Volontariato

Caro Dino…

Dino Frisullo, 51 anni, segretario dell'associazione Senzaconfine, giornalista e difensore dei diritti del popolo curdo è morto qualche giorno fa a Perugia. Così lo ricordano gli amici

di Redazione

Angela Bellei ricorda Dino Frisullo [Dal quotidiano “Il manifesto” del 7 giugno 2003. Angela Bellei e’ presidente dell’associazione “Azad” di solidarieta’ con il popolo kurdo] Abbiamo tutti noi perduto un grande compagno, un amico, una persona che ha saputo vivere come molti vorrebbero, ma non ne hanno la forza. Dino e’ stato il nostro tormento e la nostra gioia, ci ha scatenato sentimenti di amore e di insofferenza quando, testardamente, pretendeva il nostro coinvolgimento immediato per evitare l’espulsione di un profugo. Lui era nel giusto, lui provava la rabbia delle ingiustizie e si ribellava fino a farsi incarcerare per il riconoscimento dei diritti dei curdi e fino a dimenticarsi di se stesso. Dino era un amico e un compagno intelligente, colto, ma soprattutto dotato di una straordinaria capacita’: quella di farsi perdonare i suoi eccessi attraverso la sua dolcezza e la coerenza che erano il suo stile di vita. Abbiamo lavorato per dieci anni, con i compagni curdi e gli immigrati. Un lavoro difficile ma che Dino ha compiuto con grande capacita’, con partecipazione e passione. Ci mancheranno le sue telefonate notturne che iniziavano sempre cosi’: “… Due o tre cose ti devo dire, anzi cinque o sei” e, in piena notte, ci squadernava le proposte di lavoro per il giorno successivo. La malattia lo aveva fortemente segnato nel fisico, ma non aveva intaccato le sue elaborazioni e, da ultimo, la preoccupazione per la sorte dei profughi curdi che si trovano ai confini tra Turchia e Iraq, nel campo di Mahmura, per i quali stiamo portando avanti una campagna per la raccolta di fondi. Non dimenticheremo la sua determinazione, il suo coraggio, la sua passione e cercheremo di continuare. Ci manchera’, tanto. Il ricordo di Tommaso di Francesco [Dal quotidiano “Il manifesto” del 7 giugno 2003. Tommaso Di Francesco, poeta e saggista, e’ esperto di questioni internazionali] C’e’ ancora una carretta del mare mezzo arrugginita, ancorata in un porto italiano del sud, forse Brindisi, forse Mazara, che su una fiancata scarcassata porta ancora inciso, con rabbia e con amore un grande graffito, netto, quasi una ferita sul rosso screpolato della ruggine. E’ un nome in stampatello: “Frizullo”. Quando la nave arrivo’ cosi’ 6 anni fa, veniva da pensare, con invidia: “Ecco, Dino ci diventa mitico come Potemkin”. Poi ne arrivo’ perfino un’altra di nave con lo stesso nome storpiato in “Frisonullo”. I profughi kurdi, in fuga dalla guerra etnica dei generali turchi della Nato, pensavano che l’Italia li avrebbe accolti a braccia aperte se solo avessero innalzato quel vessillo, quel nome a loro cosi’ vicino e caro: era di un uomo che, per i kurdi e come loro, era finito nelle prigioni di Ankara. L’Italia era per loro “Frizullo”, quasi un anagramma. Come per Ocalan – prima che venisse consegnato ai servizi segreti internazionali per finire nella galera speciale di Imrali – l’Italia rappresentava il luogo dove avviare una svolta e trattativa per una lotta arrivata a un punto di non ritorno e altrimenti sconfitta. Si’, era stato Dino a pensare che il Celio, l’ospedale militare dove si supponeva dovesse transitare il leader kurdo, dovesse diventare un presidio permanente, fino a trasformare il nome del luogo in “Piazza Kurdistan”. Scherzavamo con Dino: gli scavi archeologici di Roma non se la sarebbero presa piu’ di tanto, in fondo Celio Vibeuna era stato un eroe mitico degli etruschi (originari in parte proprio dell’antica Lidia, l’attuale Turchia e Kurdistan) quando quel popolo governava su Roma. Gia’, questa e’ la storia profonda degli uomini e delle donne che ci ostiniamo a considerare “immigrati”, “clandestini” e “profughi” e a chiudere nei campi di concentramento dei centri di accoglienza. Addio Dino senza