Non profit

Noi, docenti rassegnati e impotenti

II grido d’allarme di uno scrittore-insegnante: non sappiamo più educare

di Vincenzo Gambardella

Cosa sto facendo?, sto cercando d?insegnare, diciamo che ci provo inutilmente, per via di quei due o tre tipi là, bulletti in erba pronti a ridicolizzare tutto quel che dico, ogni mia parola, ogni sillaba. Recitano a soggetto, nel senso che si tratta di un repertorio scontato, fatto di derisioni e insolenze. A un certo punto entra nell?aula un alunno manesco di un?altra classe, accompagnato da un assistente sociale e, dopo aver messo le mani addosso a un paio di bambini, esce sferrando un calcio alla porta.
Potrei raccontarne parecchi di episodi simili, avvenuti durante i miei quindici anni di attività, ma non direi interamente il mio sconcerto di fronte al clima di prevaricazione di certe realtà scolastiche e alla mancanza di risposta della scuola statale dell?obbligo.
Lo sfondo è quello dei quartieri degradati, dove i bambini sono in balia della strada, senza la guida di un genitore, esposti ad ogni pericolo. Qui l?insegnamento avviene in condizioni di gravissimo disagio, sgolandosi a più non posso e ottenendo scarsi risultati di attenzione e profitto.
L?urgenza di riflessione appare chiara ed è confermata da due articoli usciti in questi giorni, uno di Giampaolo Cerri, pubblicato proprio dal vostro settimanale (?Vita? n. 48, 5 dicembre 1997) in cui si rivelano i dati che parlano di un?alta percentuale di ricatti e violenze compiute o subite nelle aule scolastiche italiane; l?altro articolo è di Giulio Ferroni (?Corriere della Sera? del 3/12/?97), che scrive: «C?è d?altra parte di che rimanere sgomenti per una cultura che non sa reagire al male, non sa prevenirlo e combatterlo se non affidandosi a specialisti ed esperti, se non creando nuove strutture e (come sempre va a finire) nuovi carrozzoni. Ma sgomenta ancor di più la pretesa di delegare ad una scuola sempre più umiliata, privata di ogni prestigio sociale, tutte le più varie esigenze che si presentano nella società: le si chiede di reagire al degrado, di fornire modelli positivi contro le più varie derive individuali e sociali, di rimediare a tutte le insufficienze della società, della familia, dei media. Ma intanto si finge di non vedere che per altra via la si svuota di ogni contenuto e di ogni funzione: si mettono sempre più tra parentesi i saperi che essa dovrebbe trasmettere, la si rende sempre più subalterna al mercato, ai modelli pubblicitari, allo sciocchezzaio televisivo».
Quello che preoccupa è l?assuefazione dei docenti, si dà per scontato che le cose stanno così e che sono immodificabili. Nessuno riflette sul senso vero dell?insegnamento, ci si adegua alla lamentela delle rivendicazioni sindacali, oppure vengono avanzate pretese di professionalità e rigore astratte e per altro smentite dalle oggettive lacune di studio che i nostri ragazzi dimostrano una volta raggiunte le superiori. A forza d?inseguire il contingente dimentichiamo il significato della parola ?educare?, che viene dal latino educare, della stessa radice di ducere, cioè condurre, portare. Questo condurre ha bisogno di ascolto, ha bisogno di un sì, un sì che è la condizione del rapporto.
Invece prevalgono – nelle classi cosiddette difficili – forti conflittualità dovute in parte anche a un sistema didattico poco elastico. I ragazzi scarsamente dotati spesso disturbano, il loro comportamento evidenzia il bisogno di una programmazione diversa, impostata di più sulla manualità.
Credo che se si cominciasse a riflettere meglio sulle condizioni del nostro lavoro qualche cosa cambierebbe; occorre però riproporre la questione dei contenuti e rivalutare il ruolo dell?insegnante, di frequente relegato a compiti di vigilanza. da un po? di tempo, quando faccio lezione, ho sempre l?impressione di essermi opposto a qualcosa, e di aver remato controcorrente, in solitudine.
