L'accoglienza solidale

Kim caput mundi dei bimbi malati

di Ilaria Dioguardi

A Roma la terza tappa di un viaggio che VITA sta percorrendo alla scoperta di alcune esperienze di sostegno e di accoglienza di chi si deve spostare per ragioni sanitarie. Dal 1997 l’associazione Kim si occupa di accoglienza, tutela e ospedalizzazione di minori italiani o stranieri gravemente ammalati, che vivono in condizioni di disagio economico e sociale, spesso provenienti da paesi in guerra o senza strutture sanitarie adeguate. Ha ospitato finora quasi 900 bambini provenienti da circa 65 paesi del mondo

La mission di Kim è il diritto alla cura dei bambini malati, che incarna in due modi: da una parte far venire a Roma i bambini provenienti da tutto il mondo e accoglierli presso il centro di accoglienza durante le cure mediche, dall’altra impegnarsi sui temi della sensibilizzazione e dell’informazione dei giovani sui temi della solidarietà, del volontariato, dell’accoglienza e del diritto alla cura. L’associazione segue il minore, accompagnato dalla madre, in tutto il percorso: dalla richiesta d’aiuto all’ingresso in Italia se straniero, ai contatti con gli ospedali, ospita e sostiene il nucleo familiare nel suo centro di accoglienza, che può accogliere 14 nuclei mamma-bambino.

«La capacità dell’associazione è di attivare anche un’accoglienza diffusa, grazie alla nostra credibilità. Abbiamo ospitato finora quasi 900 bambini provenienti da circa 65 paesi del mondo, dall’est Europa al Centro America all’Africa, quest’ultimo in maniera predominante, seguono i Balcani. Durante le guerre in Siria e Iraq sono venuti tanti bambini», dice Paolo Cespa, presidente e co-fondatore Kim. «Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, si è aperto un canale impressionante di richieste ed eravamo in overbooking. Ci siamo attivati per far venire quattro bambini malati, che erano già stati nostri ospiti, due nostri volontari sono andati a prenderli al confine con il furgone, poi abbiamo raccolto un altro bambino diabetico, strada facendo. Le suore dell’istituto di Sant’Anna, a 100 metri da noi, ci hanno messo a disposizione un’ala del loro convento. In totale, siamo arrivati a 25 nuclei familiari, con 50 ospiti in contemporanea a cui garantire vitto e alloggio».

Paolo Cespa, presidente e co-fondatore Kim

«Purtroppo le persone che vengono a curarsi in Italia vengono trattate come se fossero degli emigranti che scappano dal loro paese. È un fenomeno poco noto e poco misurato. Quando arrivano, li portiamo a fare i permessi di soggiorno, le mamme devono fare delle file assurde in questura, mentre il figlio è in ospedale. Seguono la prassi degli emigranti, ma sono persone costrette a venire in Italia dalla realtà in cui vivono, fanno curare i loro figli e poi non vedono l’ora di tornare a casa dal resto della famiglia. È un problema enorme», prosegue Cespa. «Alcune famiglie sono rimaste da noi anche cinque anni, lontano dal paese di origine e da figli piccoli che a volte si dimenticano pure della mamma. Questo è un fenomeno in crescita, basta andare negli ospedali per rendersene conto. Nelle nostre 14 stanze, nel 2021 abbiamo potuto accogliere, a causa del Covid, solo 27 nuclei mamma-bambino; nel 2022 sono diventati 62, fino a fine anno prevediamo di arrivare a 80. Ciò significa 160 persone da seguire, a carico dell’associazione».

Abbiamo ospitato finora quasi 900 bambini provenienti da circa 65 paesi del mondo

