Idee Migranti & propaganda

Cosa sta erodendo la ricchezza degli italiani? La risposta è diversa da quello che ci vogliono far credere

A minare il potere d'acquisto non sono certo i migranti di cui l'economia e la previdenza, come noto, hanno un gran bisogno. I veri responsabili sono l'inflazione e la bassa produttività. Eppure la retorica di parte della politica continua a presentare i migranti come una minaccia all'identità nazionale

di Simone Cerlini

Il 27 settembre 2023 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Dpcmcche definisce criteri per la determinazione dei flussi migratori, fissa le quote per il triennio 2023-2025 e dà disposizioni sulle procedure. Il Dpcm ammette l’ingresso di 452mila cittadini stranieri, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, nonché per imprenditori che vogliano stabilire nel nostro Paese attività ad alto valore aggiunto.

L’atto è un gesto di virtuosistica acrobazia, perché si muove nel mezzo di due istanze radicalmente contraddittorie: la realtà, per cui gli stranieri in Italia sono pochi, confermata da un sistema economico che richiede manodopera e non la trova, ma anche da un sistema previdenziale che non può reggersi in piedi per il crollo numerico della forza lavoro che sostiene le pensioni; e la percezione, per cui gli stranieri sono troppi, sono in troppi casi clandestini, hanno una vocazione alla criminalità. Ora non val la pena ribadire perché e quanto la percezione sia erronea, l’Osservatorio Nazionale sulle Politiche Sociali lo aveva già ampiamente  a giugno 2023.

Il fenomeno migratorio è tornato al centro del dibattito politico e mobilita forti reazioni con una polarizzazione dell’opinione contraria all’apertura dei confini (sondaggio Demos, citato da Ilvo Diamanti il 28 settembre 2023). Ora, se certamente astuti e cinici calcoli per acquisire consenso elettorale non contribuiscono certo ad una osservazione oggettiva della realtà, conviene anche considerare un fattore che apparentemente non c’entra nulla, ma che potrebbe aggravare gli equivoci sul fenomeno: l’inflazione.

La rendita di cittadinanza una somma di denaro, ma piuttosto a un vantaggio invisibile derivante dalla circostanza del luogo di nascita

Branko Milanovic

Ci aiuta per capirne le implicazioni il concetto di rendita di cittadinanza, come teorizzato da Branko Milanovic. Non si tratta di una somma di denaro, ma piuttosto a un vantaggio invisibile derivante dalla circostanza del luogo di nascita. Nascere in un Paese come quelli europei può significare avere accesso a opportunità, risorse e benefici assenti in altre parti del mondo. Attraverso servizi pubblici ed efficienza competitiva del sistema Paese, già si gode di una rendita di cittadinanza. Per il solo fatto di essere nati in Italia abbiamo prospettive di vita migliori, nostre e dei nostri figli. Non lo abbiamo meritato, è assolutamente casuale, eppure questa rendita è ciò che rende attraenti le nazioni europee agli occhi degli stranieri. Ora, cosa accade se vediamo minacciato il valore di questa rendita? Cerchiamo di tutelarlo. 

Tutti quanti noi abbiamo piena consapevolezza della crisi del sistema previdenziale, della scarsa affidabilità del sistema di istruzione, della difficoltà a trovare lavori di valore e ben remunerati (l’assenza di lavoro di qualità è una delle principali cause della riduzione tendenziale dei salari reali), ma la realtà ci sbatte in faccia il rischio di perdere il nostro stile di vita in modo immediato e brutale con l’inflazione. I lavoratori con contratto subordinato, in particolare in alcuni settori dove la produttività si è fermata agli anni Novanta, come i servizi, si stanno impoverendo. Nella vigilanza, dove il contratto nazionale è stato rinnovato di recente, i lavoratori guadagnano 5,7 euro all’ora. Attenzione, perché la stagnazione della produttività spesso è associata allo spreco di risorse per adempimenti burocratici e alla proliferazione di mansioni obbligatorie ma che non portano alcun valore aggiunto. E l’inflazione colpisce duro soprattutto coloro che hanno salari bassi, perché le spese essenziali sono incomprimibili. Questi fattori, pur essendo interni, sono spesso associati, erroneamente, all’arrivo di immigrati, alimentando sentimenti xenofobi. La reazione è comprensibile: non possiamo dividere ulteriormente risorse che stanno scarseggiando. Non vogliamo che nessuno si sieda alla nostra tavola quando vediamo ridursi il pasto giorno dopo giorno.


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Paradossalmente, gli immigrati, invece di erodere questa rendita, contribuiscono ad aumentarla. Vengono per trovare lavoro, e così arricchiscono la nazione sia con le loro competenze e manodopera che attraverso il prelievo fiscale. Invece di sottrarre ricchezza, la aggiungono. Non hanno capitali né atteggiamenti predatori, tipici invece della finanza aggressiva. Non avendo nulla, non possono che lavorare. Vengono per aggiungere, per contribuire, non per rapinare. Il timore dello straniero è amplificato da retoriche politiche divisive che presentano gli immigrati come una minaccia all’identità nazionale e ai beni comuni. Gli stranieri diventano, in questo contesto, capri espiatori di problemi strutturali più ampi e complessi e anzi ribaltano la realtà trasformando in problema una forza che potrebbe essere la soluzione.

Cosa fare? Dovremmo guardare in faccia la realtà e cercare di risolvere davvero i problemi: operare per aumentare la produttività, in particolare nei servizi, semplificando adempimenti burocratici cervellotici e cercando soluzioni nuove valorizzando la responsabilità piuttosto che potenziando i controlli. Contro l’ondata di xenofobia dovremmo operare per aumentare il valore percepito della rendita di cittadinanza, del lavoro, dei servizi pubblici, dalla sanità all’istruzione ai servizi per le persone non autosufficienti. Sarà solo quando capiremo che gli stranieri che entrano nel nostro Paese sono alleati e non nemici (i nemici veri, coloro che erodono il patrimonio del nostro Paese, non arrivano sulle carrette del mare), sarà solo allora che avremo compiuto il passo decisivo per una nuova rinascita.

Foto di Markus Spiske/Pexels

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