Forse è la dissonanza che avverto riguardo ad una mentalità sbagliata che vuole insegnare soltanto la tecnica, il ?come si fa?, pretendendo di disgiungerla dalle domande fondamentali dell?uomo. Prima fra tutte: perché devo rispettare un?altra persona, la natura, gli animali, finanche gli oggetti?
Perché occorre questo? È scontato chiederselo ancora?
Vincenzo Gambardella Milano
Egregio direttore, chiedo ospitalità per dibattere l?opinione espressa da Valdo Spini su ?Vita? del 19 dicembre scorso.
È assolutamente vero che, come dice Spini, le spese militari italiane sono inferiori a quelle degli altri Paesi occidentali. Il problema è però a cosa devono servire le Forze armate e solo in base a questo si può valutare quanto sia necessario investirvi. Ora, tutti gli analisti sono d?accordo sulla totale assenza di minacce militari credibili all?Europa: la superiorità tecnologica occidentale è talmente schiacciante (anche per il fatto che la concentrazione della ricchezza nel nord del pianeta fa si che del milione e passa di miliardi di spesa militare globale quasi la metà sia degli Stati Uniti e il resto per la gran parte spartito tra Europa, Russia e Giappone) che nessun altro Paese può costituire una reale minaccia; in tutti i Paesi del Sud del mondo le forze armate, pur assorbendo, spesso, quote del Pil superiori a quelle dei Paesi Occidentali, sono in grado solamente di garantire la repressione interna per conto dei regimi o al massimo di combattere guerre regionali.
Se quindi la nostra prospettiva non è una guerra contro una potenza europea o occidentale e se per garantite la difesa dalle zone turbolente del Mediterraneo basterebbero forze armate molto ridotte rispetto alle attuali, per quale motivo questo processo di riforma e di rafforzamento dello strumento militare in atto da alcuni anni con costi molto elevati (la spesa non è diminuita come afferma Spini: nel ?95 erano 26 mila miliardi, la Finanziaria ?98 ne prevede oltre 31 mila). Si parla spesso delle missioni di pace e umanitarie per le quali le nostre forze armate si debbono attrezzare. Proviamo ad analizzarne qualcuna, lasciando perdere la Somalia sulla quale sarebbe sin troppo facile ironizzare. La missione ?Alba? sembrerebbe, invece, un esempio di missione riuscita; nessuna violenza, risultato raggiunto. Ma quali sono stati i risultati per gli albanesi? L?impressione è che con i soldi dei contribuenti italiani si siano distribuiti un po? di cibo e di medicinali, ma soprattutto si sia contribuito a modernizzare una situazione di ?delocalizzazione? fatta a spese dei lavoratori italiani e albanesi per il profitto di pochi imprenditori senza scrupolo. Il cerchio si chiude con gli ?incentivi? ai militari professionisti citati da Spini, incentivi che consistono principalmente nella garanzia dell?assunzione, a fine ferma, nella Polizia o nei Carabinieri, con le ovvie conseguenze negative sulla professionalità di questi corpi, che rischiano di assumere sempre più connotati puramente repressivi.
insomma, si aumentano le spese militari, tagliando le spese sociali, per essere in grado di sfruttare meglio i Paesi del Sud del mondo reprimendo eventuali rivolte e intanto si militarizzano le forze dell?ordine interne per garantire, anche qui, la pace sociale minata dalla disoccupazione crescente.
Fausto Angelini
Lega obiettori di coscienza
Torino

Nell?articolo, pubblicato nel numero 51/52 del 1997, sulle ?Tende di Natale? organizzate dall?Avsi per sostenere sei progetti di solidarietà destinati ai bambini, abbiamo sbagliato numero di telefono. Il riferimento giusto è il seguente: 02/5061212.

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