Sostenibilità

Calcola quanto pesi (sul pianeta terra)

l’impronta ecologica identifica la quantità di terra necessaria a ciascuno di noi per rimpiazzare le risorse che consuma. un concetto semplice e impressionante, che fa capire come questo pianeta non c

di Redazione

Siamo in una situazione paradossale: cresce la conoscenza scientifica e la consapevolezza che il nostro impatto sui sistemi naturali è ormai vicino a livelli di probabile irreversibilità, e la risposta politica continua a essere inadeguata e insufficiente (vedi anche i deludenti risultati dell?ultimo G8 di Evian). Cresce inoltre una diffusa sensibilizzazione di base sui problemi ambientali e sulle loro connessioni sociali ed economiche, ma non sembra contemporaneamente crescere un impegno diretto dei singoli individui nel modificare il proprio impatto sulle risorse della Terra. Si parla ormai da più di un decennio di realizzare lo sviluppo sostenibile ma si fa una grande fatica a concretizzare progressi concreti in questa strada. Per tenere sotto controllo il progresso verso lo sviluppo sostenibile, è necessario essere in grado non solo di definire, ma anche di misurare i vari aspetti della sostenibilità: i limiti che ci impone la natura, il nostro impatto su di essa e la nostra ?qualità? della vita. La storia di un metodo Inizia negli anni 80 e ribalta tutti gli schemi Gli indicatori (ambientali, sociali, economici, di sostenibilità, settoriali, aggregati ecc.) consentono oggi di fornire informazioni tempestive, accessibili e affidabili, molto utili per farci prendere decisioni. Tra questi indicatori, il metodo dell?impronta ecologica ha sicuramente degli aspetti educativi e informativi molto diretti. Il metodo dell?impronta ecologica stato elaborato a cavallo tra gli anni 80 e i 90, da parte dell?ecologo William Rees dell?Università della British Columbia in Canada e dai suoi collaboratori, primo fra tutti Mathis Wackernagel, che oggi è divenuto il maggiore esperto e divulgatore internazionale di questo metodo. Il metodo è stato sottoposto a continui affinamenti nell?arco dell?ultimo decennio e, tuttora, è oggetto di ulteriori analisi e ricerche per migliorarne la sua efficacia. L?analisi dell?impronta ecologica mira al superamento di alcuni problemi relativi alla valutazione della capacità di carico (la ?carrying capacity? molto cara agli ecologi) della specie umana, capovolgendo completamente la domanda tradizionale : invece di chiedersi «quante persone può sopportare la Terra?», il metodo dell?impronta si chiede «quanta terra ciascuna persona richiede per essere supportata?». In altre parole, l?impronta non si concentra sul numero di teste, ma sulle dimensioni dei piedi. Diventa cruciale pertanto prendere in considerazione non solo il numero delle persone ma anche le tipologie di produzione e i modelli di consumo. Quanto consumiamo? Dal rapporto tra risorse e bisogni la chiave per la sostenibilità L?impronta ecologica è quindi l?area totale di ecosistemi terrestri e acquatici richiesta per produrre le risorse che una determinata popolazione umana (un individuo, una famiglia, una comunità, una regione, una nazione ecc.) consuma, e per assimilare i rifiuti che la stessa popolazione produce. I calcoli dell?impronta ecologica si basano sulla possibilità di stimare, con ragionevole accuratezza, le risorse che consumiamo e i rifiuti che produciamo, e sulla possibilità che questi flussi di risorse e di rifiuti possano essere convertiti in una equivalente area biologicamente produttiva, necessaria a garantire queste funzioni. Utilizzando l?equivalenza di area, l?impronta ecologica mira a esprimere la quantità di ?interessi? maturati dalla natura di cui ci stiamo appropriando. Infatti se lo spazio bioproduttivo richiesto è maggiore di quello disponibile, possiamo ragionevolmente affermare che il tasso dei consumi non è più sostenibile. Come sappiamo, la popolazione umana continua a crescere: se 10mila anni fa, quando l?umanità, in alcune aree del pianeta, iniziò ad avviare processi di coltivazione agricola, la popolazione umana a livello mondiale doveva essere compresa tra i 2 e i 20 milioni, già nell?anno 1 del calendario cristiano, la popolazione umana mondiale doveva