Femminismo
Semia, il primo fondo italiano che supporta l’uguaglianza di genere
Solidale, inclusiva e coraggiosa. Così si può introdurre "Semia", fondazione con lo sguardo rivolto al mondo del femminile, fotografato dalla prima indagine conoscitiva sul movimento femminista italiano. Un’indagine conoscitiva su chi sono le realtà che operano nel nostro Paese per combattere le violenze di genere, difendere e rivendicare i diritti dell’ecosistema femminile e delle persone LGBTQI+
Un modello innovativo di filantropia, segno della trasformazione femminista dell’Italia. In una parola Semia, il primo fondo delle donne pronto a supportare i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere in Italia, lontano da qualsivoglia ideologia politica, interesse economico o credo religioso. Un ente filantropico che si fa conoscere attraverso il lancio di una pionieristica indagine conoscitiva sul movimento femminista contemporaneo. Un’inedita fotografia delle organizzazioni italiane in sostegno della parità di genere presentata oggi alla Casa internazionale delle Donne di Roma.
Era il momento che anche il movimento femminista italiano avesse il suo fondo. Dobbiamo, però, recuperare tanto sull’uguaglianza di genere rispetto agli altri Paesi
– Miriam Mastria, direttrice di “Semia”
Cofinanziata dal Mediterranean Women’s Fund, la ricerca ha raccolto ed elaborato tutta una serie di dati riguardanti organizzazioni, collettivi, gruppi, reti e movimenti raccolte attraverso un sondaggio, che oggi costituiscono l’ecosistema femminista in Italia fornendo una prima analisi del movimento femminista italiano del quale fa parte una pluralità delle realtà che operano nel paese in maniera organizzata al fine di ottenere un miglioramento delle condizioni sociali, politiche e giuridiche femminili e di genere.
Un lavoro che vuole offrire una prospettiva alle sulle sfide significative che l’Italia, membro influente dell’Unione Europea, deve ancora affrontare in termini di uguaglianza di genere e diritti delle minoranze.
«L’indice di uguaglianza di genere del 2023, calcolato dall’European Institute for Gender Equality – Egei», – si legge nel rapporto – «colloca l’Italia al 14mo posto tra le nazioni europee ed evidenzia un distacco di 3,6 punti al di sotto della media dell’Unione. A confermare questo quadro è anche l’indice globale calcolato dal World Economic Forum, che misura il gap nell’eguaglianza di genere su 146 paesi. Nel 2023, quindi, l’Italia si colloca al 79mo posto, perdendo 16 posizioni rispetto all’anno precedente. Gli indicatori più carenti riguardano il gap salariale (107mo posto), la partecipazione economica delle donne (104mo) e l’istruzione secondaria delle ragazze (95mo posto). Preoccupato anche il Comitato Europeo dei Diritti Sociali – Ecsr rispetto alla mancata garanzia del diritto alla parità retributiva e alle opportunità lavorative tra i generi in Italia. Alla fine del 2022, solo il 50,7% delle donne italiane risultava occupato. Tra dicembre 2021 e 2022, infatti, su un totale di 334mila nuovi posti di lavoro, ben 296mila sono stati occupati da uomini (oltre l’88%), lasciando solamente 38mila posizioni disponibili alle donne. Oltre a questa persistente carenza di partecipazione femminile nel mondo del lavoro, la rappresentanza equa delle donne nelle posizioni di leadership rimane una questione spinosa in Italia. Nel 2022, occupavano soltanto il 27,9% delle posizioni dirigenziali nel Paese».
“Semia” crede nella forza delle differenze che uniscono e non dividono l’ecosistema femminile
Una ricerca per nulla accademica, quella elaborata e presentata da “Semia”, fondazione che si riconosce nei valori del femminismo intersezionale, corrente femminista che affronta e dipana le questioni della disparità tra i generi in modo articolato, che fotografa il Paese attraverso le realtà che operano sul territorio “assumendo il lessico e le metodologie dell’analisi femminista per creare le premesse necessarie a un approccio strategico e metodologico del primo fondo delle donne italiano”.
«Semia è il segno della trasformazione femminista dell’Italia» – recita il suo Manifesto -, «è il buon auspicio che il cambiamento è già in atto: non parliamo di quella sensazione di ottimismo di chi rimane in attesa, ma della volontà tenace di chi crede che un futuro migliore ci attende, finché continuiamo a lottare, studiare, unire. Crediamo nella forza delle differenze che uniscono, crediamo nell’importanza dell’autodeterminazione del corpo, delle finanze e dei destini delle donne e delle libere soggettività come chiave per affrontare la violenza e la discriminazione sistemica in Italia. Ci proponiamo di rafforzare e sostenere l’ecosistema femminista italiano, coscienti delle difficoltà delle organizzazioni che lo compongono e delle cause strutturali che le determinano»
«Per tutto questo è nato il primo fondo femminista italiano». – spiega Miriam Mastria, direttrice di “Semia” –. «Parliamo di fondazioni speciali che sollecitano, raccolgono ed erogano fondi per supportare in maniera capillare il movimento per i diritti delle donne e di genere. Attualmente, ci sono oltre 40 fondi femministi in tutto il mondo che operano in network e in partnership con la filantropia privata e le istituzioni pubbliche, ottenendo importanti risultati nel progresso verso la parità di genere. Finalmente anche il movimento femminista italiano ha il suo fondo. “Semia” si considera parte integrante e si pone come un’alleata del movimento anche in virtù del fatto che è una fondazione giovane, fatta di professioniste del Terzo settore. Siamo a supporto materiale delle organizzazioni che si occupano dei diritti delle ragazze, delle donne, delle persone trans e non binarie, per l’autodeterminazione di tutte. Perché, attraverso la libera espressione di ciascuna, si possa realizzare il progresso corale dell’intera società».