confini, sempre sereno eppure vulcano, con il sorriso acceso dei perdenti che ricominciano tutto ogni giorno. Cosi’ “irresponsabile” ed eguale a noi. Dino, graffiato di rabbia e d’amore. Eugenio Meandri ricorda Frisullo [Dalla newsletter di “Chiama l’Africa” (per contatti: info@chiamafrica.it) del 9 giugno 2003. Eugenio Melandri e’ da sempre animatore infaticabile di iniziative di solidarieta’ con i popoli del sud del mondo, affinche’ a tutti gli esseri umani tutti i diritti umani siano riconosciuti] La notte del 6 giugno, a soli 51 anni, ci ha lasciato Dino Frisullo, un compagno di strada per molti pacifisti italiani, per gli antirazzisti, per il popolo Kurdo, per gli immigrati nel nostro paese. “La voce delle vittime di guerre e persecuzioni, dei civili e dei profughi palestinesi, kurdi, afghani, argentini, irakeni, serbi, kossovari. La voce di chi non ha voce”: sono le parole con cui lui stesso amava definirsi. Adesso che e’ terminato il tuo tempo ed e’ scaduto il tuo permesso di soggiorno, sei partito per il viaggio piu’ lungo e piu’ difficile. Non avevi nulla da lasciare, perche’ nella tua vita non ti sei mai legato a nulla. Solo l’indispensabile per vivere. Tutto il resto era di troppo. Ti avrebbe impedito di dedicarti completamente ai piu’ indifesi, ai piu’ piccoli, a quelli che nessuno vuole. Ma non in termini assistenziali. Non era nella tua prassi. In termini politici. Di organizzazione. E in tanti casi ci sei riuscito. Avevi intuito che quello dell’immigrazione era il tema piu’ scottante del nostro tempo. Ancora una volta non in termini assistenziali, ma legato alle origini del fenomeno immigratorio: alla sofferenza di tanti popoli che non vedono riconosciuti i loro diritti. Dal popolo Kurdo, del quale eri praticamente diventato parte, condividendo tutto, perfino il carcere, fino a tutti i popoli da cui arrivano i nostri fratelli immigrati. Non ti conoscevo bene quando ci siamo incontrati e abbiamo cominciato a condividere, insieme con tanti altri, l’avventura di “Senza confine”. Non avrei mai immaginato che al mondo ci potesse essere una persona tanto cocciuta e testarda. Non smettevi mai di lottare, di darti da fare, di tentare l’ultima, l’ultimissima carta. Per questo tutte le questure d’Italia ti conoscevano. Sempre in prima fila a organizzare manifestazioni, a lottare per il permesso di soggiorno, a tentare le strade della politica presentando emendamenti alle leggi e cercando sempre di trovare nella legge la scappatoia che avrebbe permesso a qualcuno di restare qui e di non essere rispedito al proprio paese. Senza altra ricompensa che quella di stare sempre e comunque dalla loro parte. E allora, permettimelo, adesso che sei andato via, quando ormai, se ci sei – e io credo che si sia ancora, anche se in modo nuovo e diverso – guardi tutto con altri occhi e vedi scorrere le cose di questo mondo alla luce di una dimensione senza tempo, sento il bisogno di dirti che ho sempre avuto una stima enorme, unica di te. Abbiamo litigato tante volte. Non eri un tipo facile. Quante volte – quando ero parlamentare – ho appreso dai giornali di aver firmato una lettera o preso una posizione. Quante volte mi sono trovato coinvolto con te, senza averlo saputo prima, in questioni e problemi. Ultimo tra tutti un processo per diffamazione nei confronti di Gasparri. Ma ho sempre saputo che lo facevi per loro. Per i piccoli piu’ piccoli. Per gli indifesi piu’ indifesi. E ti ho sempre ammirato e amato per questo. E voglio dirti che in te, io credente nel Dio di Gesu’ Cristo, ho sempre visto una sorta di santo laico. Ti vestivi come i gigli del campo e ti nutrivi come gli uccelli dell’aria. Per te non cercavi mai nulla. Hai donato tutto. Senza tenerti niente. Neanche un momento di riposo, neanche una pietra dove poggiare il capo: “Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il loro nido, ma il Figlio dell’uomo non ha dove poggiare il capo”. Giorno dopo giorno. Anno dopo anno. “Beati i poveri. Di