Paolo Cespa, presidente e co-fondatore Kim

«Noi ci sosteniamo senza alcuna entrata certa. Non abbiamo rapporti con le pubbliche istituzioni, i sostegni avvengono grazie a un’intensissima attività di raccolta fondi, fatta attraverso donazioni costanti di amici che si impegnano mensilmente, poi ci sono donazioni del momento e un grande lavoro di ricerca di progetti e di bandi. Stiamo sviluppando molti rapporti con aziende che ci sostengono anche con prestazioni professionali e con il volontariato aziendale. I nostri sette dipendenti, assunti a tempo indeterminato, hanno necessità di una formazione professionale costante, quindi cerchiamo di poter usufruire di tutte le occasioni, dalle convenzioni della regione alle aziende che si offrono di fare formazione. Riceviamo molte donazioni di beni e servizi, ciò dimostra il potere d’attrattiva e di riconoscimento che l’associazione esercita all’esterno, nessuno viene a regalare qualcosa se non crede a una realtà associativa e se non vede che si usa in maniera corretta e trasparente. Il volontariato serio opera sul piano della professionalità, questo è fondamentale: più siamo attenti e più quello che diciamo corrisponde alla realtà, più otteniamo sostegni. Ai nostri ospiti non chiediamo nulla, non diamo loro soldi ma forniamo tutto quello che serve, dal vitto all’alloggio, dai vestiti ai medicinali e abbiamo tre vetture per gli accompagnamenti. Cerchiamo di far passare ai nostri ospiti una vita normale: i bambini sono allegri, sereni e divertiti e le mamme sono tranquille. Abbiamo messo anche in piedi un’equipe di counselling, che segue le donne sul piano psicologico».

Foto Kim/Corrado Roda

Kim non ha convenzioni con gli ospedali, ha un rapporto molto intenso con l’ospedale Bambino Gesù di Roma. «A noi arriva la richiesta di ospitare un bambino e la sua mamma, l’ospedale di riferimento valuta la possibilità e l’urgenza; se la accetta noi mandiamo la garanzia di accoglienza all’ambasciata, l’ospedale manda la sua disponibilità alle cure. Poi ci attiviamo per i biglietti di viaggio, la famiglia viene convocata, l’ospedale effettua le sue verifiche e viene rilasciato un visto sanitario, che permette a mamma e bambino di partire. Noi li accogliamo all’aeroporto, li portiamo a casa, o direttamente in ospedale se c’è molta urgenza. Entro otto giorni dobbiamo prendere appuntamento con la questura per il rilascio dei permessi di soggiorno. Il più delle volte, capita che il visto sia di breve durata, il medico deve rilasciare un certificato con il quale certifica che la presenza deve essere prolungata nel nostro paese», continua il presidente. «Questo certificato va portato al tribunale per i minorenni, che apre un fascicolo, verifica e autorizza il genitore a restare nel territorio nazionale per il tempo stabilito dall’ospedale, automaticamente il bambino può restare a curarsi. Tutti questi passaggi vanno fatti per tempo, se no si rischia che il bambino debba andare via dall’Italia prima di aver terminato le cure».

Foto Kim/Marco Frattini

Bisogna considerare il fatto che, la malattia che viene dichiarata al bambino, può avere strada facendo delle complicazioni nelle cure. «Se si scopre, ad esempio, che un bambino ha problemi ai denti, non si può operare, prima va fatta una sanificazione, questo comporta un allungamento dei tempi. C’è da sottolineare un altro aspetto importante. Quando i bambini arrivano, della loro salute sappiamo tutto, tra certificazioni, analisi, visite in ospedale e del pediatra volontario della Kim. Delle madri non sappiamo nulla, a volte scopriamo che sono incinte, che hanno residui di tubercolosi, hanno problemi ginecologici o cardiopatici e non lo sanno perché non hanno mai fatto visite, nei loro paesi. Per loro la copertura non esiste, bisogna trovare soluzioni e abbiamo un mondo di amici professionisti che ci sostengono. Le richieste ci arrivano anche dagli ospedali, che dopo aver curato i bambini li dimettono e devono avere un posto in cui stare per poi andare ai controlli o per continuare a curarsi in day hospital. Noi non abbiamo mai rifiutato nessuno». 

