Mondo

Una rima per ricostruire

L’unità dei Balcani non si fa con le bombe, né con le ideologie materialiste, ma accettando le differenze. Lo scrivono quattro poeti. Che su questa convinzione vogliono edificare la pace

di Paolo Giovannelli

I Balcani si lasciano alle spalle un anno ancora molto inquieto. In Bosnia-Erzegovina, a Mostar, i croati hanno festeggiato il Santo Natale lanciando granate sul settore bosniaco-musulmano della città; l?odissea albanese, simbolizzata da un Venerdì santo tragico anche per la Marina militare italiana, continua. I Balcani, specie quelli più vicini a noi, appaiono sempre più divisi. Le loro frontiere si sono moltiplicate: non solo confini politico-geografici, ma soprattutto etnici, religiosi e anche linguistici. Kruh, kolodvor, putovnica; hljeb, stanica e pasos: usate le prime parole in Croazia, le seconde in Serbia. Se farete al contrario, serbi e croati, all?unisono, vi risponderanno che non si fa più pane, che i treni non viaggiano e che il vostro passaporto è immediatamente ritirato. Marcatissimo è soprattutto il solco fra i pochi arricchiti, potenti e delinquenti e i tanti nuovi poveri, sconfitti e sopravvissuti: profughi, senza-casa, disoccupati, risparmiatori truffati, mutilati. Eppure quattro poeti tutte queste frontiere le hanno già schiantate, alcuni al prezzo dell?esilio dai Paesi d?origine, forzato o volontario. Si chiamano Gezim Hajdari e Visar Zhiti, albanesi, Stevka Smitran e Bozidar Stanisic, bosniaci. È dall?Italia, oggi, in lingua italiana, che questi intellettuali del dopo-apocalisse balcanico indicano la strada verso i moderni Balcani, ripercorrendo tristi passati anche personali e gridando contro il troppo marciume antidemocratico rimasto vischiosamente appiccicato a quelle terre. Ai loro connazionali, e all?Europa, offrono pertanto un?antologia intitolata ?Quaderno balcanico?, parte della collana ?Cittadini della poesia? che sarà edita proprio nei primi mesi del 1998 per i tipi Loggia de? Lanzi di Firenze, con prefazione del noto scrittore mostarino Predrag Matvejevic: un piccolo segno per dire a molti uomini e donne, oggi ?schegge? senza identità di sistemi politici in frantumi, che una unità culturale balcanica esiste. Un testo-manifesto contro tutte le ?piccole patrie?. Di questi autori, Franco Loi, il poeta che nel 1975 si affermò con la raccolta Stròlegh e che ora ha scritto l?introduzione del Quaderno balcanico, dice: «Sono individualità molto evolute rispetto a chi oggi, nei Balcani, soccombe alle tradizioni e ai pregiudizi. Coraggiosi. Offrono illuminazioni di fede e serenità. Mostrano che la vita non è fondata sulla violenza. Lo possono essere i poteri, forse le società. Ma la vita è altro. Questi poeti ci dicono che, per prima cosa, occorre mettersi in una posizione di sviluppo individuale per cambiare il mondo, che l?unità va acquisita non attraverso le ideologie di carattere materialista ma con l?accettazione delle differenze, perché il destino umano è comune. Ed è proprio su queste idee», conclude, «su questo comune sentire dell?uomo di fronte alle violenze, che si potranno costruire i nuovi Balcani». Il futuro è promettente: l?editore sta infatti già lavorando alle bozze di un secondo quaderno balcanico, frutto del pensiero di altri autori dell?area.


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