Il percorso che ha portato al lancio del Fondo e dell’indagine nasce dall’iniziativa di un gruppo di donne, attiviste, professioniste di terzo settore e filantrope che condividono la visione di un futuro pacifico in cui ogni persona possa godere di pieni diritti
Fondamentale, infatti, per “Semia” la sinergia e collaborazione tra più organizzazioni, collettivi, reti e associazioni, che sostiene e accompagna finanziando tre macro aree tematiche che rappresentano le istanze indicate dal movimento femminista in Italia come le più urgenti nella lotta alle disuguaglianze di genere: autodeterminazione e difesa del diritto di scelta; lavoro, indipendenza e giustizia economica; educazione alla consapevolezza e supporto all’attivismo.
Linee certe, imprescindibili che fanno di questo fondo una realtà solidale, inclusiva e coraggiosa. Qualità ritrovate anche nella fotografia scattata al Paese dal lavoro di ricerca che, attraverso una desk research ha aggregato, rielaborato e valutato liste parziali e altre informazioni pubblicamente disponibili sul web, assistendo alla nascita di un primo database di oltre mille realtà formali e informali che si occupano di diritti delle donne e di genere in Italia con uno spettro di azione che va dalla sensibilizzazione e divulgazione all’advocacy, dal sostegno e accompagnamento allo sviluppo di comunità e alla ricerca.
La Valle d’Aosta conquista il podio per il rapporto tra organizzazioni femministe e abitanti
Esattamente 1047 le associazioni, i movimenti, le aggregazioni che si occupano di questioni di genere sul territorio nazionale, localizzate in prevalenza al Nord (441) e a Centro (305). A livello regionale, la maggiore concentrazione di organizzazioni è stata rilevata nel Lazio (19,39%), seguita dalla Lombardia (11,27%) e dall’Emilia Romagna (8,98%)). Le regioni che presentano le percentuali più basse di iniziative femministe sono, invece, la Basilicata (0,76%), la Valle d’Aosta (0,48%) e il Molise (0,29%).
La regione con il miglior rapporto appare la Valle d’Aosta con un’organizzazione femminista ogni 24,591 residenti. Il Lazio e la Campania presentano un numero di residenti simile, ma ospitano un numero di organizzazioni e collettivi femministi molto diverso, che fa sì che la Campania dall’ottava posizione del ranking delle percentuali di organizzazioni per regione scenda alla 18ma posizione.
Parlando di mission, il rapporto ci dice che, oltre il 50% delle organizzazioni intervistate, si occupa di violenza di genere, mentre quasi l’80% la ritiene prioritaria tra le sue attività: forse perché i fondi, benché pochi e non strutturali, arrivano più facilmente laddove il richiamo alla violenza, collegato spesso alla drammatica spettacolarizzazione nella narrazione dei femminicidi, attira più attenzione (e mobilita più risorse) rispetto ad altre pur complesse e urgenti questioni sociali che affliggono le donne italiane. Così, purtroppo, mentre le organizzazioni sono giustamente impegnate ad occuparsi di contrasto alla violenza, non si lavora per individuare le cause stesse di una violenza sistemica sulle donne e le minoranze di genere, come anche quelle attinenti alle barriere che impediscono l’accesso e favoriscono la discriminazione sui luoghi di lavoro, alla carenza di educazione economico-finanziaria, all’impari distribuzione dei lavori di cura. Pure l’educazione alla leadership resta un terreno su cui non si riesce a incidere in un Paese dove, secondo l’Indice di Uguaglianza di Genere – Gei del 2023, calcolato dall’Egei, l’area più critica rimane quella della disoccupazione e della “mala occupazione” femminile, relegando l’Italia in ultima posizione tra tutti gli Stati membri.
La presenza delle associazioni LGBTQI+ sancisce l’aspetto intersezionale dei movimenti femministi
Ampio il segmento del movimento (15%) presente nella rilevazione che ha come missione primaria la promozione dei diritti LGBTQI+, mentre il 53,80% dei rispondenti al sondaggio include il supporto alla popolazione LGBTQI+ tra le sue attività. Dato che misura l’effettiva “intersezionalità” del movimento sui temi delle minoranze di genere.
