Non profit

Aung San Suu Kyi: diamoci da fare

Anticipazione da Vita magazine in edicola. Mobilitazione per il premio Nobel per la Pace, arrestata dal potere di Rangoon. Cosa fare? Spedisci un fax e chiama le radio

di Daniele Scaglione

Anticipazione dal numero di VITA non profit magazine in edicola. Leggi il sommario completo. Mobilitiamoci per Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, arrestata e ferita dal potere di Rangoon. Non è la prima volta ma la situazione non è mai stata così grave. Che fare? Amnesty International chiede di inviare un fax di protesta all’ambasciata del Myanmar in Italia, al numero 06.8413167. Anche solo la frase “freedom for prisoner of conscience” farà il suo effetto. Telefonate alle radio e chiedete di trasmettere la canzone degli U2 Walk On dedicata ad Aung San Suu Kyi. Volete proteggere la moglie di un Kala?». I picchiatori al servizio della giunta militare di Rangoon si rivolgono così ai temerari che provano a proteggere Aung San Suu Kyi. Sono le prime ore di sabato 31 maggio e la premio Nobel per la pace è bloccata nella sua auto in un villaggio del Myanmar. Il suo convoglio è stato fermato da un gruppo di monaci che, festeggiandola, le avevano chiesto di parlare di fronte a loro. Travestiti da monaci Aung San Suu Kyi è circondata, e poco dopo, attaccata. Tra i monaci si fanno largo esponenti dell’Associazione per l’unione, la solidarietà e lo sviluppo, vale a dire dei miliziani al soldo del generale Than Shwe, il dittatore alla guida del Myanmar. Alcuni di loro sono travestiti proprio da monaci. Degli studenti cercano di difendere la loro leader a colpi di pietre, altri si prendono sottobraccio e formano una catena intorno alla sua vettura. Ma i miliziani sono sempre più numerosi. Picchiano chiunque si frapponga tra loro, arrivano all’auto di Aung San Suu Kyi, spaccano i finestrini e cominciano a colpirla a colpi di bambù. È ferita alla testa, viene portata via a forza. I sostenitori di Aung San Suu Kyi cercano di scappare verso la città o nei campi di riso, ma i miliziani sono ovunque. Colpiscono con le spranghe, sparano ad altezza d’uomo. Poi arriva la polizia, che arresta gli scampati. Tra coloro che non si trovano più vi sono molti leader della Lega nazionale per la democrazia. Secondo le fonti ufficiali birmane, la cui credibilità tende a zero, i morti sarebbero 4. Secondo Amnesty International, gli scomparsi sono oltre 100, secondo altre fonti ancora, in quella notte sono state ammazzate almeno 70 persone. Tin Oo, il vice di Aung, pare sia stato ferito molto gravemente, forse è addirittura morto. Il governo di Rangoon sostiene che a fomentare gli scontri sono stati proprio i supporter di Aung San Suu Kyi e respinge sdegnato l’accusa di aver rinchiuso la donna in località segreta: «È al sicuro nella sua casa», affermano, «da cui non la lasciamo uscire solo per proteggerne l’incolumità». Sono 15 anni che la giunta militare alterna azioni repressive a ridicole dichiarazioni pubbliche. Ha represso con violenza ogni forma di dissenso, sterminato minoranze etniche, diffuso l’uso della tortura, delle esecuzioni extragiudiziali, imposto su vasta scala il lavoro forzato, ma con un particolare senso dell’umorismo si fa chiamare Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo. Moglie di un Kala Aung San Suu Kyi hanno cominciato a chiamarla «moglie di un Kala» nel 1988, anno in cui han preso il potere con un colpo di Stato. ?Kala? è un termine dispregiativo, qui si direbbe ?terrone?, e viene usato per indicare sudasiatici, indiani e musulmani che vivono in Myanmar, ma anche gli occidentali, com’è il caso in questione, poiché Aung era sposata al britannico Michael Aris. Aung San Suu Kyi ha deciso di sfidare la dittatura del suo Paese organizzando un movimento, la Lega nazionale per la democrazia, che stravinse le elezioni politiche del maggio 1990. Ma i militari non mollarono mai il potere. Il 20 luglio seguente, Aung San Suu Kyi venne posta agli arresti domiciliari, dove rimase sino al 10 luglio 1995. Decine di altri leader dell’Lnd conobbero sorti ancora peggiori. Il mondo si accorse della situazione e qualche riconoscimento, come il Nobel per la pace, arrivò. La diplomazia Usa iniziò a citare il governo di Rangoon come uno dei peggiori regimi del mondo. Dopo il 1995, la casa di Aung divenne meta ambita per leader politici e giornalisti di fama. Gli illustri visitatori tornavano a casa rilasciando dichiarazioni entusiaste sul carattere e la forza interiore della donna. L’Unione europea ha imposto sanzioni, ma cambiamenti non se ne sono visti. Il marito solo La giunta militare si è messa al lavoro anche per riscrivere la Costituzione, provando a introdurvi regole come il divieto di assumere cariche istituzionali per chiunque avesse avuto un marito straniero. Aung San Suu Kyi, peraltro, suo marito negli ultimi 15 anni l’ha visto ben poco. Michael Aris fu costretto a vivere in Inghilterra e nel 1999 gli fu riscontrato un cancro in fase terminale. La giunta militare, con grande umanità, vietò all’uomo il visto d’entrata nel Paese, affermando che non era opportuno che nelle sue condizioni si mettesse in viaggio. Manifestò però la sua disponibilità a lasciar uscire Aung San Suu Kyi affinché potesse essere vicino al suo Kala morente. Ma fu chiaro che una volta fuori dal Myanmar, non avrebbe più avuto il permesso di rientrarvi. Michael Aris morì il 27 marzo 1999 senza aver visto sua moglie, rimasta a lottare con il suo popolo. Quello attuale è il momento peggiore del Myanmar dal colpo di Stato del 1988. Amnesty International chiede di inviare un fax di protesta all’ambasciata del Myanmar in Italia, al numero 06. 8413167. Anche solo la frase «Freedom for prisoner of conscience» farà il suo effetto. Telefonate alle radio e chiedete di trasmettere la canzone degli U2 Walk On dedicata ad Aung San Suu Kyi. Visitate e fate visitare il sito www.amnesty.it dove si trovano aggiornamenti e appelli.


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