Ma come nasce Kim? «Nel 1991, arrivò a Bari, per la prima volta nella storia italiana la motonave Vlora, una carretta con centinaia di albanesi che scappavano dal loro paese. Invasero Bari, vennero ospitati nello stadio e poi li imbarcarono direzione Albania. Quest’esperienza lasciò il segno. Noi della Kim siamo tutti di provenienza dell’Agesci (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani, ndr). Alla luce di questo, l’associazione ci invitò ad andare in Albania, nel 1993 mise in campo un progetto, in 14mila giovani “invademmo” l’Albania con l’intento di portare ai bambini spirito di servizio, riconoscenza, affiancamento e scoprimmo un paese stremato, che ci fece scoprire l’esigenza dei bambini, dal punto di vista sanitario. Qualche anno dopo, ci segnalarono un bambino albanese che aveva un tumore al braccio. Lo facemmo venire in Italia, io e tanti amici lo ospitammo e lo seguimmo. Questo fatto ci fece venire un’idea: siamo tanti per uno, perché non facciamo uno per tanti? Nel 1996 una ventina di noi decise di dare vita all’associazione, per occuparci di bambini malati. Iniziammo senza soldi e senza un posto, andavo a Bari a prendere con la mia macchina qualche bambino malato, che arrivava con i traghetti. Li ospitavamo noi nelle nostre case, poi prendemmo un primo piccolo appartamento grazie a delle donazioni. Nel 2004, una realtà amica, la Fondazione Bellincampi, ottenne dal Comune di Roma – e ristrutturò completamente – un edificio sito all’interno del Parco di Bellosguardo, lo mise a disposizione dell’associazione per l’accoglienza dei bambini e delle loro madri. Passammo così da 100 metri quadrati a più di 500. I bisogni aumentano sempre di più e la nostra associazione cresce con essi. La rete funziona, è un viavai continuo di richieste, collaboriamo con tante istituzioni e organizzazioni, dai militari ai medici all’estero».

Foto Kim/Martino Pisanello
Foto Kim/Elisa Clementelli
Foto Kim/Mimmo Chianura
Foto Kim/Flavia Castorina
Foto Kim/Marco Frattini
Foto Kim/Maria Pia Carotenuto
Foto Kim/Omar Kheiraoui
Foto Kim/Flyingideas srl
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Kim nasce con il nome del protagonista di uno dei più noti racconti di Rudyard Kipling, capace di prendere in mano la propria vita al di là di ogni difficoltà, grazie al suo coraggio e alla solidarietà di molti amici. «Kim ha le sue intuizioni e la sua voglia di crescere, identifica il bambino che accogliamo, che ha i suoi sogni, le sue aspirazioni. La nostra speranza è di facilitare a questi bambini la cura, in nome di un diritto universale, nella speranza che possano crescere e diventare adulti. A noi fa molto piacere restare in contatto con tanti nostri piccoli ospiti, è importante per dire a chi ci aiuta che ha contribuito a realizzare la cura e a far diventare un bambino ciò che voleva. Una ragazza della Serbia, che vive in Italia, è stata ospite da noi quando era piccola. Ha conosciuto un ragazzo qui in Italia, hanno avuto un bambino, ci ha invitato al suo matrimonio. Non ha i genitori, mi ha chiesto di accompagnarla davanti al sindaco, il giorno che si sposava: è stato molto emozionante, mi sono sentito investito di un sogno», continua commosso Cespa.

Un’altra bambina, arrivata dal Kosovo, malata di leucemia, dopo anni di cure è guarita, è tornata a casa. «Si è laureata in psicologia clinica, insieme al marito ha aperto un piccolo centro che richiama la sua esperienza nella nostra associazione: hanno creato una piccola Kim e accolgono i bambini che vanno a curarsi all’ospedale di Pristina. L’anno scorso ha detto pubblicamente che Kim è la stanza della sua infanzia, la stanza numero 2 è la sua stanza», prosegue il presidente. «Tanti anni fa l’ambasciatore italiano ad Addis Abeba ci chiese di far venire un bambino, Mike, a curarsi, aveva la fissa per le macchinette, diceva che voleva fare il pilota. Due anni fa, Mike ci ha mandato una foto che lo ritraeva con una tuta da pilota di rally, con due coppe che aveva vinto, sul cofano dell’auto: aveva applicato il logo dell’associazione scrivendo Kim for life. Queste cose toccano il cuore, ci fanno capire che abbiamo raggiunto degli obiettivi. La nostra associazione aiuta a creare un futuro, tutti questi bambini, se non fossero venuti a curarsi in Italia, posso garantire che sarebbero tutti morti. Questa è la forza di Kim».

