Welfare

Noi, gli esclusi della sanità italiana

L’Italia è l’ultimo Paese d’Europa per l’assistenza sanitaria a domicilio. Eppure le leggi ci sarebbero, e anche i soldi. Per creare équipe di medici in grado di curare i malati a casa propria. Ma n

di Gabriella Meroni

In Italia ci sono malati che guardano con terrore, invece che con speranza, al giorno in cui verranno dimessi dall?ospedale. Sono gli ammalati terminali di cancro, gli anziani non più autosufficienti, i sofferenti di patologie gravi e croniche. Temono il giorno della dimissione perché sanno che da quel momento andranno a casa, e nessuno si occuperà più di loro. Non sono ancora guariti, eppure l?ospedale non può trattenerli in corsia, dato che hanno superato la fase acuta dei loro disturbi. Sono entrati in una specie di limbo, in cui si calcola si trovino attualmente circa un milione di pazienti. Un?immensa zona grigia in cui parenti e familiari si improvvisano medici e infermieri, le associazioni di volontariato riempiono i vuoti lasciati dal sistema sanitario e i malati, in mezzo, si arrangiano. L?Italia è l?ultimo Paese d?Europa quanto ad assistenza sanitaria a domicilio, cioè quel complesso di interventi che dovrebbero assicurare ai malati cronici o agli anziani una vita dignitosa a casa propria, assistiti da personale specializzato. Una questione tornata d?attualità a proposito della cura Di Bella, che in mezzo al polverone ha alzato il velo su una realtà spesso trascurata: l?esistenza nel nostro Paese di circa 150 mila malati gravi di tumore che stanno a casa loro. Curati da chi? Spesso da nessuno. O meglio, da nessuno qualificato per farlo. Le leggi italiane che dovevano regolamentare l?assistenza a domicilio, infatti, sono miseramente fallite. Partiamo dal mezzo milione di anziani non autosufficienti e da quanto la legge italiana prevedeva per loro. Il Progetto Obiettivo Anziani, approvato poco più di 5 anni fa (gennaio 1992), prevedeva di fare le cose in grande: potenziamento della preesistente Ad (assistenza domiciliare ?semplice?), creazione di Unità valutative in ogni Asl per giudicare la situazione del singolo anziano e indirizzarlo verso il servizio più adatto a lui; costituzione di 140 mila posti letto in Rsa (Residenze sanitarie assistenziali), moderne strutture in cui coniugare assistenza sociale e sanitaria, ma soprattutto varo dell? Adi l?assistenza sanitaria a domicilio, e dell?ospedalizzazione a domicilio (Oad), rivolta agli ultra 65enni malati cronici e terminali. Risparmio previsto per il servizio sanitario: 7.000 miliardi l?anno con le Rsa; con l?Adi e l?Oad, almeno l?80% della spesa necessaria a mantenere in ospedale un anziano non autosufficiente (150 mila lire al giorno contro le 700 mila in ospedale) e dal 50% al 70% per ciascun malato di cancro (250 mila lire a casa, da 500 mila a 1 milione in ospedale). Resta il fatto che a 5 anni di distanza l?Adi opera ancora ?a livello sperimentale? (e soprattutto al Nord) come sostiene ottimisticamente il ministero della Sanità, e l? Oad è rimasta sulla carta. Problemi di soldi? Sembrerebbe di no. Il Progetto Obiettivo Anziani è stato finanziato con 2700 miliardi, il cui utilizzo spettava però alle regioni. Che in maggioranza non si sono attivate: di 2700 miliardi ne sono stati utilizzati meno di 300, e solo da 9 regioni su 20. «Le leggi prevedevano Adi in ciascuna Asl d?Italia», testimonia il dottor Vito Noto, primario del Pio Albergo Trivulzio di Milano, che si occupa fin dagli anni Settanta di assistenza domiciliare agli anziani. «Qui in Lombardia l?Adi in molti casi è partita, ma con una pecca sostanziale: si aggiunge, e non si sostituisce, al ricovero. Così il risparmio non c?