«La grande maggioranza delle organizzazioni del movimento»– sottolinea Paola De Leo, chair di “Semia” – «è di piccola dimensione e sopravvive di autofinanziamento, solo il 38% ha ricevuto fondi pubblici e meno del 15% ha stabilito relazioni con fondazioni italiane. Molte realtà lamentano l’impossibilità di investire in sviluppo interno e costi di struttura per dotarsi di capacità adeguate ad aumentarne la resilienza e la sostenibilità della loro azione. Ma la crescita e il rafforzamento del movimento è fortemente limitata dai meccanismi della filantropia stessa».
Da una parte, quindi, i bandi pubblici, focalizzati sul finanziamento delle attività e sulla minimizzazione dei costi di struttura, che impongono meccanismi di selezione e oneri di rendicontazione spesso insostenibili per piccole organizzazioni. Dall’altra, la lontananza fisica e a volte tematica della filantropia istituzionale privata dalle piccole organizzazioni dal territorio, determina fenomeni di scarsa “fiducia sociale” nella congruità e trasparenza del loro operato e, dunque, un continuo privilegiare le poche organizzazioni più solide e strutturate.
«Il fondo femminista si inserisce, dunque, proprio qui, come una cerniera, tra queste realtà, lavorando in partnership con la filantropia istituzionale con un approccio professionale e trasparente, e intercettando, al contempo, le organizzazioni del territorio, anche piccole e poco strutturate, con un elevato potenziale di sviluppo. A queste, offre finanziamenti flessibili che consentono anche di investire sul proprio rafforzamento strutturale, insieme ad accompagnamento e capacity building».
Fondamentale, per capire bene, anche un altro segmento, quello culturale, che evidenzia un focus generico sull’uguaglianza di genere (9,26%), quindi attività di promozione della cultura delle e per le donne (8,95%), categoria che include numerose organizzazioni e collettivi che fanno uso di eventi culturali e sociali come opportunità per condurre attività di sensibilizzazione e occasioni per la raccolta fondi e l’acquisizione di nuovi associati. Ci sono, infine, organizzazioni femministe che si occupano di tematiche specifiche come la salute sessuale e riproduttiva (2,48%), la migrazione (2,29%), il contrasto al razzismo (2,1%), la promozione dei diritti delle persone sieropositive.
L’uguaglianza di genere e il contrasto alla violenza di genere possono essere tematiche influenzate e influenzabili dall’attuale assetto politico
Per alcuni temi intersezionali invece, emergono differenze tra le macro aree. Ad esempio, il supporto alla popolazione migrante con prospettiva femminista o di genere sembra avere poca rappresentanza nelle organizzazioni delle regioni meridionali dove si è potuta rilevare solo 1’organizzazione contro le 23 mappate al Nord e Centro. Ci sono, poi, alcune tematiche emergenti nel panorama del movimento femminista, quali il cambiamento climatico e la salute mentale che sono quasi esclusivamente rappresentate da realtà del Nord e del Centro. È importante, anche, sottolineare che al Sud non sembrano emergere organizzazioni che si occupano, in prospettiva di genere, di tematiche quali i diritti delle donne disabili, la sensibilizzazione sull’HIV, il diritto all’abitare, i diritti delle persone detenute, il lavoro sessuale e lo sport.
Il supporto alle donne LGBTQI+, dichiarato come missione principale dal 14,13% delle organizzazioni del campione, viene incluso tra le tematiche trattate dal 53% delle organizzazioni.
Allo stesso modo, solo il 4,35% delle organizzazioni dichiara come missione primaria il lavoro con donne migranti e le tematiche di antirazzismo, ma il 43% delle organizzazioni lo include tra i propri temi.
Il rapporto ha ritenuto importante anche cercare di capire se le ultime elezioni politiche, quelle del 2022, hanno potuto avere ripercussioni in Italia e se il successo raccolto dalla coalizione di centrodestra potrebbe presentare alcune sfide per il movimento femminista e per le questioni relative all’uguaglianza di genere.
«La maggioranza delle organizzazioni femministe (58,47%)»– si legge ancora nel rapporto di “Semia” – «ritiene che le attuali dinamiche politiche possano influenzare il loro lavoro e la realizzazione delle loro missioni in tutte le maggiori tematiche di intervento come l’uguaglianza di genere, il contrasto alla violenza di genere e la tutela dei diritti delle persone LGBTQI+. Alcune missioni, come la salute mentale, lavoro domestico e di cura, tratta e lavoro sessuale, invece, sembrano essere meno influenzate dal contesto politico».
Forse perché istanze portate avanti da realtà che, come Semia, abbracciano i femminismi nella loro complessità, consapevoli dell’importanza di un obiettivo comune che è quello che deve portare a combattere tutte le più diverse forme di discriminazione, esclusione, oppressione e privilegio derivanti da differenze di classe, background culturale, religione, orientamento sessuale e relazionale e identità di genere. Battaglie sul cui campo ci si trova ancora a dover scendere quotidianamente per rivendicare e difendere diritti che dovrebbero essere acquisiti da tempo.
Le immagini sono gentilmente concesse dall’ufficio stampa di Semia
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