La nostra associazione aiuta a creare un futuro, tutti questi bambini, se non fossero venuti a curarsi in Italia, posso garantire che sarebbero tutti morti. Questa è la forza di Kim

Paolo Cespa

Esistono diverse realtà a Roma che accolgono bambini che sono già in cura negli ospedali romani. «Una delle differenze più grandi della nostra associazione è che Kim intercetta le richieste di aiuto direttamente dai paesi di provenienza, veniamo contattati da ambasciate, ong, missionari, famiglie che hanno un bambino con una patologia grave che nel loro paese non può essere curata. Ci attiviamo in tutto, anche dal punto di vista amministrativo per quanto riguarda visti, passaporto, paghiamo il biglietto aereo. I bambini e le mamme sono ospiti della nostra casa famiglia durante tutto il periodo delle cure mediche. Nel 90-95% dei casi ospitiamo famiglie straniere, in una piccola percentuale si tratta di famiglie italiane e, in questi casi, spesso è l’ospedale a chiederci se possiamo accoglierle», dice Salvatore Rimmaudo, responsabile relazioni esterne, formazione e volontariato presso Kim.

Kim intercetta le richieste di aiuto direttamente dai paesi di provenienza, veniamo contattati da ambasciate, ong, missionari, famiglie che hanno un bambino con una patologia grave che nel loro paese non può essere curata

Salvatore Rimmaudo, responsabile relazioni esterne, formazione e volontariato Kim

Durante l’anno, i volontari di Kim fanno una serie di incontri, più o meno una volta al mese, durante i quali affrontano le tematiche pertinenti al servizio che svolgono. «I nostri volontari sono circa 60. Li accompagno dal colloquio valutativo iniziale ai primi inserimenti nel contesto associativo. Svolgiamo sia una formazione erga omnes, rivolta a tutta la platea dei volontari su alcuni temi, poi a seconda degli ambiti di appartenenza abbiamo: i volontari Arkimede, che insegnano italiano alle mamme e ai bambini; gli Arcobaleno, che sviluppano le attività ludico-ricreative (in casa o con gite fuori); gli Acchiappafantasmi, volontari della notte, che offrono una presenza notturna per le mamme e i bambini; i volontari Kimaccompagna, che si occupano degli accompagnamenti, in ospedale, all’aeroporto o altrove; gli Scacciapensieri sono i volontari che vanno a trovare i bambini in ospedale e diventano la loro famiglia qui in Italia, le mamme vengono da tutte le parti del mondo da sole con i loro figli, non hanno parenti e amici che li vanno a trovare», prosegue Rimmaudo. «I nostri volontari non fanno trasporti, ma accompagnamenti, vivono insieme alle mamme dei momenti: accolgono la gioia, la paura, la sofferenza». Inoltre, due volontarie di Kim seguono le botteghe di cucito e ceramica, che animano per alcuni pomeriggi a settimana, rivolti anche alle mamme. «Tutte le esperienze di volontariato cercano di fare in modo che la malattia non sia il perno attorno a cui ruota tutta la loro giornata. Sarebbe faticosissimo avere, nel programma della giornata, solo la chemioterapia, la visita. Riempire la giornata delle mamme di relazioni, impegni, passioni, interessi è uno dei nostri obiettivi».

Salvatore Rimmaudo con una bambina accolta da Kim (foto Kim/Mimmo Chianura)

«Vado a incontrare i ragazzi nelle scuole medie e superiori (soprattutto di Roma) per parlare di Kim e per introdurre ai temi dell’accoglienza e del volontariato, svolgo dei seminari anche nelle università. In associazione sviluppiamo dei bei progetti di volontariato estivo, per due anni di seguito un progetto ha visto presenti nella nostra associazione più di 100 ragazzi provenienti da tutta Italia, molti scout sono venuti le ultime due estati. Il fatto di sviluppare questi progetti con i giovani raggiunge l’obiettivo di intercettare quanti più ragazzi possibili e contribuire a produrre pensiero e a far crescere un’attenzione verso la cittadinanza attiva: è una missione grande», afferma Rimmaudo. «Soprattutto nel sociale, noi siamo depositari di una serie di valori, nelle nuove generazioni dobbiamo contribuire a diffondere, a formare, a far riflettere i ragazzi sui temi del volontariato e della solidarietà: se ce li teniamo per noi è poco utile. Quando un ragazzo viene ed è attivato su alcune attività di volontariato, è un innesco formidabile: non ascolta qualcuno che parla ma fa esperienze concrete. Chi può parlare il linguaggio dei giovani sono i giovani stessi? Lavoriamo tutto l’anno a progetti di inserimento di volontari, attraverso i quali i ragazzi si sentono impegnati e valorizzati».