è, anzi si hanno ulteriori costi. E pensare che almeno il 70% dei ricoverati negli ospizi potrebbe essere curato a casa». «Chi può, deve essere curato a domicilio», aggiunge Francesco Santanera, del Comitato difesa dei diritti degli assistiti di Torino. «Ma in maniera adeguata. Invece l?Adi piemontese, pur attiva da anni, è troppo generica. Non si possono affidare malati terminali solo al medico di base, né si può chiamare Adi l?assistenza sociale o il piccolo aiuto domestico». La legge infatti è molto chiara: l?Adi è un servizio sanitario. La sua sorella minore, l?assistenza domiciliare (Ad), esclude una serie di interventi medici, di base e specialistici, essenziali per chi sta male. Il panorama non cambia, anzi si aggrava, passando a considerare l?ospedalizzazione a domicilio. Qui entriamo in un settore delicato: gli utenti dell?Oad dovrebbero essere infatti i pazienti più gravi, innanzitutto i malati di cancro, ma anche, per esempio, i malati di Aids. La legge, anche in questo caso, sulla carta funziona. Oltre al Progetto Obiettivo Anziani, infatti, il ministero della Sanità ha prodotto nel febbraio ?96 le ?Linee guida per le cure domiciliari nel paziente oncologico?: tre pagine dense di indicazioni che, se applicate, avrebbero trasformato l?Italia in un Paese all?avanguardia dell?home care. Costituzione di Nuclei oncologici regionali, un?Unità per la cura domiciliare oncologica in ciascuna Asl, coordinamento con le organizzazioni di volontariato presenti sul territorio… Tutte buone idee, peccato che siano rimaste tali. E per i soliti motivi: le Linee guida non sono mai state finanziate con un fondo ad hoc, per la loro realizzazione le Regioni avrebbero dovuto attingere ai fondi complessivi per l?oncologia, che comprendono tutti gli interventi, dalla costruzione di ospedali all?acquisto (oggi) della somatostatina. Risultato: l?ospedalizzazione a domicilio in Italia la fanno quasi soltanto le associazioni di volontariato. E pochi ospedali illuminati: un esempio per tutti, l?Istituto oncologico romagnolo di Forlì, che da solo copre il 100 per cento del fabbisogno dei malati oncologici delle province di Ravenna, Rimini e Forlì. «Ora il ministro della Sanità ha annunciato che nel prossimo piano sanitario nazionale vuole puntare sulla de-ospedalizzazione», dice il dottor Mirko Bindi, responsabile della Conferenza Home Care di Siena e tra gli estensori, nel 1996, delle Linee guida mai attuate. «Ma temo purtroppo che le nuove norme siano completamente inutili, perché si innesteranno su una realtà in cui manca tutto. Come le altre». ha collaborato Alba Arcuri L?opinione di mons. Giovanni D?Ercole Perché Di Bella vince La mancata assistenza a casa dei malati gravi tocca direttamente uno dei punti fondamentali e più delicati della medicina oggi: il bisogno del paziente di essere considerato come uomo, come persona umana e non solamente come portatore di questa o quella patologia. La medicina è una scienza, ma in essa c?è anche un?importante componente umana, che non si può trascurare a meno di fare un grave torto ai malati. Ecco perché secondo me il professor Di Bella ha riscosso un tale consenso tra la gente, ed è così osteggiato dalla classe medica: perché è un medico che ricorda agli alti papaveri, ai baroni e ai grandi clinici abituati a liquidare il malato in cinque minuti – salvo poi pretendere da lui parcelle milionarie – che non esiste solo la scienza o la tecnica medica, ma anche la coscienza. Molti medici curano le malattie ma non il malato, ecco perché è molto attuale il problema delle dimissioni facili e di conseguenza della necessità di curare i pazienti a domicilio. Se quello che interessa al medico non è l?uomo, è ovvio che sarà qualcos?altro: i soldi, la carriera, la fama. Quindi anche se il paziente non è guarito, lo dimette dall?ospedale, perché altrimenti occuperebbe un posto per un numero maggiore di giorni rispetto a quelli che il Servizio sanitario rimborsa con il famoso Drg. Altro che professor Di Bella, che per le sue visite non chiede neppure una lira! E poi quello stesso paziente dimesso in tutta fretta chi lo cura a casa, se non conviene a nessuno? Di certo non i medici. Allora ecco che scendono in campo le associazioni di volontariato, che sanno comprendere il valore della persona al di là dell?apparenza o della salute. Questo è molto bello e nobile, ma non basta. Un vero successo per la medicina sarebbe fare capire ai professionisti italiani che curare il malato in senso globale è un arricchimento anche per loro, oltre che un vero servizio a chi soffre. conduttore di ?Prossimo Tuo?


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