Volontariato

Iqbal, grande eroe per i piccoli schiavi

Nel mondo i baby lavoratori sono 250 milioni. Il 16 aprile il mondo dice basta a questa piaga. Nel ricordo del dodicenne che proclamò: «Nessun bambino dovrebbe mai impugnare uno strumento di lavoro di

di Giacomo Ratti

Un tappeto, cos?è un tappeto? Centinaia di fili colorati, migliaia di nodi intrecciati. Qualcosa di bello che si può calpestare. Proprio come le vite dei piccoli operai pakistani che quei fili prendono fra le dita ogni giorno. Proprio come la vita di Iqbal Masih, che di quei bambini schiavi è l?eroe, il paladino, il martire. Al punto che il 16 aprile, a tre anni dal suo assassinio, tutto il mondo lo celebrerà, dedicandogli una giornata contro la piaga del lavoro minorile.
Fino ai dieci anni la storia di Iqbal era stata quella di milioni di piccoli connazionali. Era nato nel 1983 nella città di Muridke, primo figlio di due contadini cristiani, poverissimi e appena ventunenni. Iqbal cresceva, ma sua madre Bezak e suo padre Fredrem non avevano i mezzi per allevarlo. Per questo, a quattro anni, lo cedettero a un mercante in cambio di un prestito di un centinaio di rupie, poche migliaia di lire. Iqbal avrebbe risarcito il debito lavorando in una fornace di mattoni d?argilla, per una rupia al giorno, meno di cinquanta lire. Ma gli interessi sul prestito crescevano vorticosamente e poi, chissà, forse i genitori di Iqbal avevano fatto nuovi debiti. Fatto sta che Iqbal divenne a tutti gli effetti un bambino schiavo: a sei anni fu legato con una catena a un grande telaio di legno e cominciò a intrecciare nodi. I piccoli operai sono ricercatissimi dall?industria dei tappeti pakistana: nulla di meglio delle loro manine per intrecciare nodi piccoli e ben stretti. Se i baby cucitori di palloni lavorano in casa con i familiari, i mini tessitori sono invece veri e propri schiavi. Dopo quattro anni al telaio, il prezzo della libertà di Iqbal era salito a 700 mila lire circa, cioè 13 mila giornate di lavoro: teoricamente avrebbe dovuto lavorare 35 anni per affrancarsi.
Nel 1993, però, accade qualcosa di imprevisto. Un giorno Iqbal esce dalla fabbrica: gli hanno detto che in città c?è una specie di festa, qualcosa dedicato proprio ai piccoli lavoratori. Si tratta in realtà di una manifestazione del Fronte di liberazione dal lavoro forzato (Bllf), organizzazione fondata da un giornalista, Eshan Ullah Khan, che dal 1967 si batte per i piccoli lavoratori pakistani. Iqbal, sveglio e intelligente, non si limita a guardare. Esce allo scoperto e racconta a tutti le atroci condizioni di lavoro cui è obbligato: dieci-dodici ore al giorno a respirare coloranti e polvere di lana, a rovinarsi i polmoni, la schiena e i polsi. Il giorno dopo Iqbal finisce sulle pagine del quotidiano locale. Per lui le cose in fabbrica rischiano di mettersi molto male, ma a proteggerlo interviene lo stesso Ullah Khan, che d?ora in avanti farà da secondo padre a quel bambino che troverà «piccolo, silenzioso, segnato dalla fatica e dalla sofferenza, ma con uno sguardo che faceva trasparire una volontà di ferro e un coraggio enorme».
La ?carriera? di Iqbal si sviluppa ora freneticamente: interviste televisive, tournée per organizzare la protesta nei villaggi pakistani, convegni. Adesso il filo è lui che lo dà da torcere al suo padrone: «Non ho più paura di lui», spiega, «è lui che ha paura di me, di noi, della nostra ribellione». Alla fine Iqbal prende persino l?aereo, e nel novembre 1994 vola a Stoccolma, racconta la sua esperienza a una conferenza mondiale sull?infanzia, diventa il simbolo di milioni di piccoli schiavi. «Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro», proclama, «gli unici strumenti di lavoro da tenere in mano sono penne e matite».
Subito dopo, Iqbal vola addirittura oltreoceano, a Boston, dove la Reebok gli assegna un premio di quindicimila dollari: quanto guadagnerebbe in 1500 anni di lavoro al telaio. Con quei soldi vuole costruirsi un futuro. «Voglio studiare, voglio diventare un avvocato, per difendere tutti i bambini».
Iqbal insomma diventa pericoloso. Il governo pakistano, a seguito delle pressioni internazionali, ha aumentato i controlli nelle fabbriche, chiudendone alcune fra quelle che più sfruttano il lavoro dei piccoli schiavi. Ma come può un ragazzino di 12 anni sentirsi un pericolo per la potente mafia dei tappeti? Come può pensare che la sua vita pende da un filo? Iqbal non bada a chi gli dice di stare attento, e quel 16 aprile 1995, Domenica di Pasqua, va tranquillamente a farsi un giro in bicicletta con due cugini. Si sente libero, Iqbal, libero e felice quando due raffiche sparate da un auto in corsa lo fanno stramazzare a terra.
Il filo s?era spezzato davvero, e non c?era più modo di annodarlo. Il giorno dopo, migliaia di bambini sfilarono per le strade del Pakistan, in silenzio. Ma a tutt?oggi i killer di Iqbal sono ancora in libertà, mentre l?amico giornalista, il leader dei diritti umani Eshan Ullah Khan, è stato costretto all?esilio in Svezia. Così vanno le cose in Pakistan, dove se un bambino non è troppo piccolo per lavorare, non lo è nemmeno per essere ammazzato.

Dalla serie A alla Marcia globale
? ?Questo pallone non l?ho cucito io?, è la frase stampata sulle magliette Unicef indossate dai due bambini che, domenica 19 aprile, doneranno ai capitani delle squadre di serie A il pallone ?Fair Trade Quality?. Un?iniziativa di Unicef, Transfair, Lega Calcio, Aic e Fgci (Comitato italiano Unicef, tel. 06/ 478091).
? Martedì 5 maggio partirà da Catania il corteo italiano della Marcia globale contro lo sfruttamento del lavoro infantile. Dopo aver attraversato lo Stivale, i partecipanti arriveranno sabato 30 maggio a Ginevra dove si incontreranno con i cortei provenienti da tutto il mondo (Mani Tese, tel. 02/48008617).
? ?Diamo un calcio allo sfruttamento? è il titolo della tavola rotonda sulla condotta e il controllo a difesa dei bambini e dei diritti dei lavoratori, organizzata dal Centro nuovo modello di sviluppo a Roma, sabato 18 aprile (Cnms, tel. 050/826354).

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.