loro e’ il Regno dei cieli”. Dino, lo sai che, con tutta la mia poverta’, io credo che ci sia l’altra vita. Sento la nostalgia di quel totalmente altro che ricondurra’ tutto a giustizia, dove le vittime avranno finalmente ragione dei loro oppressori. E sono sicuro che, nel Regno che viene, tu avrai un posto grande, bello, pieno di luce. Allora ho meno paura. Con te il paradiso diventera’ senz’altro piu’ aperto. Rompera’ i confini per fare entrare tutti. Lo troverai sempre, infatti, il modo di far entrare anche quelli che – a rigor di legge – forse non dovrebbero. Ti metterai accanto a San Pietro e non lo mollerai fino a quando non dara’ il permesso di entrata e di soggiorno anche all’ultimo arrivato. Ti organizzerai con quelli che gia’ sono arrivati, come don Luigi, e riuscirete davvero a fare entrare tutti nella grande casa che ci aspetta. Dino, adesso che sei arrivato la’, io non ho piu’ paura di morire. Luisa Morgantini ricorda Dino Frisullo [Dalla mailing list “Peacelink news” (per contatti: e-mail: news@peacelink.it, sito: www.peacelink.it). Luisa Morgantini, europarlamentare, e’ una delle figure piu’ vive dell’impegno pacifista e di solidarieta’] E’ morto Dino Frisullo. Di sera, era il giorno del suo cinquantunesimo compleanno. Ha percorso strade difficili, molto spesso lasciato solo, forse perche’ chiedeva troppo a se’ e agli altri. Forse perche’ il suo amore per la giustizia era assoluto, impaziente dei tempi, impaziente e indignato. Con lui ho percorso sentieri e strade in Kurdistan e in Turchia, prima in Palestina e Israele. Non con lo stesso passo, litigando, ma volendogli bene e rispettando il suo passo, pensando spesso che senza di lui molte cose tragiche e ingiuste sarebbero passate inosservate e molti di noi sarebbero passati accanto a curdi torturati, ad immigrati e profughi sbarcati in Italia in cerca di pace e scurezza trovando invece abbandono, indifferenza,fame. Ho il rimpianto, lo so quanto sia comune di fronte ad ogni morte, di non averlo ascoltato abbastanza, di aver posato il telefono dopo conversazioni agitate sul cosa fare di fronte ai problemi dei curdi, degli immigrati, pensando con insofferenza, non ne posso piu’, ma perche’ e’ cosi’ testardo. Avrei voluto vederlo e stargli accanto durante la malattia, ho parlato con lui solo una volta, al solito, al telefono; disinteressato di se’, pensava a chi non aveva avuto il permesso di soggiorno, a chi veniva espulso, a chi veniva cacciato nei centri di detenzione. D’ora in avanti in ogni sguardo sperduto e impaurito di immigrati o profughi che incontrero’ so che vedro’ Dino, il mio sorriso a loro sara’ anche per lui. Ciao Dino, non saro’ al tuo funerale, li manco quasi tutti, saro’ da un’altra parte, luoghi di conflitto e cosi’ via. Non so se sia giusto, soprattutto, non so se sia quello che desidero, so pero’ che tu mi diresti, vai. Che la terra ti sia lieve. Parole di Riccardo Orioles [Dalla e-zine “tanto per abbaiare”, n. 182 del 9 giugno 2003. Riccardo Orioles, giornalista eccellente, militante antimafia tra i piu’ lucidi e coraggiosi, ha preso parte con Pippo Fava all’esperienza de “I Siciliani”, poi e’ stato tra i fondatori del settimanale “Avvenimenti”, ha formato al giornalismo d’inchiesta e di impegno civile moltissimi giovani. Un esempio pressoche’ unico di rigore morale e intellettuale (e quindi di limpido impegno politico). Opere di Riccardo Orioles: i suoi scritti e interventi sono pressoche’ tutti dispersi in periodici e varie piccole e piccolissime pubblicazioni; per gli utenti della rete telematica vi e’ la possibilita’ di leggere una raccolta dei suoi scritti (curata dallo stesso autore) nel libro elettronico Allonsanfan. Storie di un’altra sinistra. Sempre in rete e’ possibile leggere una sua raccolta di traduzioni di lirici greci, ed altri suoi lavori di analisi (e lotta) politica e culturale, giornalistici e letterari. Opere su Riccardo Orioles: due ampi profili di Riccardo Orioles sono in due libri di Nando