segnale di debolezza: la polverizzazione dei metodi significa difficoltà di comunicazione dei risultati, del bene che si crea». Viceversa nel mondo ambientale, «si misura tutto in Co2, dall’inquinamento dell’aria alle microplastiche».  Nel sociale, c’è una difficoltà oggettiva a misurare «il tasso di recidiva dei carcerati, l’inserimento lavorativo, il benessere delle persone ricoverate, l’assistenza in una rsa, il recupero di situazione disagiate», ha osservato il capo dell’Impact di Intesa Sanpaolo.

Misurare non stanca

Tuttavia il gruppo bancario guidato da Carlo Messina, che conferma la sua vocazione a banca sociale ereditata da molti dei suoi azionisti, ha deciso di percorrere la strada della misurazione: con un grande lavoro d’analisi che ha coinvolto appunto come partner PwC Italia e Prometeia, anche comparando almeno 120 esperienze bancarie internazionali ma, soprattutto prendendo in esame oltre mille, 1.043 per l’esattezza, iniziative finanziate tra gennaio 2022 e giugno 2023 e per le quali Intesa Sanpaolo ha erogato 500 milioni di euro.

Insomma, non pensieri in libertà, non accademia, ma una verifica in corpore vivi, quello di un amplissimo campione di organizzazioni non profit. E che cosa emerge? Cos’hanno trovato gli specialisti di PwC, tanto da entusiasmare consulenti esperti come Marco Pagani, che ieri presentava i dati?

Mettiamo in fila i numeri. Cominciamo col dire che, dal lavoro sociale delle mille non profit analizzate, traggono beneficio 3 milioni le persone, per servire le quali sono stati generati 5.412 nuovi posti di lavoro o mantenuti 28.364, per un totale di 33.776. Non secondario il fatto che i nuovi posti abbiano riguardato 635 appartenenti alle categorie dei vulnerabili e che due terzi, 3.641, fossero donne. Suddivisione che aveva già un suo valore fra i posti di lavoro in essere, che vedevano 18.233 donne e 1.399 vulnerabili.

Il ritorno sociale sull’investimento

Dopodiché, il ritorno sociale sull’investimento – calcolato con le metodologia internazionali – porta appunto al rapporto 1 a 2, ossia un euro finanziato al Terzo Settore genera il doppio del valore in benefici sociali.

Nello specifico: 124 milioni di euro di finanziamenti da parte della prima banca italiana alle organizzazioni esaminate «hanno generato 276 milioni di euro di benefici monetizzati che hanno contribuito per il 47% alla buona salute, il 13% all’istruzione di qualità e l’11% a fronteggiare la povertà», come aveva spiegato Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia.

Non solo, si è proceduto ad alcuni “carotaggi”, andando ad analizzare mamma@work e per Merito, due programmi supportati dal Fund for impact che Intesa Sanpaolo aveva creato «per promuovere l’inclusione creditizia ad alto impatto sociale, per favorire l’emancipazione lavorativa delle mamme e quella formativa degli studenti».

Il caso mamma@work

E anche qui le evidenze sono state interessanti. Per il primo, 318 madri lavoratrici hanno ottenuto prestiti fra luglio 2020 e giugno 2023 – circa 7 milioni di euro di erogazioni. «Il valore monetizzabile dell’impatto positivo generato da mamma@work», hanno detto, una via l’altra, le densissime slide di Pagani, «corrisponde a una stima di circa 11 milioni di euro». Come? Intanto 6,3 milioni di euro sono riconducibili «a impatti economici come l’aumento del reddito della mamma lavoratrice e il risparmio nei costi di assunzione per l’azienda»; altri 2,7 milioni di euro, «derivano dall’impatto fiscale generato con maggiori entrate per lo Stato grazie a tasse e contributi pensionistici e previdenziali e la riduzione dei costi relativi ai sussidi di disoccupazione» e circa 2 milioni di euro sono attribuibili «a impatti sociali per larga parte rappresentati dalla spesa delle madri per i servizi di assistenza all’infanzia, con conseguente creazione di valore aggiunto al settore e possibilità di creare 88 nuovi posti di lavoro ogni anno durante il periodo di erogazione del prestito». Non solo le mamme non sono rimaste a casa, quindi, non solo non hanno dovuto rivedere le proprie aspettive di carriera, ma hanno generato una piccola economia di lavoratori che, individualmente o negli asili nido, hanno accudito i loro figli.

… e quello di per Merito

Altra riprova quella sul fronte della riduzione della disuguaglianza educativa nel Paese e sostegno a coloro che vogliono proseguire gli studi post diploma, il programma di prestiti Per Merito, appunto, «finanziamento dal costo contenuto», osservano a Intesa Sanpaolo, «che non richiede garanzie agli studenti meritevoli e in linea con il piano di studi».

A giugno 2023: lo avevano attivato in 12 mila studenti, per 200 milioni di euro. Qui il valore dell’impatto positivo generato dall’iniziativa corrisponde a una stima di circa 171 milioni di euro, fra impatti sociale  per il miglioramento delle prospettive professionali e di vita (146,3 milioni), gli impatti fiscali e previdenziali generati dalla occupabilità dei finanziati (22 milioni). Si è anche potuto calcolare l’incremento di produttività derivanti dalla crescita della soddisfazione lavorativa, che non è archeosofia ma ormai il consolidato dai tanti studi di psicologia e sociologia del lavoro: nel caso in questione, ben 2,4 milioni di euro.

La cultura dell’impatto

Numeri importanti prima che belli. Apprezzati da chi la misurazione di impatto lo pratica già, come hanno testimoniato gli interventi di alcuni protagonisti del Terzo settore, come la cfo di Dynamo Camp, Anna Kroymann, e la presidente di Fondazione Èbbene, Elisa Furnari (rispettivamente da sinistra, nella foto sotto, col moderatore Flaviano Zandonai di Cgm e Lecce, ndr).

Prima dei numeri, viene però il valore culturale di questo passo, perché non può sfuggire a nessuno che se un colosso come Intesa Sanpaolo, capace di investire in sociale 200 milioni all’anno – «siamo la prima fondazione d’Italia», ebbe a dire neppure due mesi fa il ceo Messina a Brescia (cfr. sotto), in un intervento che qualche ospite di ieri commentava ancora – se un colosso come Intesa Sanpaolo, dicevamo, sceglie di percorrere con questo rigore la via della misurazione, tutto il Terzo settore batterà la stessa strada e non solo i settori più evoluti e avanzati.

Un bel risultato per Lecce e i suoi. «I risultati emersi», osserva al termine, «ci confermano il valore del non profit come settore determinante per il bene della collettività così come per l’economia, che può davvero fare la differenza. Come banca abbiamo la responsabilità di affiancarlo attraverso l’attività di consulenza qualificata e, valutazioni economico-finanziarie. Rinnoviamo il nostro impegno affinché un numero sempre più ampio di imprese sociali abbiano accesso al credito, correlandolo all’impatto generato e misurandolo con dati oggettivi».

La foto in apertura è di Stefano Carofei per Agenzia Sintesi e documenta un momento delle attività del Centro diurno “Max Ten” di Forlì.


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