Innovazione & cura

“Frida” e “Amélie”, creatività femminile vs disabilità

I progetti di una designer e di una pedagogista vincono ex aequo l’ottava edizione di Make to Care, il contest di Sanofi che premia soluzioni di open innovation al servizio di pazienti e caregiver, in grado di migliorare davvero la vita di chi convive con una disabilità. "Frida" è una soluzione per persone che soffrono di scoliosi, "Amélie" è una proposta innovativa per bambine con la Sindrome di Rett

di Ilaria Dioguardi

Tecnologia e innovazione che sfidano le disabilità dimostrando di poter vincere tabù e barriere. Questo raccontano i due progetti Frida e Amélie, premiati ieri sera a Roma presso lo Spazio Colonna, durante la cerimonia di Make to Care di Sanofi, ottava edizione del contest che negli anni ha visto oltre 600 progetti candidati, 60 finalisti e 14 vincitori. Entrambi i progetti vincitori hanno non solo il potenziale di aiutare le persone nel loro vivere quotidiano ma, tramite la raccolta di dati, di fornire indicazioni importanti per la ricerca e la comprensione delle relative patologie.

Frida” è l’idea della designer di prodotto siciliana Yasmine Granata (a destra nella foto sopra, ndr). «Mi sono sentita come Frida Khalo, costretta in un’armatura in plastica che ho dovuto tenere dai 12 ai 18 anni, trascorsa indossandola per 23 ore al giorno, che non mi ha permesso di vivere pienamente tutta la mia adolescenza», ha raccontato Granata. «Come me, 480 milioni di persone nel mondo soffrono di scoliosi, di queste l’80% sono adolescenti e sette casi su 10 sono ragazze». La designer ha ideato e sviluppato una nuova tipologia di ortesi per correggere la scoliosi, coinvolgendo esperti e officine ortopediche. Grazie al suo tessuto brevettato, più traspirante e leggero, e ai dettagli intercambiabili trasforma il corsetto in un accessorio di moda. Il dispositivo si “attiva” grazie ad elettrodi posizionati e a pad di spinta automatizzati che permettono di potenziare la muscolatura paravertebrale, anche in assenza di ginnastica correttiva: un sistema che può essere anche controllato da remoto dal medico ortopedico per monitorare l’utilizzo da parte del paziente.

Amélie – Eye tracking Suite” ha vinto il contest ex aequo con Frida. Presentato dalla pedagogista Samantha Giannatiempo (a sinistra, nella foto di apertura, ndr), è il frutto della collaborazione tra il centro Airett di Verona e un’équipe di terapisti e ingegneri specializzati nella Sindrome di Rett, raro disturbo neurodegenerativo che colpisce soprattutto le bambine, che perdono progressivamente capacità linguistiche e motorie. Amélie favorisce la comunicazione e la comprensione tra caregiver e piccole pazienti, che possono interagire e giocare muovendo i loro occhi grazie a un software che collega computer, smartphone e una piattaforma online, pensato per la supervisione a distanza da parte dei terapisti e la raccolta dati scientifica.

Make to Care ha dato inizio, per prima in Italia, ad una riflessione strutturata sulla Patient-driven-Innovation con l’obiettivo di incentivarne la pratica e la diffusione, oltre che di stimolare un dibattito costruttivo in termini di nuove politiche sanitarie. «Il nostro approccio all’innovazione, che da sempre guarda aldilà delle attività che esercitiamo come azienda farmaceutica, è basato su un dialogo aperto a tutti i livelli della società, con l’intento di rinnovare sempre la qualità del dibattito e favorire la genesi di progettualità condivise e inedite», ha detto Marcello Cattani, presidente e amministratore delegato di Sanofi Italia e Malta. «Anche attraverso questo progetto, diamo il nostro contributo allo sviluppo di una cultura dell’inclusione delle disabilità, diamo voce a idee davvero rivoluzionarie, restituendo rilevanza e grande dignità al paziente, non solo beneficiario, ma anche parte attiva del percorso di innovazione».