essere compresa tra i 170 e i 330 milioni di abitanti. Diciassette secoli dopo, nel 1650 circa, la popolazione umana mondiale era senza dubbio cresciuta, toccando quota 500-600 milioni; ma soltanto un secolo e mezzo dopo, ecco il grande balzo: nel 1804 la popolazione mondiale raggiunse il primo miliardo di abitanti. Di lì è stata un?escalation: nel 1900 eravamo un miliardo e 600 milioni (abbiamo iniziato il secolo scorso con un miliardo e 600 milioni di abitanti); nel 2000 abbiamo oltrepassato i 6 miliardi e nel 2050, come previsione ?media? delle Nazioni Unite, potremmo arrivare a essere 9,3 miliardi di abitanti. L?esplosione demografica Dal primo miliardo nel 1804 ai 9 del 2050. E la Terra che dice? Le Nazioni Unite ci ricordano le varie tappe del raggiungimento dell?attuale popolazione, miliardo per miliardo, e ci indicano, sulla base delle ultime revisioni delle proiezioni della popolazione mondiale (che ormai vengono riviste accuratamente ogni due anni), il raggiungimento degli ulteriori miliardi previsti entro il 2050. Si tratta di un?analisi interessante che certifica il fatto che l?aumento esponenziale della popolazione della Terra si è concentrato negli ultimi 200 anni. La popolazione mondiale ha raggiunto infatti il primo miliardo nel 1804, il secondo miliardo nel 1927 (dopo 123 anni), il terzo miliardo nel 1960 (dopo 33 anni), il quarto miliardo nel 1974 (dopo 14 anni), il quinto miliardo nel 1987 (dopo 13 anni), il sesto miliardo nel 1999 (dopo 12 anni). Se le proiezioni Onu dovessero rivelarsi esatte, la popolazione mondiale potrebbe raggiungere il settimo miliardo nel 2012 (dopo 13 anni), l?ottavo miliardo nel 2026 (dopo 14 anni), il nono miliardo nel 2043 (dopo 17 anni). Negli ultimi decenni, inoltre, abbiamo assistito non solo a un aumento della popolazione ma anche a fenomeni importanti di inurbamento. Nel 1950 viveva in situazioni urbane il 30% della popolazione umana; nel 2000 la percentuale è salita al 47% e si ritiene che tale percentuale eguaglierà quella della popolazione rurale nel vicino 2007. L?enorme espansione nella produzione globale di beni e servizi è stata spinta dagli straordinari mutamenti tecnologici, sociali ed economici che hanno permesso al mondo di mantenere una popolazione molto grande e con un livello di vita elevatissimo (anche se purtroppo per una parte ristretta dell?intera popolazione) come non era mai precedentemente accaduto nella storia umana. Un mondo da coltivare La suddivisione del territorio riflette le nostre scelte consumistiche L?area complessiva del nostro pianeta è di circa 51 miliardi di ettari, dei quali una quota inferiore a 15 miliardi di ettari è costituita dalle terre emerse. Volendo semplificare le complesse classificazioni derivanti dai numerosissimi dati sulle diverse tipologie di uso della Terra possiamo affermare che circa 1,5 miliardi di ettari (pari al 10% circa dell?area delle terre emerse totale) sono aree coltivate (delle quali quasi la metà è seminata a cereali); circa 3,4 miliardi di ettari (pari al 23%) sono aree classificate come pascoli permanenti e praterie, moltissime delle quali utilizzate per l?allevamento di bestiame; circa 5,1 miliardi di ettari (pari al 33%) sono costituite da foreste e aree boschive, con un?ampia superficie dei quali, circa 1,7 miliardi di ettari, costituiti da aree boschive in cui la copertura arborea non supera neanche il 10% della superficie a disposizione; altri 5 miliardi circa di ettari (32%), infine, sono costituiti da suoli ghiacciati e rocciosi, deserti, tundre, laghi e fiumi. Entro questa cifra sono inclusi anche i circa 0,3 miliardi di ettari di terreni edificati dalla specie umana. Natura molto contaminata Più di un terzo delle terre emerse risente dell?intervento umano Se sommiamo i terreni coltivati, i pascoli, le aree già edificate, nonché parti delle altre tipologie di territorio che sono state progressivamente trasformate dall?intervento umano, abbiamo un quadro di aree modificate direttamente dall?uomo (ma sappiamo bene che, indirettamente, i rifiuti e gli scarti delle nostre produzioni industriali sono ormai diffusi in tutti gli ambienti del mondo) che supera il 35% della superficie delle terre emerse. Considerato