Violenza di genere

Il docufilm sulla forza delle relazioni affettive contro le violenze

Con "Un altro domani", il regista Silvio Soldini ci consente di entrare in punta di piedi nelle vite di chi ha subito violenza, ma anche di chi l'ha agita e di coloro che sono chiamati a prendere in carico il dolore. Una rara occasione per comprendere profondamente cosa e come si agita nell'animo umano prima, durante e dopo eventi che cambiano il corso della propria esistenza

di Gilda Sciortino

È sicuramente la speranza che può dare la possibilità di guardare avanti a un futuro prossimo o meno prossimo. Soprattutto quando viviamo, subiamo indirettamente o assistiamo a una qualunque forma di violenza, dalla quale potere uscire solo se non si è soli. È complicato e nessuno si può arrogare il diritto di dichiararsi competente in materia di sentimenti, soprattutto quando non si è personalmente coinvolti. Solo chi è esperto, nel caso, può aiutare a capire qual è il primo seme della violenza, come si può riconoscere, come si può prevenire e in che modo aiutare a immaginare un altro domani.

Per me il documentario è quel genere che mi consente di raccontare l’intimo umano senza veli

– Silvio Soldini, regista

Non è, infatti, un caso che “Un altro domani” sia il titolo del docufilm che porta la firma di Silvio Soldini e Cristiana Mainardi. Un’indagine nel profondo delle relazioni intime che ci aiuta a comprendere dove e perché la violenza, spesso difficile da decifrare ma già minacciosa, si insinua dando origine a una spirale del male che compromette l’esistenza. Un lavoro prezioso, quello diretto da Silvio Soldini, che non si configura come una consueta operazione di documentazione, perché in questo caso c’è molto di più. Qui si empatizza con le vittime di maltrattamenti e stalking, con gli orfani di femminicidio, questi ultimi vittime non solo di violenza assistita ma anche coloro i quali porteranno lo stigma di figli di padri che hanno raso al suolo tutto quanto stava loro attorno, compresa la propria vita che, se non si concluderà con il suicidio, si consumerà dietro le sbarre di un carcere.

Doloroso, straziante percorrere attraverso i racconti delle vittime –  nel caso siano sopravvissute, o dei familiari quando è stato strappato loro l’affetto di una figlia, una sorella, un’amica – momenti, giorni, mesi, anni di violenze, ovviamente non solo fisiche. Ognuna di loro, le donne, accomunate dal sentirsi in colpa per avere riposto tutta la loro fiducia in uomini sino a poco prima amorevoli compagni di vita, mariti e padri di famiglia, le cui avvisaglie c’erano sempre state, ma che l’amore ha sempre nascosto, giustificato, perdonato. Per la prima volta si vive il dolore lancinante di una madre, come Giovanna, che racconta con quale efferatezza il marito è riuscito a togliere la vita alla figlia di appena 5 anni, davanti agli occhi atterriti dei fratellini, per vendicarsi della sua intenzione di lasciarlo. Donne che sino all’ultimo cercano di salvare le relazioni perché è nel loro animo provare a proteggere quell’amore che ci si era promessi sull’altare, nella buona e cattiva sorte, in salute e in malattia. Promesse infrante da un coltello, quasi a lavare via tutto con un fiume di sangue che estingua con la morte una vita sbagliata. Senza, peraltro, mostrare alcun pentimento neanche dietro il divisorio di una sala colloquio del carcere.

I rapporti umani vanno raccontati ricordando che si proviene sempre da personali esperienze.

Un’ indagine sulla violenza nelle relazioni affettive, “Un altro domani”, perché alla base di tutto ci sono i rapporti umani, quelli che alimentano i nuclei familiari, i rapporti tra uomo e donna, tra padre e figli. Umanità a cui, a un certo punto, la vita fa prendere strade diverse da quelle costruite insieme.

Silvio Soldini

 «Io amo particolarmente il documentario» – spiega il regista, Silvio Soldini«perché ti dà modo di approfondire mondi che si svelano strada facendo. Riesci a capire cose del tutto nuove che non ti aspettavi. In questo caso è andato tutto molto bene, direi pure all’ennesima potenza, perché ho imparato tantissimo. Sentendo parlare le persone, mi si è aperto un mondo, la parte sotterranea, sommersa dell’iceberg che per tutti noi è la punta nei titoli dei giornali.  Per capire meglio abbiano cercato di offrire un quadro più completo possibile. Sono, infatti, contento che le persone che si occupano ogni giorno di queste tematiche siano state colpite da questa completezza e complessità che porta alla conoscenza di molti una realtà che pochi conoscono veramente da vicino».

Percorsi dei quali, infatti, parlano nel docufilm forze dell’ordine, magistrati, avvocati, operatori dei centri antiviolenza, gli psicologi e criminologi che hanno la grande responsabilità di accogliere e proteggere i sentimenti, anche quelli degli uomini maltrattanti che seguono percorsi trattamentali e che, grazie al mettersi in discussione, vengono aiutati a comprendere le conseguenze tragiche di quanto da loro agito.

La lotta contro la mafia ha fatto grandi passi dopo Falcone e Borsellino. Così non è ancora avvenuto nel caso della violenza sulle donne

. Francesco Menditto, procuratore capo di Tivoli

Dinamiche frutto di un problema strutturale della società che, parallelamente agli interventi rivolti alle vittime di violenza e a chi la mette in campo, deve fare un’attenta riflessione sulla cultura che promuove il pregiudizio di genere esercitato dagli uomini nei confronti delle donne. Un percorso lungo che, nonostante affondi nella notte dei tempi,  non ha ancora visto quello scatto evolutivo. E questo, nonostante a ogni femminicidio, l’ultimo più efferato dei quali quello di Giulia Cecchettin, ha visto riversarsi sulle strade migliaia di persone stanche e indignate, con a fianco le associazioni femministe decise a non arretrare.

«Il problema è che la lotta alla criminalità mafiosa dopo le stragi in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ha fatto grossi passi in avanti». – afferma il procuratore capo di Tivoli, Francesco Menditto«mentre sembra che nel campo delle violenze contro le donne non ci sia stata quell’evoluzione auspicata».

Ma c’è qualcosa che Silvio Soldini ha imparato come uomo girando “Un altro domani?”

«A non giudicare le vite altrui perché il luogo da cui si proviene, l’infanzia che si è vissuta ti può portare a diventare qualcuno che non avresti mai pensato di essere. La violenza assistita, per esempio, è qualcosa che rimane dentro. Lo dimostrano alcuni uomini che si sono poi resi conto di quello che avevano fatto, rimanendone quasi sgomenti.  Non sto giustificando, ma comprendendo. Questo vuol dire che le cose si possono fermare, se si porta alla consapevolezza le persone. Anche nel film, il prof. Paolo Giulini, il criminologo, dice che “non si può cambiare veramente ma, se metti la persona in grado a rendersi conto di quel che ha fatto, qualcosa potrà iniziare a mutare” . Questo vuol anche dire prevenzione. Purtroppo il numero delle donne che vengono uccise rimane alto, ma confido nel fatto che prima o poi ce la faremo».

Tutte le foto sono tratte dal film “Un altro domani” (concesse gentilmente dall’ufficio stampa della produzione)


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