I sei finalisti di Make to Care 2023

La giuria indipendente del contest di quest’edizione, nato dalla collaborazione con Maker Faire Rome – The European Edition, presieduta dal presidente del Coni Giovanni Malagò, era così composta: Alberto Battaglia, presidente Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, Bruno Dallapiccola, direttore scientifico emerito Ospedale Bambino Gesù, Federica Draghi, founder e managing partner di Xgen venture, Franco Locatelli, presidente Consiglio Superiore di Sanità, Margherita Lopes, giornalista, Giampaolo Montali, direttore generale del Progetto Ryder Cup 2023, Tiziana Nicoletti, responsabile coordinamento Associazione malati cronici e rari di Cittadinanzattiva, Annamaria Staiano, presidente Società Italiana di Pediatria.


Durante la serata, sono stati presentati i dati della ricerca Gli italiani e la disabilità: vissuti, percezioni e propensione all’inclusione, voluta da Sanofi nell’ambito del contest Make to Care e condotta da Swg su un campione di 1.000 italiani.

Il 76% degli italiani che abbiamo intervistato ha la percezione che le persone con disabilità siano ancora oggi emarginate

Riccardo Grassi, direttore di ricerca Swg

Dalla ricerca emerge che quattro italiani su cinque hanno esperienza diretta o indiretta con la disabilità. Un intervistato su cinque ha un familiare portatore di disabilità. Eppure, c’è ancora disagio e impaccio – in circa il 50% dei casi – di fronte a chi vive questa condizione. «Nella metà dei casi c’è un blocco emotivo. La questione è il non aver metabolizzato la gestione della relazione con una persona che è percepita come una persona che ha qualcosa di diverso, con la quale non si sa come rapportarsi. Questo ci dice molto quanto c’è da fare ancora dal punto di vista dell’informazione, della comunicazione e dell’educazione», ha affermato Riccardo Grassi, direttore di ricerca Swg.

«È importante cogliere anche come è percepita la disabilità dal punto di vista dell’integrazione. Nella ricerca, dei dati ci mostrano la differenza tra quella che è la percezione in generale e la percezione di chi ha una disabilità. Solo il 39% degli italiani è convinto che, chi ha una disabilità, possa accedere a un’educazione e formazione professionalizzante (convinzione che sale al 51% di chi è disabile). Solo il 30% degli italiani (il 43% di chi è disabile) pensa che, chi ha una disabilità possa condurre una vita autonoma e solo il 29% che possa trovare un lavoro in linea con proprie competenze e aspirazioni (la percentuale sale al 40% per chi è disabile). Chi è disabile, quindi, è molto più positivo perché ha più consapevolezza delle potenzialità ma anche dei potenziali. Ecco che, questo dato, diventa un altro stimolo per colmare questo gap relazionale, informativo e anche esperienziale», ha continuato Grassi. «Il 76% degli italiani che abbiamo intervistato ha la percezione che le persone con disabilità siano ancora oggi emarginate», mentre il 65% è la percentuale di intervistati portatori di disabilità che lo pensa. «Sappiamo che è un tema complesso e questi dati semplificano drammaticamente la realtà. Però è necessario lavorare sulla comunicazione, sul far comprendere che la disabilità è nelle nostre vite quotidiane, tocca un po’ tutti».

Si pensa che le tecnologie possano aiutare soprattutto le disabilità motorie (48%), un po’ meno quelle visive (41%), molto meno quelle psichiche (28%) e cognitive (21%), che rappresentano ancora oggi il grande tabu, l’elemento forse di maggiore difficoltà nella relazione con le persone disabili

Riccardo Grassi

Che cosa può fare la tecnologia? «Quando abbiamo chiesto agli intervistati chi può fare qualcosa per le persone con disabilità la risposta è stata: “Tutti”, proprio per la percezione di quanto questo sia un tema sentito. La percentuale di italiani che ritiene che le moderne tecnologie possano supportare varia a seconda delle diverse forme di disabilità. I risultati sono abbastanza emblematici, fanno un po’ da specchio con quelle che sono le paure: si pensa che le tecnologie possano aiutare soprattutto le disabilità motorie (48%), un po’ meno quelle visive (41%), molto meno quelle psichiche (28%) e cognitive (21%), che rappresentano ancora oggi il grande tabu, l’elemento forse di maggiore difficoltà nella relazione con le persone disabili».

Foto dell’ufficio stampa Sanofi

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