I volontari Arkimede insegnano italiano alle mamme e ai bambini, gli Arcobaleno sviluppano le attività ludico-ricreative, gli Acchiappafantasmi offrono una presenza notturna per le mamme e i bambini. I Kimaccompagna si occupano degli accompagnamenti, gli Scacciapensieri vanno a trovare i bambini in ospedale e diventano la loro famiglia qui in Italia

Salvatore Rimmaudo

L’associazione ha realizzato un progetto che si chiama Young Kim, ha messo insieme tutti i ragazzi under 30 vicini all’associazione, per dare loro valore, «un’attività aggregativa di un aperitivo serale una volta al mese, da cui partire per dare loro la percezione che vogliamo investire sulle loro idee. Siamo tutti consapevoli che le sfide di domani che attenderanno la nostra associazione verranno risolte, vissute dai giovani con degli strumenti che, in particolare, loro hanno», continua Rimmaudo. «All’ingresso non chiediamo competenze specifiche ai volontari, siamo consapevoli che la formazione che la persona fa in associazione è qualificata e, quindi, più efficace. Questo aiuta molto i nostri amici volontari a capire che, per usare uno slogan: per fare del bene non bisogna essere solo buoni ma bisogna essere anche bravi». Kim sviluppa, inoltre, un progetto di volontariato di competenza, valorizzando le competenze messe in atto, in particolare professionali. «Se ci sono volontari, ad esempio, che hanno competenze legali, di mediazione culturale, interpretariato, oppure come idraulici o elettricisti, le valorizziamo: per loro ha un grande ritorno e noi riusciamo ad ampliare la nostra capacità operativa, di amministrazione, gli eventi. Abbiamo sviluppato anche un bel progetto di volontariato senior: diamo valore alle figure professionali che escono dal mondo del lavoro ma che hanno ancora tante energie, una competenza, enorme, che nella società di oggi non hanno più spazio. Noi li valorizziamo, possono continuare a contribuire per una buona causa. È un bel progetto anche di carattere sociale, ad esempio l’insegnamento dell’italiano alle mamme viene svolto da maestri in pensione. Questo permette anche uno scambio intergenerazionale».

Qui in Kim si piange due volte. La prima quando si arriva, con il grande turbamento della mamma, che spesso proviene da posti assurdi del mondo, dove lascia tutti il resto della famiglia, anche figli molto piccoli. La seconda volta quando si riparte, dopo uno-due anni la mamma lascia un posto che l’ha accolta e dove si è sentita voluta bene

Salvatore Rimmaudo

Quasi mai i bambini che sono accolti in Kim non tornano più. «Circa 18 anni fa, accogliemmo un bambino del Kosovo, aveva un tumore all’occhio, che purtroppo gli hanno dovuto asportare. Questo bambino oggi ha 21 anni ed è presente qui oggi nella nostra casa famiglia. Spesso i bambini devono tornare in ospedale per i controlli, per riprendere le cure (spesso in caso di recidive), per fare un nuovo intervento, per modificare una protesi. È bello vederli crescere e vedere come evolvono le vite: Kim lavora per la vita. Alcune nostre ex piccole ospiti sono donne con dei figli, alcuni bambini sono dei professionisti, che hanno coltivato e portato avanti grazie a Kim dei sogni di vita. Loro ci chiamano, ci scrivono, ci raccontano. Il nostro non è un albergo, non è una struttura ricettiva in cui gli ospiti vanno e vengono. Qui in Kim si piange due volte», conclude Rimmaudo. «Quando si arriva, con il grande turbamento della mamma, che spesso proviene da posti assurdi del mondo, dove lascia tutti il resto della famiglia, anche figli molto piccoli. La seconda volta quando si riparte, dopo uno-due anni, lascia un posto che l’ha accolta e dove si è sentita voluta bene».

3 – continua

Foto dell’ufficio stampa Kim (foto di apertura Mimmo Chianura, credits nelle didascalie delle foto).


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