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Parla Antonio Onorati. Non ci uccidono, ci lasciano morire

Il presidente di Crocevia, storica ong italiana a rischio di chiusura, lancia il suo amaro j’accuse. "Un tempo cercavamo agronomi, oggi fund raiser" (di Chiara Ludovisi).

di Redazione

Antonio Onorati ha 55 anni: agricoltore per origine e vocazione, impiegato dell?Arsial, l?Agenzia regionale sviluppo e innovazione del Lazio, per professione, presidente del Centro internazionale Crocevia per ?militanza?. La biografia di Antonio Onorati rappresenta una parte significativa della storia della cooperazione internazionale non governativa italiana. Ora, molte organizzazioni, tra cui la storica Crocevia (una delle prime a ricevere l?idoneità, nel 1972), sono costrette a sospendere le proprie attività a causa del congelamento dei fondi pubblici destinati al finanziamento dei loro progetti nei Paesi in via di sviluppo. Vita: Come sei entrato in contatto con Crocevia? Antonio Onorati: Dal momento che ero un contadino laureato in Statistica, mi chiesero di insegnare presso la facoltà di Agraria dell?Università di Algeri. Lì, tra le altre cose, lavorai per la preparazione di un dossier informativo, curato proprio da Crocevia, che allora apparteneva al Cosv e si occupava soprattutto di informazione. Una volta tornato a Roma, nel 1976, decisi di continuare la mia ?militanza solidale? all?interno di Crocevia: feci parte del secondo ?pacchetto? di volontari della storia di quest?organizzazione. Vita: In cosa consiste, principalmente, il tuo impegno all?interno di Crocevia, e della cooperazione non governativa in genere? Onorati: Cerco di continuare la mia attività formativa e informativa: tengo corsi e seminari per contadini in Italia e all?estero, cerco di essere presente in occasione dei principali eventi dedicati ai temi che mi competono. Crocevia, per esempio, ha presieduto il primo e il secondo Ngo Forum, rispettivamente nel 1996 e nel 2002. Vita: Quali sono i principi che caratterizzano le scelte e le attività di Crocevia? Onorati: Innanzitutto, il concetto stesso di sviluppo, inteso come idea propria e autonoma delle comunità locali. Negli anni 90, in un articolo intitolato Il diritto al non sviluppo, sostenevamo il diritto che ciascun popolo ha di scegliere il proprio modello di sviluppo. In qualche modo, anticipavamo il concetto di ?sviluppo sostenibile?, oggi tanto di moda. Un altro principio fondamentale è la fiducia nella società civile locale: crediamo fermamente che niente di buono si possa fare senza un contributo attivo della popolazione locale. In particolare, siamo convinti che non esista nessun popolo che, attraverso la solidarietà, non possa liberarsi da una dittatura. Con questa solidarietà, e non con le ?guerre preventive?, sarà possibile moltiplicare i governi democratici nel mondo. Anche il regime Pinochet, in fondo, è stato abbattuto grazie alla vitalità della società civile e alla solidarietà di altre società civili e di molte ong. Infine, il nostro pacifismo è incondizionato: noi crediamo che il non governativo debba tenersi sempre lontano dalle bombe. Vita: Gli anni più recenti hanno segnato un cambiamento visibile, all?interno della cooperazione internazionale, visibile soprattutto nella crisi che molte ong (compresa Crocevia) stanno attraversando. A cosa attribuisci questo mutamento? Onorati: Gli anni 90 hanno segnato sicuramente una svolta, nella cooperazione internazionale italiana e nelle organizzazioni in essa coinvolte. All?origine, c?è la riduzione drastica dei fondi per la cooperazione internazionale e, di conseguenza, la penalizzazione della cooperazione non governativa. Ci stiamo sempre più approssimando al modello britannico, che consiste nel monopolio della cooperazione non governativa da parte di 4 o 5 grandi organizzazioni, con volumi di attività che superano le centinaia di migliaia di euro. Un modello che, stroncando le piccole organizzazioni, garantisce al governo un maggiore controllo di quello che, per definizione, dovrebbe essere ?non governativo?. Vita: Pensi che ci sia una sorta di ?disegno? dietro questa crisi diffusa? Onorati: No, non un vero e proprio disegno. Probabilmente nessuno dice “Uccidiamoli”, ma molti pensano “Meno male che muoiono”. In questo modo si priva il Paese di uno strumento di democrazia vera, cioè la solidarietà tra società civili di Paesi diversi: una pratica che deve essere affidata a chi abbia dimostrato di esserne capace. Vita: Cosa rimproveri a Crocevia, in questo momento di incertezza? Onorati: Due errori: il primo, la fiducia nello Stato, cioè la certezza che il rapporto contrattuale tra noi e le istituzioni sarebbe stato onorato; poi, una sorta di isolazionismo, dovuto alla nostra scarsa visibilità. Non abbiamo mai investito nella promozione della nostra immagine, non abbiamo fatto marketing, non abbiamo mai assunto esperti in fund raising. Un?eccezione, oggi che questa figura professionale è una delle più richieste dalle ong. Non si cerca più l?agronomo, ma l?esperto in raccolta fondi? Vita: Cosa ti ha più deluso, in tutti questi anni? Onorati: C?è una cosa che mi fa disperare: che lentamente l?attività prioritaria dei responsabili di Crocevia non sia più la discussione delle strategie e dei contenuti, ma piuttosto la ricerca di fondi. Io, che non ho mai voluto un soldo da Crocevia, passo la metà della mia vita a parlare di soldi! Vita: In definitiva, Crocevia è viva o morta? Onorati: Posso affermare con certezza che quelli di Crocevia sono vivi. Mi sembra meno sicuro il futuro delle sue attività di cooperazione internazionale, che richiedono delle condizioni economiche minime, per poter proseguire. Ma non siamo disposti a rinunciare alla nostra autonomia. Non ci interessano il marketing e il fund raising: in un modo o nell?altro, continueremo a occuparci di agricoltura e popoli nativi. Chiara Ludovisi


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