Non profit
Chi infanga gli esperti di pace
L'editoriale di Riccardo Bonacina sulle centinaia di italiani sparsi per il mondo a portare la solidarietà nelle zone delle martoriate dalle guerre.
Sono centinaia e centinaia gli italiani sparsi per il mondo a portare la solidarietà concreta dell?Italia nelle zone più povere o martoriate dalle guerre. Spesso condividono in toto la vita di coloro che aiutano. Sono i cooperanti, i volontari, i missionari, i pacifisti. Arrivano là dove nessuno è ancora arrivato, e lanciano allarmi e grida d?aiuto alla comunità internazionale. Arrivano là dove nessuno vuole più restare perché le ferite e il dolore sono insopportabili. Sono soccorritori, spesso sentinelle, avvedute e preparate, del rispetto dei diritti umani e di una globalizzazione che non frena gli appetiti. Invece di campi di battaglia esportano campi di comprensione. Portano la democrazia più delle bombe, la musica dei Beatles dove è vietata, incontrano i governanti ma vivono con i diseredati.
Vita, in questi anni, non avrebbe potuto raccontare il mondo senza le loro email, i loro diari, articoli o telefonate. I giornali e i governanti che non li hanno ascoltati, infatti, non hanno capito il mondo, non solo non lo hanno raccontato. è successo così per l?Iraq quando vennero gasati i kurdi, e poi per la Bosnia e per il Kosovo, e ancora per l?Afghanistan, per il Congo. I talk show preferiscono gli esperti di guerra invece che questi esperti di pace, per questo arrivano sempre dopo i disastri e mai prima, e il nostro governo sta facendo di tutto per spegnere l?ardire dei cooperanti italiani (leggete il nostro servizio di copertina).
Fanno del bene, spesso anche bene, assumono rischi con l?impeto di chi non si sottrae ai bisogni. Eppure quest?esercito di pace dà sui nervi a molti, a troppi, nel nostro Paese. Sono italiani che tengono alto il nome e l?onore dell?Italia, eppure sono trattati peggio dei nostri compatrioti che praticano il turismo sessuale, o di coloro che si arricchiscono trafficando di tutto. Un esempio? Leggete la storia che ci racconta Francesca Ciarallo, volontaria e nostra collaboratrice, a pagina 7 di questo numero. è bastata una notizia falsa, una velina del governo israeliano, e il giornalismo spazzatura italiano si è scatenato.
Questa settimana, a proposito di italiani coraggiosi e pacificatori, non possiamo non ricordare un collaboratore della prima ora di questo settimanale, Dino Frisullo che si è spento il 6 giugno scorso. Lo conoscevo da una decina d?anni, ed era davvero, per me giornalista, una sentinella, sentinella dei diritti umani da noi e in giro per il mondo. Un uomo, come ha scritto Eugenio Melandri, che “non aveva nulla da lasciare, perché nella sua vita non si era mai legato a nulla. Solo l?indispensabile per vivere. Tutto il resto era di troppo”.
“Frizullo”, come era scritto su una carretta del mare che attraccò a Bari nel 97, ai tempi della sua detenzione in Turchia per aver manifestato per i diritti della popolazione kurda, ogni tanto ci chiamava. Come una domenica di due anni fa, era l?8 aprile 2001. Ci avvisava che un giovane kurdo di appena vent?anni, Ali Bolukbas, si era ucciso in un bagno del Centro per clandestini della Caritas, a Gorizia. Lo trovarono impiccato alla catenella dello sciacquone. Aveva appena ricevuto il foglio di via. “È vergognoso che nessuno prenda posizione su una tragedia così terribile. Almeno voi fate qualcosa”, ci disse Dino Frisullo.
Le questure italiane impararono presto a capire che i suoi allarmi erano veri. La pensavamo diversamente quasi sempre, eppure abbiamo fatto insieme molte battaglie. Avevamo, anzi, abbiamo un sogno in comune, un mondo Senzaconfine, come chiamò la sua associazione, e una convinzione: la vita di un uomo, di ogni uomo, è troppo preziosa e sacra perché la si offenda, perché qualcuno la butti via.
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