Dalla Chiesa, Storie (Einaudi, Torino 1990), e Storie eretiche di cittadini perbene (Einaudi, Torino 1999)] Senzaconfine. “Tutti amu a moriri, o prima o dopu – disse il vecchio Bastiano – Pero’, certuni comu morunu s’i puorta u ventu; cert’autri invece pesanu comu u’ Mongibeddu”. E’ morto Dino Frisullo, e non ho molto da dire: e’ un compagno davvero che se n’e’ andato, e ora siamo piu’ soli. Aveva cinquant’anni, siamo nel duemilatre’, e dunque ha lavorato per tutti noi – aveva cominciato nel ’70, con Dp – per un po’ piu’ di trent’anni. Non da leaderino, da politico “di sinistra”: da compagno. E’ stato fra i primi pacifisti italiani e fra i primissimi (e forse il primo) a organizzarsi insieme agli immigrati. Con loro, ha fondato la prima associazione antirazzista, “Senzaconfine”, che ha fatto da modello a tutte quelle dopo. E’ andato a propagandare la pace, e i diritti dei poveri, in Palestina, Bosnia, Albania e in altri luoghi. In Turchia, a Diyarbakir, e’ stato arrestato per aver difeso i curdi: e’ stato rinchiuso in carcere insieme a loro (primo europeo a dividere questa sorte) e al processo ha alzato ancora la voce contro la repressione anticurda. Su questa, e sulla condizione carceraria e sulla legislazione “d’emergenza” turca, Dino scrisse un bellissimo libro (L’utopia incarcerata) che gli fu pubblicato da “Avvenimenti”. Su altri giornali (anche “di sinistra”) per un certo periodo ci fu invece un veto formale, imposto da autorevoli mandarini, alle sue collaborazioni. (Poche settimane fa in televisione tutti parlavano con gran prosopopea di curdi: Dino Frisullo era l’unico italiano che non solo conoscesse i curdi ma ne fosse conosciuto benissimo, e ne fosse amato. Eppure e’ stato l’unico a non essere stato invitato a parlarne). La storia della sinistra italiana, per alcuni versi transeunte, per altri versi meschina, nella sua parte piu’ nobile e permanente e’ la storia degli uomini come Dino. I vecchi socialisti, gli anarchici, i militanti operai, i comunisti clandestini… Qualcuno ha parlato di apostoli, e l’immagine e’ esatta. Dino e’ appartenuto a quella razza. Ingenui, poco “pratici”, raramente a proprio agio nei palazzi, il loro ambiente naturale era la vita dei poveri, la strada. Il loro modo d’esprimersi, un po’ impacciato e timido nei dibattiti ufficiali, attingeva un’eloquenza inaspettata negli appelli di piazza o anche – come nel caso di Dino – davanti ai giudici militari. In questo, erano antichissimi e profondi. Dino, che ha lottato per i curdi e per gli operai bengalesi, e’ sempre lo stesso Dino (con un nome diverso, ma solo il nome) che in altri tempi ha organizzato gli scioperi delle mondine nell’Ottocento o la rivolta dei senzaterra nei latifondi. Che possa la sinistra italiana, e noi stessi, raccogliere con umilta’ e coraggio l’eredita’ di uomini come questi. La sinistra dei binghi, dei salotti romani e dei compromessi, oppure la sinistra degli organizzatori, delle testimonianze di vita, dei compagni. Non e’ possibile essere tutt’e due: c’e’ da fare una scelta. L’ultima volta che l’ho visto e’ stato a piazza Vittorio, a Roma: una manifestazione di immigrati – organizzata da lui – una delle tante. Piazza di cento popoli, come nessun’altra in Italia: bengalesi, egiziani, curdi, pakistani, cinesi… Un pezzo di mondo nuovo, operoso, duro: il piu’ multirazziale d’Italia e anche – per chi sa leggerlo – il piu’ italiano. La’, tutti lo conoscevano e l’avevano sentito parlare; molti, in un momento o nell’altro, avevano sfilato in corteo insieme a lui. E anche ora che non c’e’ piu’, lui la’ c’e’ sempre. Che c’entra un re sabaudo, con la piazza di Dino? Fra coloro che leggono ci sara’ sicuramente qualcuno che conosce il sindaco di Roma, Veltroni. Coraggio, sindaco, cambiamo la targa di quella piazza. Via quel Vittorio Emanuele, mettiamo una scritta nuova. “Piazza Dino Frisullo, compagno”. E la parola compagno, scrivetela in tante lingue.


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