che la quantità di terra disponibile per l?umanità è una grandezza finita e di conseguenza la produttività è limitata, i problemi di equa distribuzione delle risorse non possono essere ignorati. Le diverse nazioni infatti si appropriano in modo diseguale della capacità bioproduttiva: i Paesi più ricchi hanno un consumo di risorse e una produzione di rifiuti pro capite molto più elevata di quella dei Paesi poveri. Essendo il capitale naturale il nostro bene comune, è indispensabile prevedere livelli di redistribuzione secondo il principio di equità. Esiste quindi una quota, definita come la quantità media su scala planetaria, di terra e mare ecologicamente produttivi che è disponibile a livello pro capite. La disponibilità attuale di quota di terra media (comprensiva di terra e di mare) con la popolazione attuale dimostra una quota di terra che ammonta a circa 1,9 ettari pro capite (oggi ne ?occupiamo? 2,28 ettari pro capite). Naturalmente questa quota riflette una visione profondamente antropocentrica, perché una certa parte di questa quota deve essere riservata ai 15milioni (o 16, o un numero vicino a questa cifra, visto che sul numero delle specie viventi sulla Terra purtroppo vi sono solo stime e pochissime certezze) di altre specie viventi che dividono con noi questo pianeta. La stima di quanta parte di terra debba essere preservata per la tutela della biodiversità planetaria e per non compromettere i meccanismi fondamentali dell?evoluzione è un tema controverso. Molti stime ritengono che almeno il 12% della superficie delle terre emerse debba essere preservato, ripartito in tutte le tipologie degli ecosistemi esistenti sul pianeta. Con la pubblicazione della traduzione italiana del primo volume sull?impronta ecologica nel 1996, realizzata a tempo di record nello stesso anno in cui è stato pubblicato il volume originale, Mathis Wackernagel ha realizzato il primo calcolo dell?impronta ecologica degli italiani che forniva il dato di 3,11 ettari pro capite, ritenuta più di cinque volte superiore a quella calcolata disponibile per il territorio italiano. 1997, l?anno della svolta Sei anni fa presentato a Rio de Janeiro il rapporto con le prime 52 impronte Nel 1997, in occasione del vertice a Rio de Janeiro dedicato a riflettere su cosa fosse avvenuto cinque anni dopo il grande Summit della Terra promosso dall?Onu, tenutosi proprio a Rio nel giugno 1992, Wackernagel ha predisposto con altri sei collaboratori un ampio lavoro dedicato al calcolo delle impronte ecologiche di 52 Paesi del mondo che ospitano globalmente l?80% della popolazione mondiale e il 95% del prodotto interno mondiale. I dati sulle impronte ecologiche delle diverse nazioni sono continuamente rivisti e aggiornati dal gruppo di lavoro di Wackernagel. I calcoli delle impronte delle 52 nazioni presentati nel lavoro già citato del 1997 (e che si rifacevano a dati del 1993), sono stati rivisti con i dati aggiornati al 1995 (e con numerosi ritocchi dovuti al fatto che i calcoli considerano anche l?ecosistema marino, precedentemente non tenuto in conto, che la documentazione sui consumi è più completa rispetto a quella dei lavori precedenti e che sono stati rivisti, grazie a recenti pubblicazioni scientifiche, i dati sulla produttività media dei pascoli e delle foreste, che è risultata più bassa di quanto supposto in precedenza) e nuovamente pubblicati nel 1999. Conclusioni allarmanti Servirebbero 1,2 pianeti Terra per dare un po? di spazio a tutti Inoltre Wackernagel e il suo gruppo hanno ulteriormente aggiornato i dati sulle impronte dei vari Paesi, ampliandoli a tutte le nazioni del mondo e pubblicandoli, per la prima volta, nel rapporto Living Planet Report 2000 del WWF che è stato riaggiornato nel Living Planet Report 2002 sempre del WWF. In questo lavoro, per la prima volta, è stata realizzata un?analisi del trend dell?impronta ecologica della popolazione a livello mondiale dal 1961 al 1999, dimostrando che essa è aumentata di circa l?80%. In pratica, è come se utilizzassimo la produttività biologica totale calcolata nell?impronta ecologica di più di 1,2 pianeti Terra. Possiamo andare avanti così? gianfranco bologna


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA