Welfare

Siamo noi l’altra metà del cielo. A scacchi

L' ultimo editoriale di "liberarsi", giornale scritto dai detenuti del carcere di Sollicianino, in provincia di Firenze

di Cristina Giudici

Se qualcuno pensa ancora che dalle carceri possano arrivare solo lamentele, autocommiserazioni o sconnessi pensieri in libertà, si deve ricredere. Il periodico bimestrale ?Liberarsi dalla necessità del carcere? scritto e redatto dai detenuti del carcere di Sollicianino (Firenze) rappresenta un ottimo esempio di intelligenza ?galeotta?: 16 pagine di interventi accessibili anche per i non addetti ai lavori, corrispondenze da vari istituti di pena, racconti personali, satira e riflessioni su ciò che si muove all?interno del mondo delle carceri: i tentativi di riforma, le leggi, le denunce. Il tutto condito con molta attenzione al rapporto carcere-tossicodipendenza- Aids. L?istituto di pena in cui viene realizzato questo periodico d?informazione è infatti un carcere a custodia attenuata per tossicodipendenti dove si cerca di favorire il reinserimento dei detenuti all?esterno e il lavoro del volontariato all?interno. Insomma ?Liberarsi? racconta un mondo nel mondo e lo fa in modo brillante e autoironico. Perciò questa settimana pubblichiamo l?editoriale dell?ultimo numero di ?Liberarsi?, scritto dalla moglie di un detenuto che descrive la disperazione delle attese, dei divieti e dei colloqui.

Questa lettera è anonima per rispetto verso il mio compagno che si trova in prigione ormai da moltissimi anni ed ha già subito una repressione pesantissima. Non sono anonimi i pensieri, i sentimenti, le pulsioni, le rose e le spine che stiamo vivendo. Ho conosciuto il mio amore scrivendogli e non avrei mai immaginato che potesse nascere una storia così bella.
Ancora non avevo la più pallida idea di cosa fosse una prigione, con i suoi spazi, i suoi tempi, i suoi labirinti e le sue leggi concepite nell?assurdità. Telefonate di sei minuti, posta celere trattenuta, cassette di musica sequestrate, pacchi consegnati a modo loro e simili porcherie. Vorrei parlare di come si sente la prigione da fuori, di come la viviamo noi familiari dei detenuti. Ogni carcere, dicono, ha i suoi regolamenti, ma tutti sono accomunati da un unico non-sense. I familiari, spesso gente semplice, parecchi stranieri, non vengono mai informati dei regolamenti, ma vengono sottoposti volta per volta a divieti quando cercano di far passare qualche genere?proibito?.
E cosa si proibisce? Circa l?80% delle cose che si comprano nei supermercati, come il tonno o i pomodori secchi. Effettivamente in quella specie di bureau fatiscente dove dobbiamo lasciare i nostri documenti, c?è un a lista di cose (scritta in un italiano allucinante) che non si possono portare, ma è molto difficile ricordarsene quando si fa la spesa. Perché, ad esempio, gli avocados non passano? Forse perché il nome ricorda troppo quello degli avvocati?
La visita a un carcerato è un?incognita. Gli orari sono troppo rigidi e un treno può sempre essere in ritardo. Mi chiedo in quante carceri abbiano abolito i colloqui domenicali . Possono fare delle storie oppure no, a discrezione delle guardie. In alcune le perquisizioni sono accuratissime, in altre meno.
Lascio anelli, orecchini, braccialetto e orologio nella borsa, dentro l?armadietto e non posso neanche concedermi un laccetto di cuoio con un pietra azzurra perché la guardiana me la fa togliere. Lei ha dita piene di anelli e a me, che vado a un appuntamento d?amore, non concede neanche una piccola vanità!
In estate mi fanno togliere i sandali, anzi uno solo e la foto della cometa non passa come stampe e viene rifiutata. Ai colloqui non si possono portare fotografie, lettere o cartoline, neanche un foglietto con due righe, ma i libri sì, allora ci scrivo delle dediche chilometriche. Ogni volta dobbiamo aspettare i comodi delle guardie che ci vengano a aprire, mentre se noi sgarriamo di cinque minuti possiamo saltare il colloquio. Attraversare quel tunnel che mi porterà da lui, per poche ore, controllati a vista, è un tuffo al cuore, e tutte le volte penso ai miei compagni, alle mie compagne di viaggio che con me fanno la spola fra il mondo esterno e queste mura.
A quelli che come me hanno risparmiato tutta la settimana perché il treno e l?autostrada costano. A quelli che come me si alzano prestissimo, la mattina, per preparare con immensa fatica ma con grande amore qualcosa che forse verrà rifiutato perché così dice il regolamento.
A quelli che come me vorrebbero coccolare, accarezzare e riempire d?affetto i propri cari, far sentire la loro presenza con piccoli gesti quotidiani, e non possono farlo perché così dice il regolamento. Perché il regolamento non impedisce a un carcerato di stare male o farsi del male, ma gli vieta di sicuro di stare bene con le persone che ama. Spero che alzeremo la testa per dire basta a questo schifo!!
L?altra metà del cielo a scacchi

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